Secondo Umberto Eco, possiamo distinguere tre situazioni diverse.
Il caso più semplice è quello del labirinto classico, quello di Cnosso per intenderci, che è unicursale. In questo caso, il percorso è obbligato: come vi si entra, non si può che raggiungere il centro e dal centro non si può che trovare l'uscita. Se il labirinto unicursale venisse srotolato, ci troveremmo fra le mani un unico filo. Dunque il "filo d'Arianna" non è il mezzo per uscire dal labirinto, ma - di fatto - il labirinto stesso.
La cosa si complica con il labirinto manieristico o Irrweg. In questo caso sono possibili scelte alternative: tutti i percorsi portano a un punto morto, tranne uno, che conduce all'uscita. Vagando al suo interno, si possono commettere errori, si è obbligati a tornare sui propri passi, per cui un filo di Arianna potrebbe essere utile. Tuttavia, quando viene srotolato, l'Irrweg assomiglia ad un albero, immagine della ragione cartesiana: sul tronco del metodo e dei postulati fondamentali, s'innestano teoremi e corollari, premesse e conseguenze, organizzando deduttivamente i diversi rami della conoscenza.
Il labirinto del terzo tipo è una rete, in cui ogni punto può essere connesso con qualsiasi altro punto. Non si può srotolarlo, anche perché - a differenza dei labirinti del primo e del secondo tipo - non ha un interno e un esterno, dato che è estensibile all'infinito.
E' questo il labirinto che descrive lo spazio metropolitano, lo spazio del moderno. La sua forma estrema è quella del non-luogo: mondo promesso al provvisorio e all'effimero, spazio intermittente e senza storia, puro incrocio di mobilità e di traiettorie, nel quale individui senza volto si sfiorano senza parlarsi (Augé 1992).
Gabriele Qualizza, Spazio del moderno e metafora del labirinto da Fucine Mute