IL VATE, CHI ERA COSTUI ? |
«Tutta la sua esistenza, votata alla ricercatezza, all'eleganza e al lusso si fonde con l'invenzione letteraria: la stessa vita privata e sentimentale si fa spettacolo per il pubblico, attirando su di lui (così elitario negli atteggiamenti e nell'ideologia) un interesse popolare mai raggiunto prima da nessuno scrittore. |
Nella sua abilità a servirsi dei primi mass media (e della fotografia) per dare risonanza alle personali "imprese" sportive o politico-militari e costruire la propria immagine pubblica d'eccezione, D'Annunzio anticipò il fenomeno del "divismo" tipico dell'odierna società di massa. Diede ulteriori prove di moderna sensibilità pubblicitaria inventando nomi per alcuni prodotti commerciali (la penna Aurora o il liquore Aurum) ed essendo tra i primi letterati a entrare in rapporto col cinema. |
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Non andò meglio alla schiera delle amanti, a partire da Barbara Leoni ( … ) la celebre Barbarella il cui epistolario venne travasato da Gabriele nelle pagine dei Trionfo della morte. E neppure si salvò la più famosa di tutte, la grande attrice drammatica Eleonora Duse, di cinque anni più anziana di lui. Il loro incontro aprì al poeta una carriera di drammaturgo. Invece lei fu soprattutto sfruttata a e umiliata. Fra le poche che non si lasciarono sopraffare si può annoverare la trasgressiva pittrice polacca Tamara de Lempicka ( … ), che non sì lasciò troppo impressionare dalle esibizioni priapesche dei Vate». (Roberto Barbolini su "Panorama", 22/03/01, p.203) |
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«Se non erro, fu mentre scriveva La
Città Morta che Gabriele D'Annunzio soggiornava, insieme alla Duse,
nella Villa Borghese a Nettuno. Me ne parlò, poi, come di un posto
incantevole, e mi disse che si potevano subaffittare degli appartamenti
lí dentro da un signor Andrea. (era questo il suo cognome) che aveva
preso in affitto la villa dai Borghese
[…. ] Quando seppe che avevo seguito il suo consiglio e che stavo a Nettuno, D'Annunzio mi mandò a dire che un giorno o l'altro sarebbe venuto a vedermi. E difatti venne, ma non mi sembrava che. fosse per godere della mia compagnia. Aveva con sé una signora, che conoscevo di vista, alta, bionda e bella. La signora portava una bellissima pelliccia di zibellino. Difatti quel giorno faceva quasi freddo e tirava un gran vento dal mare. […] Appena
entrato, D'Annunzio mi chiese di poter andare su balcone. Gli feci,
osservare che pioveva a dirotto, ma ciò non
lo distolse dal suo proposito. Andarono entrambi ad appoggiarsi
sullo sporto marmoreo, come per godere le tepide aure primaverili e la
vista del parco e del mare. Ed Io mi affrettai, a chiuder loro, dietro la
porta a vetri, perché il vento
mi mandava all'aria le carte
sulla scrivania. Rimasero lì fuori una buona mezz’ora. Quando batterono sui vetri per farsi aprire, quel bel mantello di zibellino era zuppo fradicio, come il manto di un setter che esce dall’acqua. [...] Che la conversazione di D’Annunzio potesse essere affascinante, lo sapevo. Ma perché andarla a sentire sotto un acquazzone […] Sono le pazzie – e le pose – dell’amore». (Daniele Vare’, Il diplomatico sorridente, Verona, Mondadori, 1941) |
«…. [La Duse]
Passò quindi alla infatuazione per G. D’Annunzio (1895) non disgiunta
da interesse artistico da ambo le parti: ella per l‘autore principe del
momento che le offriva la possibilità di emergere nella recitazione dei
suoi capolavori; lui per l’attrice più celebrata d’Italia che avrebbe
certamente giovato al miglior successo delle sue produzioni teatrali. Ma
tutti sappiamo della volubilità di D’annunzio ed anche con esso la Duse
patì le amarezze più atroci». (Eligio
Possenti, I teatri del primo Novecento, [s.l.], 1987, p.160) |
«Per Eleonora i versi più noti: l'inizio del manoscritto autografo de La Pioggia nel pineto, la lirica più famosa di tutta la produzione letteraria di D'Annunzio. Il pretesto narrativo della lauda è una passeggiata del poeta nel bosco con Ermione: un nome che nasconde l’identità, almeno sentimentale, di Eleonora Duse. L'attrice trascorse col poeta le estati dal 1899 al 1903. Umiliante, per la Duse, fu invece la pubblicazione dei romanzo "Il Fuoco", dove D'Annunzio, ritraendola nel personaggio di Foscarina, ne descrisse senza pietà i passati amori e la decadenza fisica. Oltre ai molti tradimenti sentimentali, la Duse dovette subire anche delusioni professionali, come nel 1904, quando si vide sottrarre la parte di "Mila" nella tragedia La figlia di Iorio. (Federico Ronconi e Bruno Rossi, 1876/1986: Dieci anni e un secolo: D’Annunzio, 1986, inserto del “Corriere della Sera”) |
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Il
dubbio della Duse: il Vate l’aveva derubata? L’hotel Ariosto al è
legato al mito di D’Annunzio e della Duse «La
vecchia villetta affittata allora dal poeta [al
Lido di Camaiore in Versilia] – erano gli anni 1900, 1901 e 1902
– fu poi venduta dalla Keller [Armanda Keller] all’ambasciatore Rolandi Ricci; ristrutturata,
dopo anni si è trasformata nell’attuale hotel Ariston. Il D’Annunzio
e la Duse ci trascorsero tre estati, praticamente le prime due felici.
Nel 1901 il poeta vi scrisse la “Francesca da Rimini”. Anni felici,
abbiamo detto anni in cui pareva che l’unione D’Annunzio – Duse
potesse anche durare. Il sodalizio attrice e scrittore sembrava poter dare
frutti per lungo tempo. Non accadde cosi; la “casa rossa” versiliese
fu l’ultima parentesi che legò i due. L’anno dopo, il loro ultimo
soggiorno nella villa della Keller, Gabriele – questa volta
lui e la Duse hanno scelto di passare l’estate sulla spiaggia
laziale, Gabriele, dunque incontra la sua nuova fiamma: Alessandra Rudinì
occupa il campo. Eleonora sa ormai che tutto sta per finire. Ed ecco nel
frugare nell’archivio di quel grande fotografo che fu Mario Nunes Vais [
…], ecco dal suo archivio uscire una lettera della Duse medesima, datata
il dicembre del 1903, finora assolutamente inedita, nella quale è facile
indovinare quello che sta accadendo fra i due. Mario Nunes Vais sta
attendendo quel giorno la Duse per una serie di foto, ma lei gli scrive di
non potere recarsi da lui: “Sono
spiacente, ma noiosa cosa mi tiene occupata da una settimana …”.
Parrebbe un futile motivo, ma poi il ritmo della lettera muta di intensità.
“Sono costretta a verificare oggetto per oggetto, per un “inventario”
che non dubitavo esser forzata a fare …” Ed è lei che ha
sottolineate le due parole, lei che ha virgolettato la prima. L’ “inventario” è duro. “Forzata”
lei a farlo. Che il Vais capisca. La lettera indica la fine di un sogno.
L’inventario è in rosso». (Marcello
Vannucci ne “il Gazzettino” 10/06/1988, Tavola rotonda a Camaiore) |
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Dall'Alpi alle Piramidi ... |