Sulle TRACCE di un editore
Pasolini, i capelli lunghi e l'anarchia...
di Gordiano LUPI - Scrittore Esordiente e Direttore della rivista "Il Foglio Letterario"
Questa storia di ordinaria follia, per dirla con zio Buck, ebbe inizio circa tre anni fa, quando situazioni
personali e di lavoro mi riportarono a casa, dopo anni di assenza forzata. Cominciai a scrivere racconti
che narravano la vita di provincia ed erano ambientati in una Piombino industriale e marinara. Parlavano
di solitudini e ritorni.
I personaggi sceglievano una vita naturale e rifiutavano i falsi miti di carriera e denaro.
Non tutte le storie erano allo stesso livello, però le migliori piacevano e vincevano anche qualche premio.
Cominciai ad accarezzare l'idea di ricavarne un libro.
Fu proprio in quel periodo che mi capitò tra le mani TRACCE, una rivista che si stampava a Piombino da
anni. L'avevo conosciuta e letta ai tempi del liceo.
La ricordavo com'era negli anni settanta, rivoluzionaria e coraggiosa. Pubblicava racconti
underground e storie vere. L'editore era un anarchico che aveva abbandonato il lavoro in fabbrica
per una scelta controcorrente, quella di dedicarsi alla fotografia e alla piccola casa editrice che
portava lo stesso nome della rivista. Un fotografo di strada, un randagio della letteratura, come amava
definirsi. Un tipo affascinante, dalla parola sciolta e i modi affabili. E poi era un anarchico e io mi ero
sempre fidato delle persone coraggiose che rifiutavano catene e padroni.
La rivista non sarebbe più uscita dopo quel numero, i fondi erano esauriti.
Lo avrei saputo solo qualche mese dopo.
Ricordo che mi piacque molto. Parlava di Pasolini e del '68, vecchi miti inossidabili, c'erano
articoli interessanti e aveva un'ottima veste grafica.
Decisi di mandare in visione alcuni racconti.
L'editore entusiasta si fece vivo dopo appena tre giorni.
"Sai che sono belli?" mi disse.
Lo ringraziai soddisfatto e anche un po' emozionato.
"Allora li pubblicherà su Tracce?" risposi.
"Non solo - fece lui - ne potremmo ricavare anche un libo".
Un libro. La cosa mi lusingava. I miei racconti sarebbero diventati un libro.
Ci vedemmo a casa sua e parlammo di tutto. L'editore mi disse che produrre un libro aveva dei costi e
che occorreva un contributo da parte mia, lui però avrebbe mandato le copie ai critici e alla stampa,
avrebbe organizzato presentazioni in Toscana e curato la distribuzione nelle Feltrinelli di tutta Italia.
Tiratura mille copie, per iniziare potevano bastare. Dovevamo solo selezionare i migliori racconti e quelli
scartati sarebbero andati su Tracce. Intitolammo l'opera LETTERE DA LONTANO.
Io corressi le bozze e infine staccai l'assegno, che era molto più di un semplice contributo. L'editore
in cambio mi consegnò cinque o sei scatoloni di libri e non si fece più vedere. La stampa si occupò del libro
solo perché glielo inviai personalmente. Non lo avrebbero avuto neppure le librerie locali, se non ce le
avessi portate io. L'editore distribuì manualmente qualche copia a due librai amici, assicurandosi che
mettessero in vetrina il libro, così io sarei stato tranquillo.
Non impiegai molto a capire che l'interesse dell'editore si era esaurito con la consegna dell'assegno.
Ma ormai era troppo tardi.
Il seguito della storia parla di presentazioni organizzate con le mie sole forze, di rapporti con i
librai tenuti di persona e di numerose partecipazioni a premi letterari (che spesso ho anche vinto perché
il libro non era da buttare).
Lui partecipò solo alla serata organizzata dal comune di Piombino.
In definitiva posso dire di essere stato un ottimo promotore di me stesso e di aver appreso dalla
vicenda alcune regole di marketing, oltre a una salutare lezione di vita.
Ho contattato la stampa, richiesto recensioni, fatto pubblicità e concorsi.
Il libro ha venduto, soprattutto dopo i numerosi riconoscimenti ottenuti, però con un editore vero
avrei potuto fare molto di più.
Ed è questo il mio rammarico, oltre al fatto che se avessi prodotto Lettere da Lontano con il
Circolo Culturale "Alessandro Appiani" e con le piccole Edizioni del
Il Foglio Letterario, come
supplemento al giornale che dirigo, avrei speso quasi niente ottenendo gli stessi risultati.
La vicenda termina con un episodio recente. Alla mia lettera, che sollecitava un rendiconto
vendite, mi risponde il suo avvocato. E la risposta è precisa.
Non è previsto alcun obbligo di rendiconto e l'editore può fare cosa crede delle sue copie.
L'avvocato mi avverte che il suo cliente, molto magnanimamente, è disposto a liberarmi dal contratto
e a rinunciare ai diritti sulle future pubblicazioni, altrimenti sarei vincolato a lui fino al 2003.
Purtroppo è vero, c'è un accordo firmato in tal senso.
Come è vero che non bisogna fidarsi degli editori a pagamento, anche se sono anarchici e portano
i capelli lunghi, anche se amano Pasolini e hanno fatto il '68.
Non bisogna fidarsi, perché sono solo stampatori a piede libero e se si vuole stampare un libro
basta andare in tipografia.
Si risparmia molto denaro, si ottengono gli stessi risultati e soprattutto non si
finanziano attività editoriali che poco o niente hanno a che spartire con la cultura.
Gli autori dei racconti della sezione "Esperienze" del Rifugio si assumono tutte le responsabilità per i contenuti delle
loro storie. Il Rifugio, comunque, non avendo alcun motivo per dubitare della veridicità di queste vicende, offre tutta
la sua solidarietà alle vittime di queste avventure, ed è orgoglioso di poter pubblicare sulle proprie pagine queste
preziose testimonianze.
|