I.P.I.A. "E. MATTEI"  -  Latina

 

 

 

 

 

LA   SAGRA     DELLE     TORCE

La “sagra delle torce” è l’avvenimento che più di ogni altro sconvolge la vita di Sonnino, paese che sembra incarnare il proprio nome conducendo una vita sonnacchiosa durante tutto l’anno.

Espressione    d'autentica   ricchezza   della   cultura    tradizionale, la spettacolare   manifestazione, che si   svolge in occasione   della solennità   dell’Ascensione, ha origini   antichissime, riconducibili   alle    famose “Terminalie” romane, festività di gioia agreste per   la ricognizione   di termini e confini.

La “sagra delle torce” esplode come una festa, ma reca con sé, evidenti, le tracce di antiche e recenti tragedie. Essa è la conflagrazione di tutte le componenti, che, lungo i secoli, si sono stratificate nell’anima di questa comunità.

Paganesimo e cristianesimo, fede e miscredenza, gioia e lamento, festa ed espiazione vengono per incanto alla superficie, da una profondità che affonda nei secoli, nascosta da un esile velo.

 

 I Preparativi

All’alba della vigilia dell’Ascensione i sonninesi escono dalle case con un'eccitazione misteriosa che li pervade. E’, appunto, la "magica spugna", che comincia a sfregare sulle pareti della memoria e della fantasia, prorompendo dall’inconscio!

A poco a poco una vera e propria folla si raduna nel santuario di Sant’Angelo, dove si celebra una messa solenne.

 

 LA  PARTENZA

All’ arrivo  dei  << caporali >>  e  del  sacerdote  sulla  piazza  si  compone  il  corteo,  che si avvia solennemente verso i  monti.  Il  viaggio  è  lungo,  ma  la  prima  meta  è  vicina.  La  folla  si  accamperà   su  una  collinetta  alla  periferia  alta  del  paese.  Per  raggiungerla,  il  corteo  percorre  una  strada  che  lascia  le  case  sempre  più  in  basso. Intanto,  le  campane  rintoccano festose dai davanzali  delle  monofore.  I  fucilieri  sparano  in  aria  colpi  a  ripetizione.  I  ragazzi  si  rincorrono  da un  capo  all’ altro  della  carovana.  Le  donne  cantano  a  piena  gola  le  litanie.  I  <<caporali >> si accalorano e si infervorano nell'impartire le  ultime  disposizioni.  C’è  tutto  il   paese,  che  si  rimescola  nel  frastuono  festoso,  come  un  nugolo  di  moscerini  sulla  bocca  di  un  tino,  ubriacati  dall’  odore  del  mosto.  Sulla  collinetta  il  sacerdote  benedice  i  parenti  e  rientra  nel  Santuario,  seguito  da  coloro  che  resteranno  nelle  case.  I  <<torciaroli >>,  al  contrario ,  proseguono  il  cammino  appena  incominciato.  Ognuno  è  munito  di  una  torcia  e  di  uno  zaino,  nel  quale  c’è  il   <<viatico>>:  sono provviste rustiche,  alle  quali  la  fatica  della  lunghissima  marcia  darà  davvero  i  sapori  della  manna.

La festa consiste, soprattutto, in una processione notturna intorno al territorio del paese. Inizia con solenni vespri nel pomeriggio precedente la festività dell’Ascensione, celebrati nel santuario di Maria SS. delle Grazie, dove vengono benedette cinque torce di cera vergine, di cui quattro per i caporali da portare sui monti e una per il sacerdote.

Dopo i solenni vespri la lunga colonna di torciaroli, accompagnata da gruppi di cacciatori armati che sparano a salve, s’inerpica sulla via dei monti e per tutta la notte, al canto delle litanie, percorre, divisa in due schiere, scoscesi sentieri ed aspre giogaie (i confini del territorio), rientrando in paese solamente all’alba del giorno successivo, accolti dovunque con tripudio e commozione della popolazione.

Molto suggestivo è il quadro notturno che si dispiega nella serata inoltrata (ore 22), quando la processione dal costone delle serre ritorna in vista del paese, adagiato sul colle sottostante.

In tempi passati, allo spuntare delle torce, le ragazze si spuntavano le trecce, per la credenza che sarebbero ricresciute più folte e più belle; le donne si affrettavano a chiudere le cisterne, per la credenza che, se si continuava ad attingere acqua durante l’Ascensione, essa si sarebbe inevitabilmente inquinata; le fattucchiere, in quel momento magico, e solo in quello, insegnavano alle loro figlie le formule e le giaculatorie per togliere il “malocchio”.

Verso le ore tre del mattino, le due schiere dei torciaroli si riuniscono nella contrada Sassa e proseguono verso il paese, sostando nella chiesetta della Madonna della Misericordia, in quella del Cimitero e nel santuario della Madonna delle Grazie, per una funzione di ringraziamento.

Nelle ore seguenti, i caporali tagliuzzano le loro torce sacre di cera vergine, consegnando i pezzetti alla popolazione, che li conserva accendendoli (in seguito) solo come scongiuro in caso di gravi calamità. 

I torciaroli ed i cacciatori armati portano con sé zaini con viveri e bevande da consumare durante il lunghissimo itinerario.

La popolazione accende grandi falò e rifocilla i torciaroli con generi di produzione propria. Un tempo, per rifocillarsi, sui monti i torciaroli portavano i cosiddetti << canescioni>>, dolci rustici tipo focaccia ripiena con formaggi di capra freschi.

La manifestazione non ha eguali in nessun altro luogo d’Italia.

Vari autori di storia locale hanno tentato d’inquadrare la manifestazione in un preciso contesto storico. Nella manifestazione sonninese troviamo punti di contatto e di identificazione con ritualità antiche, la presenza di cacciatori armati, torce sacre, dolci sacrificali (canescioni) e donne scalze in funzione mistica e propiziatoria in favore della maternità, della famiglia e della prole.

Intorno al IX-X secolo, si rifugiarono in Sonnino, gruppi di profughi bizantini, che avevano già nella loro liturgia manifestazioni simili, dedicate, appunto, al sacro fuoco, che, come in antico, riassumeva il concetto della rivelazione divina. Alle torce a vento,  di legno secco, sostituirono quelle di cera vergine (zaura) tuttora esistenti. Introdussero nell’antico culto la liturgia religiosa della penitenza.

Particolare interesse è quello che lega anche la comunità di Priverno a tale ritualità. Da tempo immemorabile la comunità sonninese, nel giorno dei Santi Pietro e Paolo, doveva consegnare ufficialmente ai maggiorenti di Priverno una torcia di cera zaura (grezza) a titolo di consorzio, cioè come manifestazione volontaria. Intorno al 1500 tale volontario omaggio venne trasformato dai privernati addirittura in tributo, e da ciò nacquero liti e vertenze giudiziarie a non finire, alimentate sempre da un malinteso senso di campanilismo. Si trattava, sembra, di un’antichissima tradizione legata a tali ritualità che andava, invece, mantenuta per la importante continuità storica.