|
|
|
Giovanni Boccaccio
Boccaccio e il suo tempo
L'atteggiamento di Dante di fronte alla vita reale era stato quello del censore, del giudice, del moralista che mette a nudo i vizi dell' umanità, ne indica i rischi in rapporto alla vita eterna, suggerisce i rimedi per il riscatto: Dante si presentò come l'ultimo degli Apostoli di Cristo, se non addirittura come un novello Messia di Dio. La sua coscienza, interamente calata nell'ascetismo medievale, fu tetragona di fronte alle lusinghe del mondo.
Non così il Petrarca, che certamente nutrì gli stessi propositi, come testimoniato dai "Trionfi", ma non trovò la forza morale per perseguirli: l'attrazione della terra fu in lui più forte di quella del Cielo ed egli non seppe e non volle sottrarsi alle lusinghe mondane, sia pure con grave tormento dell'anima. In effetti egli rappresentava inconsapevolmente l'esaurimento di una ideologia tesa a negare ogni valore alla vita terrena.
Il Boccaccio invece rappresentò il superamento di questa ideologia. Per così dire, egli saltò il fosso e aderì pienamente alla vita terrena così com'era. Per giungere a tanto gli era bastato scrollarsi di dosso il peso della "morale", la responsabilità del "giudizio" sui pensieri, sulle passioni, sulle azioni degli uomini.
E' però da dire che il suo atteggiamento nei confronti della vita terrena non maturo lentamente attraverso un faticoso cammino della coscienza, attraverso una ricerca filosofica, ma sorse per una genuina inclinazione del suo "istinto" umano. E sotto questo aspetto coglieva involontariamente il senso del nuovo corso della coscienza collettiva. Come disse il De Sanctis, il "Decameron" "parve rispondere a qualche cosa che voleva da lungo tempo uscir fuori dalle anime, parve dire a voce alta ciò che tutti dicevano nel loro segreto... Il Boccaccio fu dunque la voce letteraria di un mondo, quale era già confusamente avvertito dalla coscienza". E il Cappuccio, commentando questo giudizio, così scrive: "I1 De Sanctis volle sottolineare la distanza fra la concezione che ha il Boccaccio della realtà e quella che ne aveva avuta Dante, e chiamò il "Decameron" la "Commedia umana". E certo i personaggi e le vicende del "Decameron" sono radicati sulla terra, nessuna provvidenza trascendente penetra in quel mondo e ne regola il ritmo con una sua legge morale, i motivi religiosi cari a Dante e al medioevo tacciono... La vita è guardata dalla terra, non dal cielo: la forza che la domina è la natura con i suoi istinti, ai quali appare vano ribellarsi".
Il Boccaccio fu dunque antesignano di quella rivoluzione filosofica, religiosa, morale che prenderà corpo nella concezione della vita che si dirà ''rinascimentale'' ma lo fu per istinto e non per conquista di natura culturale. Giustamente osserva il Momigliano: "...rispetto all'umanesimo inteso come movimento filologico e filosofico egli ha un'importanza assai minore del Petrarca. Rispetto, invece, all'umanesimo inteso come atteggiamento di coscienza, come mutamento del senso della vita, egli segna con il "Decameron" un rivolgimento assai più evidente e più largo non solo della "Divina Commedia" ma anche del "Canzoniere". Con il "Decameron" la vita terrena diventa, senza forti attenuazioni e turbamenti, il tema della poesia".
|
|
|