INSEGUONO IL SUCCESSO FACENDO "I BALORDI" |
|||
Intervista "lampo" a un complesso partecipante al Festivalbar
Si tratta di quattro giovani che si vestono da pazzi per attirare l'attenzione del pubblico, sempre in cerca di nuove stravaganze
|
A
vederli si pensa subito che siano evasi da un manicomio o che siano in
procinto di esservi ricoverati: uno indossa uno “stiphelius” con
tanto di cilindro, un altro una divisa militare con elmetto, il terzo
un maglione a righe orizzontali che gli arriva alle ginocchia come
quelli dei “clowns”
e l'ultimo, il più “normale”, camicia e calzoni
“beats”. A sentire come si fanno chiamare, si ha la conferma
che i sospetti elencati precedentemente devono essere del tutto
fondati. Si tratta. del complesso dei “Balordi”, una
formazione assurta da poco alla notorietà e che il prossimo
Festivalbar si è assunto il compito di fare conoscere ancora meglio a
quanti seguono con interesse ogni novità nel mondo della musica
leggera. Tuttavia, se la vista e il nome fanno tanto pensare alla più
assoluta alienazione mentale, la loro musica rivela che tutto quanto
appare a prima vista è soltanto il frutto di una campagna
pubblicitaria. Oggi, purtroppo, per imporsi nel campo delle canzoni
non basta più essere bravi: bisogna soprattutto riuscire a farsi
notare anche senza suonare e cantare. Poi il pubblico è disposto anche
ad ascoltare. Questi quattro ragazzi l'hanno capito e hanno deciso di
fare “I Balordi”. Sentendo il loro nome di battaglia e vedendoli
in fotografia, pensavamo di recarci a intervistare quattro mentecatti
sfruttati discograficamente in un momento in cui non si sa più che
cosa fare per vendere un po' di 45 giri; incontrandoli “fuori
servizio” e parlando con loro ci siamo invece resi conto che si
tratta di quattro giovani con le idee molto chiare e con un coraggio
sufficiente a realizzare quelle idee. D.
Come mai avete deciso
di chiamarvi i “I Balordi” e di conciarvi in quel modo quando vi
esibite in pubblico? R.
Abbiamo studiato a lungo le reazioni della gente che segue la musica
leggera e ci siamo resi conto che con le sole qualità musicali è
difficile arrivare a essere qualcuno. Oggi c'è soprattutto bisogno di
novità, ma i compositori e gli autori, da soli, non riescono a tenere
il Passo con le esigenze del pubblico. I cantanti, a loro volta,
“tengono” soltanto per breve tempo, poi vengono messi da parte e
sostituiti da altri divi provvisori. E' diventata così breve la
parabola di chi vive nell'ambiente della musica leggera, che di molti
non si riesce neppure a ricordare la faccia. Così noi abbiamo deciso
di esibirci con un nome difficilmente dimenticabile e con divise che,
viste una volta,
resteranno per sempre nella memoria del pubblico. D. Che impressione avete provato la prima volta che vi
siete esibiti in pubblico così agghindati? R. Non riusciremo mai a dimenticare le facce degli
spettatori: temevamo che da un momento all’altro qualcuno venisse
colto da infarto. Confessiamo che c'è voluto un bel po’ di coraggio
ad apparire in scena vestiti così, ma ci eravamo preparati contro
ogni emozione. Sapevamo che prima dovevamo incuriosire il pubblico e
poi convincerlo. Siamo riusciti nel nostro intento. D.
L'idea di un tale travestimento è stata proprio vostra e soltanto
vostra? R. Nostra come principio, poi sono intervenuti
consigli di “esperti” ad affinare l’abbigliamento. D’altra
parte ai nostri giorni soltanto l’artigiano lavora sulla
base delle idee
individuali. E quella della canzone
è una industria con tanto di uffici pubblicitari. |
Se non servissero a queste cose, che cosa ci starebbero a fare tante persone con lauti stipendi nelle case discografiche?
D.
Viva la sincerità! Ma non avete mai dovuto subire la pesante
ilarità di chi non accettava il vostro modo di vestire? R. Anche questo era nel preventivo, una voce ben definita nel bilancio delle attività e delle passività. Appunto perciò non abbiamo mai fatto caso a quanto ci dicevano coloro che non lesinavano sfottò nei nostri confronti. Quasi sempre, dopo averci anche sentiti, i lazzi cessavano d'incanto e venivano sostituiti dagli applausi.
D. Da quello che dite. sembrate sicuri di voi stessi. R.
Se non fossimo più che sicuri delle nostre capacità, pensate che
andremmo in giro vestiti cosi?
“Balordi” sui manifesti va bene, ma di fare la fine dei
“balordi” autentici non ce la sentivamo proprio. D. Quanti anni avete? R. Ottanta in quattro. Gion e Bruno
hanno diciannove anni. Andrea e Beppe ventuno. Gion e Andrea,
milanesi, sono fratelli. Anche Bruno è milanese, mentre Beppe è di
Zagarolo, presso Roma. D. Qual è il vostro maggior successo? R. Una
canzone che ricorda tanto
i pazzi, insomma una specie di sigla del complesso: Vengono a
portarci via ah, aaah! e Don Chisciotte. D.
Abbiamo l'impressione che un po’ pazzi lo siate sul serio. R. Siamo i primi ad ammetterlo, ma ci teniamo a precisare che siamo dei pazzi lucidi, cioè sappiamo dominare la nostra follia asservendola ai nostri fini. Voi che siete venuti a intervistarci ce lo dimostrate, i molti che vengono a vederci prima di sentirci ogni volta che ci esibiamo ce ne danno sempre una conferma. Che cosa bisogna mai fare per vivere, magari con un po' di successo! D. Visto che al successo sacrificate anche
la faccia, che cosa avete in programma per l’immediato futuro? R.
Alcune trasmissioni televisive e la partecipazione al Festivalbar
con la canzone Domani
devo fare una cosa. D. Che cosa dovete fare? R.
A sentire molti; dovremmo cominciare con il vestirci in modo civile,
ma questo non l'abbiamo ancora messo in programma. Per ora ci vanno
bene i vestiti che indossiamo D.
Finora abbiamo parlato più di voi come complesso stravagante che di
voi musicisti: a questo proposito che cosa
potete dirci? R.
Ah già, c’è anche la musica. Ma
la gente ormai ci fa tanto poco caso... Eppure ci piace. E' proprio
per la musica che ci siamo ridotti in questo stato. Ci piace da.
morire, al punto che cerchiamo di offrire quanto di meglio sappiamo
in materia ogni volta che suoniamo. Chi se ne intende dice che in
fatto di musica non siamo proprio dei balordi. Ma esiste ancora chi
se ne intende di musica? E se esiste, viene a sentirci dopo avere
letto il nostro nome sui manifesti e dopo aver visto le nostre fotografie? Berto Giorgeri
ABC 21maggio 1967 |
L'unico "esperto" che conoscemmo fu Luciano Giacotto, ma non ci suggerì, per esempio, di vestirci in modo stravagante: lo facevamo già, prima di incontrarlo.
Tuttavia, basta leggere la pagina pubblicitaria di Vengono a portarci via, ah! aah! su Ciao Amici, per capire quale fosse il suo contributo alla definizione della nostra immagine.
|
BALORDI STORIA REPERTORIO DISCOGRAFIA STAMPA BIBLIOGRAFIA POSTA LINK