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LEZIONE III
Il Positivismo
Confutata la
soluzione scettica, ci si presenta quella proposta dai positivisti, cioè da
coloro che ammettono la capacità della nostra mente a conoscere la verità,
ma la limitano, alla sfera delle cose sensibili, al mondo fenomenico; tutto
quello che lo trascende non è oggetto del nostro conoscere razionale; per
altra via forse vi si può arrivare: col sentimento, con la volontà, non
con l'intelletto. Come nelle scienze, cosi nella filosofia, l'esperienza è
l'unico criterio di verità, donde il nome di positivismo, il quale più che
una dottrina particolare denota un metodo comune a vari indirizzi di
pensiero.
I. - GENESI E
SVILUPPI DEL POSITIVISMO.
Ha le sue
origini nel vecchio empirismo e nuovo sviluppo ebbe nel secolo scorso sotto
l'influsso del criticismo kantiano. Kant infatti (cfr. lez. IV) dice che
mentre la metafisica che ha per oggetto il trascendente non è mai riuscita
a dare soluzioni convincenti e definitive, le scienze positive, che hanno
per oggetto il mondo dell'esperienza sensibile vanno facendo meravigliosi
progressi; le loro soluzioni sono chiare e definitive e di grande vantaggio
pratico. Dunque è segno che solo il mondo sensibile è a noi conoscibile,
il trascendente, il noumeno, no. Dove però la ragione speculativa non può
arrivare, vi arriva la volontà o ragione pratica; l'imperativo categorico
(fa il bene, fuggi il male) che la coscienza ci attesta, coi tre postulati
che esso esige (la libertà, l'immortalità dell'anima, l'esistenza di Dio)
ci danno certezza di quelle verità trascendenti che intellettualmente non
potremmo conoscere.
Appoggiandosi
più o meno consciamente sull'affermazione di Kant, che non possiamo
conoscere se non la realtà fenomenica, i positivisti cercano di costruire
una dottrina filosofica con metodo esclusivamente sperimentale (Comte, Taine,
Stuart Mill, Spencer e in Italia R. Ardigò con i suoi discepoli: G.
Marchesini, che rinnegato il positivismo moriva cristianamente nel 1931; G.
Tarozzi, giunto pure dopo un laborioso travaglio dello spirito al
superamento del positivismo e all'affermazione di un Dio trascendente e
personale; ed E. Troilo rimasto più fedele ai principi positivisti
rielaborati nel suo monismo panteistico (Realismo assoluto in "
Arch. di Fil. " 1940).
I
positivisti, benchè concordi nella negazione di una metafisica cioè della
cognizione razionale della realtà sovrasensibile, assumono di fronte ad
essa atteggiamenti diversi poiché alcuni semplicemente la negano
accostandosi nelle dottrine al materialismo mentre altri si
accontentano di affermare l'inconoscibilità dei trascendente, secondo il
celebre motto di Dubois Beymond "Ignoramus et ignorabimus" e
professano un agnosticismo più o meno temperato che lascia la
possibilità di ammettere l'esistenza di realtà sovrasensibili (come Dio)
non quale oggetto di scienza, ma quale oggetto di credenza e di sentimento,
quale postulato della vita morale, quale complemento delle nostre più alte
aspirazioni ecc. E' un atteggiamento comune anche ad altri sistemi, non
propriamente positivisti, ma anch'essi agnostici, specie di fronte ai
problemi religiosi. Tali sono ad esempio:
A) IL
FIDEISMO. Alla realtà trascendente pretende di arrivare con la fede, fede
intesa non nel senso cristiano ( assenso dell'intelletto a una verità per
l'autorità di Dio rivelante) che è atto pienamente ragionevole, ma come un
movimento della volontà affettiva dovuto a certe esigenze latenti nella
subcoscienza, per cui l'uomo è portato ad affermare queste realtà che
trascendono il mondo materiale e sensibile.
B) Il
PRAGMATISMO. Mancando criteri intellettuali per conoscere verità
trascendenti, ricorre al criterio pratico dell'utilità. < E' vero ciò
che è utile ". E' la filosofia dell'utilitarismo che risente dello
spirito pratico e positivo del popolo americano in mezzo al quale è nata (Peirce,
James, ecc.) ed è chiamata dal Gutherlet: La filosofia del dollaro. Gli
stessi principi sono applicabili alla morale e alla religione: sono veri e
buoni certi principi di morale perché utili alla salute, è vera e buona la
religione perché utile all'individuo e alla società.
C) Il
MODERNISMO. E' un vero agnosticismo religioso, sorto in seno al
cattolicesimo verso la fine del secolo scorso per opera specialmente di
Tyrrell in Inghilterra, di Loisy in Francia, di Fogazzaro e Murri
(attualmente Buonaiuti, scomunicato vitando, e discepoli) in Italia,
dichiarato da Pio X la sintesi di tutte le eresie e condannato con
l'enciclica "Pascendi" come contrario alla fede e alla
ragione. Esso afferma che alle verità religiose non si può arrivare col
raziocinio. Le prove dell'esistenza di Dio e della verità del Cristianesimo
le dobbiamo cercare in noi, nell'intimo della nostra coscienza e nei bisogni
del nostro cuore. Il cuore ha delle ragioni che la mente da sè sola non
conosce. Pascal ha detto: "Dio ha voluto che la religione entrasse dal
cuore nella mente, non dalla mente nel cuore". Donde deducono, che
tutte le religioni sono ugualmente buone; vera è per ciascuno quella che
meglio a lui si adatta. La verità è quindi la conformità dell'oggetto coi
bisogni, i desideri, le esigenze del soggetto, e siccome queste mutano
secondo i tempi. i luoghi e le persone, anche la verità muta, è relativa,
donde il nome di relativismo dato a questi sistemi.
2. -
CONFUTAZIONE.
Il
positivismo agnostico rappresenta nota P. Zacchi - uno degli scogli più
pericolosi per 16 anime credenti. Esso è sotto un certo aspetto anche più
pericoloso del gretto materialismo, perché per la sua attitudine, in
apparenza tanto modesta e umile, incontra facilmente le simpatie degli
spiriti fiacchi che costituiscono sempre la maggioranza. Essi volentieri si
adattano a questa disonorevole rinuncia palliata da una pretesa impotenza,
felici di risparmiarsi, insieme alle noie della lotta, le responsabilità
legate alla vittoria sul dubbio. (Dio, vol. I, pag. 171).
a) Il
principio su cui si fonda il positivismo è falso.
Esso afferma
che noi possiamo conoscere scientificamente solo quello che cade sotto
l'esperienza sensibile. Volentieri riconosciamo che la nostra prima
cognizione è la sensibile, ed essa è il fondamento di tutte le altre; già
lo affermarono Aristotele e S. Tommaso. E' anche vero che il soprasensibile
non lo possiamo conoscere con gli stessi mezzi con cui conosciamo il
sensibile, ma non è affatto vero che conosciuto il sensibile, non abbiamo
mezzi per oltrepassarlo ed arrivare fino al soprasensibile. Questi mezzi
sono invece le relazioni necessarie che uniscono le cose sensibili con
quelle che trascendono i sensi e che direttamente non possiamo intuire.
Se un oggetto
mi si presenta come avente una determinata relazione, un reale rapporto con
un altro oggetto, avrò conosciuto l'esistenza di questo anche prima di
intuirlo. E ne conoscerò in qualche modo anche la natura, almeno per quel
tanto che conviene pensare dei secondo oggetto per non distruggere la
cognizione del primo. Entro in una stazione, e vedo una serie di carrozzoni
mossi: ho conoscenza di una forza motrice anche prima di intuirla. Studio un
fatto psichico, il pensiero; analizzandolo lo trovo indipendente dalla
materia e giudico del principio che lo ha emesso, vengo in cognizione
dell'anima. Vedo una statua; dico che un'intelligenza è qui venuta a
contatto con la materia, intelligenza tanto più alta quanto più perfetto
è il lavoro; per sapere che c'è stato un artefice, non c'è bisogno di
intuirlo. Leverrier studiando le perturbazioni di Urano, viene in cognizione
dell'esistenza di un nuovo pianeta, ne calcola la grandezza e la distanza
anche prima che Galle lo vedesse col telescopio e sperimentasse l'esattezza
dei calcoli di Leverrier.
b) Sono falsi
i criteri di verità proposti dai sistemi agnostici e contrastanti colla
natura dell'uomo che è essenzialmente essere ragionevole. Non neghiamo che
motivi alogici possano influire nelle nostre asserzioni, ma non è questo il
modo proprio di procedere della natura umana che non può rinunciare alla
sua prerogativa di essere ragionevole sia quando risolve i problemi di
ordine materiale sia, anzi sopratutto, quando deve risolvere i più
importanti problemi di ordine spirituale.
L'esperienza
stessa ce lo conferma.
Quando la mia
mente afferma la verità di qualche proposizione, anche di ordine
trascendente, la coscienza mi attesta, che sono mosso a ciò fare non dal
sentimento (molte volte anzi quella verità dispiace, ripugna, contrasta ai
sentimenti del nostro cuore), non dall'utilità (in certe circostanze
sarebbe forse più utile il contrario), non da un istinto cieco o da altri
simili impulsi, ma unicamente perché VEDE che così è, e dinanzi
all'evidenza non può dire il contrario, come avremo occasione di dimostrare
in alcuni casi particolari (lez. VI ecc.).
3. NOTA
1. - Come la
volontà concorra al conseguimento della verità.
Non neghiamo, anzi affermiamo che anche la volontà concorre al
conseguimento della verità:
a) in quanto applica l'intelletto alla ricerca lei vero. Nello studio
di tutte le questioni, specialmente se difficili, occorre uno sforzo
volontario per applicare la mente alla considerazione del suo oggetto;
b) in quanto fa tacere le passioni che non di rado impediscono di
vedere chiaro. Bisogna andare alla verità - diceva Platone - con tutta
l'anima;
c) in quanto fa piegare l'intelletto a questa o a quella parte,
quando manca l'evidenza intrinseca dell'oggetto, con un assenso opinativo,
ovvero anche con un assenso assolutamente certo, quando il motivo formale è
l'autorità di Dio rivelante, come avviene nell'atto di fede.
Ma di fronte alla verità evidentemente proposta, la volontà non c'entra
per nulla, nulla può fare. Lo stesso Renouvier, seguace del volontarismo,
non seppe rispondere a chi gli chiese se la volontà valeva qualcosa
nell'uguaglianza dei tre angoli del triangolo a due retti.
2. - In che
senso la verità sia relativa e mutabile.
Che la verità sia mutabile in se stessa in modo tale che dopo un certo
tempo diventi falso quello che ora è vero o viceversa, è un assurdo
inconcepibile. Chi potrebbe pensare che di qui a qualche secolo due più due
non faccia più quattro?
La verità è mutabile rispetto a noi nel senso che noi possiamo progredire
nella conoscenza della verità; ma non è propriamente la verità che muta,
siamo noi che mutiamo, progrediamo nella conoscenza di essa.
Il vero progresso scientifico non consiste nella distruzione del capitale
acquistato precedentemente, ma nel perfezionarlo, e nell'aumentarlo.
Quindi ingiusta è l'accusa di esagerata intransigenza contro la Chiesa
perché gelosa conservatrice dei suoi dogmi: Se sono veri, restano sempre
veri, come i teoremi di matematica. In questo la Chiesa non cambia, nel
resto non ha difficoltà di adattarsi ai tempi.
Bibl. VANNI
ROVIGHI, Elementi di Filosofia (Logica), Como Cavalleri (cap. II). -
VIDONI, Il problema dell'unità come introduzione alla filosofia, Torino,
Bocca, 1935 (cap. V); ZACCHI, Dio, Roma, Ferrari, Vol. I, cap. IV-VII.
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