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E’ più importante la forma o la sostanza?
di Beppe AMICO - Editore e Scrittore
A nostro avviso, né la forma, né la sostanza in sé sono determinanti per il successo di un opera letteraria,
sia questa un saggio, un lavoro di prosa, una biografia o una ricerca specifica su qualcosa
o qualcuno.
Certo, la sostanza è di gran lunga più importante rispetto alla forma, ma il mercato
editoriale odierno non sembra guardare con particolare interesse né all’una né all’altra,
quanto piuttosto alla originalità del tema trattato e al modo con cui questo viene affrontato.
A nostro modesto avviso, un libro può diventare un successo, a patto che faccia parlare, che
sia originale, che contenga uno scoop, una notizia o un’idea clamorosa, mai sentita, mai letta,
mai scritta o un ripescaggio, anche di vecchia data, sapientemente riattualizzato all’epoca
corrente.
Non è azzardato perciò affermare che la creatività è di gran lunga la migliore compagna
delle nostre opere letterarie, è la sola che ci possa garantire un lavoro degno di essere letto.
Il problema è che la creatività costituisce un dono innato, come l’intuito, l’ispirazione.
Non è qualcosa che si possa acquisire o comprare. O c’è o non c’è!
E allora, come fare se la nostra forma mentis non ci permette di far parte della schiera
eletta delle persone creative?
Niente paura…ci sono altri modi per realizzare un’opera creativa: avere un’istruzione superiore,
che può in parte sopperire alla mancanza di creatività; guardare bene alla sostanza del libro, senza
badare troppo alla forma. In questo caso la sostanza è più importante della forma, per lo meno nella
prima fase di realizzazione del libro, nel momento in cui si appronta la griglia di argomenti.
E’ vero infatti che i lavori troppo forbiti dal punto di vista dell’espressione letteraria, sono
mal visti in tutte le case editrici. I fronzoli inutili, i fraseggi complicati, le digressioni,
esprimono una personalità complicata, che presume di sé, eccessivamente ampollosa nelle
manifestazioni e quindi poco incline alla sincerità, poco avvezza a scrivere ciò che è vero o che
può sembrare tale.
Sia l’editore che il lettore se ne accorgono, anche se questo tipo di atteggiamento non è espresso
in maniera manifesta.
Il più delle volte, i soggetti di questo tipo, si fanno prendere da una mania esagerata di
protagonismo, si inventano espressioni contorte, copiano fraseggi e stili letterari che li hanno
colpiti, magari attinti pari pari da altri libri e non badano alla sostanza dell’espressione e del
concetto.
E’ vero che i libri si fanno con altri libri, come dice Vittorio Messori, ma bisogna fare attenzione,
perché si rischia di spersonalizzare l’intero lavoro.
Usando questo metodo di lavoro ci si limita a fare solo ipotesi e nessuna tesi; l’opera risulta
fredda, sterile, senza comunicativa interiore, traspare l’ipocrisia, vengono celate tutte le buone
intenzioni e i risultati sono pessimi.
Ci siamo accorti, in questi anni di lavoro, che quello che veramente conta è l’amore (nel senso di
trasporto che porta a compartecipare alle sofferenze degli altri, a condividere gioie e dolori) il
coinvolgimento emotivo a livello interiore, con cui viene investita l’intera opera letteraria.
Il lettore non è in un ruolo passivo, non accetta a piè pari tutto ciò che gli viene proposto,
egli s’accorge se l’autore è pervaso da sentimenti di sincerità e di umanità mentre scrive o se
viceversa il libro è costruito per il mercato editoriale, solo per rispondere ad un’esigenza
commerciale.
Per ciò che riguarda la mia esperienza posso testimoniare che il successo, l’accoglimento o
meno di un libro dipende proprio da questa particolarità.
Ho avuto la fortuna di scrivere il mio primo libro in una condizione di alta ispirazione
creativa, mai ripetuta negli altri lavori, per lo meno con quelle caratteristiche e con
quell’intensità. Ritengo che sia stato un dono gratuito concessomi da chi sta più in alto di
noi e per questo ringrazio.
Non posso in questa sede raccontare come ciò sia avvenuto, manca lo spazio per poterlo fare,
ma non ho alcuna difficoltà a ribadirlo di nuovo: ciò che conta è l’amore, l’intensità con la
quale siamo in grado di comunicare i nostri sentimenti più intimi, gli spazi reconditi dell’anima
spirituale. A poco a poco scopriremo se la professione di scrittore è una vocazione alla quale
siamo stati chiamati, anche per il bene comune, o se si tratta di una strada che non ci offre
sbocchi di sorta.
Questo concetto si può applicare non solo alla scrittura, ma a qualsiasi altra forma espressiva.
Se l’opera è pervasa dall’amore (non quello umano, soggetto alle limitazioni della condizione
materiale, ma quello spirituale che eleva la creatura nelle altezze dello spirito) essa diventa
altamente creativa, perché è l’espressione vera di noi stessi, senza maschere, senza trucchi.
E l’immagine reale di noi, è quella che più piace vedere alla gente che desidera un’immagine
credibile dello scrittore.
Non c’è spazio per le finzioni, per le cose irreali. L’umanità vive fin troppo nell’irreale,
nel suo mondo fantastico, quello che si crea per fuggire dalla realtà mondana che non lo soddisfa.
Essa ha bisogno di certezze e non c’è niente di meglio che comunicare loro esperienze di vita
vissuta, in cui possa in qualche modo riflettersi, identificarsi per poter attuare una buona
forma di socializzazione.
La mitomania, la fuga dalla realtà in un mondo alternativo, può essere un palliativo che cura
i sintomi del malessere, ma non serve a dare risposte ai grandi problemi dell’esistenza, a curare
le ferite dell’anima, a colmare lo sconfinato senso di vuoto che pervade la vita di ciascuno.
Alla fine tutti noi dobbiamo convivere con il mondo reale, fatto di gioia e di sofferenza, di
sconfitte e di vittorie e questo ognuno di noi lo sa.
Né esclusivamente forma, né solo sostanza nei vostri scritti, ma creatività, verità, lealtà,
perché la sostanza implica una certa critica che diventa costruttiva solo quando è condivisa
da molti, solo quando prende le difese della collettività; se si schiera dalla parte di un’élite
non diventa verità, ma ipocrisia.
L’umiltà con la quale si scrive è determinante per l’autore che si accinge a vergare sul foglio le proprie idee.
Anche in questo caso sono valide le stesse considerazioni che facevamo per la creatività.
Ne complicazioni, né dotte riflessioni quindi, ma semplicità.
Siamo rimasti colpiti, in più occasioni, dal successo di molti libri scritti in una forma
semplice e comprensibile da tutti; ci siamo chiesti se convenga cercare di scrivere in modo
forbito e ricercato o se queste “strategie” vadano a discapito dell’intera opera. Abbiamo
concluso, nella nostra piccola esperienza, che è meglio farsi comprendere dalla massa, piuttosto
che farsi capire da pochi dotti (forse da nessuno, perché quei pochi non leggeranno certo
un nostro libro, fintanto che non diventeremo scrittori famosi e presenti sui tabloid di
mezzo mondo).
Concludo questa mia riflessione con un brano tratto dal mio terzo libro “Ipotesi su Fatima”
pubblicato da Reverdito edizioni nel 1997. In questo pensiero c’è la sostanza di ciò che,
a mio avviso, lo scrittore dovrebbe comunicare ai propri lettori e cioè identificare un’idea
creativa, un valore nuovo che possa essere condiviso da tutti e svilupparlo, proporlo,
manifestarlo con amore, sincerità e semplicità, anche adottando una forma critica se vogliamo,
ma purché questa sia costruttiva.
Eccolo:
“Questo lavoro non ha certamente la pretesa di essere completo, anzi, per qualcuno sarà
carente e forse scontato per qualche mariologo che la sa più lunga di me, ma mi sembra genuino,
semplice, immediato, alla portata di tutti e soprattutto scritto col cuore. Ed è questo lo scopo
del libro, informare, senza la presunzione di imporre una tesi definitiva, un’ideologia
totalizzante, ma semmai, per dirla con Vittorio Messori, per “condividere insieme al lettore,
certe verità più alte, più sublimi”, per “unirmi a lui in una verità più alta”.
Quando si è ancora in piena ricerca, come me, il rischio è quello di ridurre eccessivamente
un concetto, talvolta di banalizzarlo, trasformarlo in qualcosa di semplicistico. Ebbene non è
questo il nostro intendimento. Siamo convinti che molte delle tesi sostenute in quest’opera,
siano già state discusse, vagliate, studiate da qualcuno più preparato di noi. Ma tra le molte
“ipotesi” e innumerevoli chiavi di lettura su Fatima di altri colleghi, che ci hanno preceduto
nello studio e che sono state preziosissime per la stesura di queste pagine, ci è sembrato
di averne identificate alcune di inedite, che ora proponiamo a tutti voi in queste pagine,
che certamente sono suscettibili di evoluzione, autocritica, modifica”.
Buona scrittura a tutti dunque e fate che sia per il bene comune, per l’innalzamento
materiale e spirituale di tutta la collettività e non per difendere idee e valori che uccidono
la verità e la vita.
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