Il romanzo "La disubbidienza" del 1948 mette in crisi il mondo esterno, così come "Gli indifferenti" avevano fatto con l'interno di una famiglia borghese. E' stato definito la tragedia della disubbidienza di un ragazzo borghese di fronte alla realtà della sua classe e di una società strutturata secondo l'ideologia moralmente e vitalmente degradante di questa classe stessa. Il protagonista,Luca, si trova davanti un mondo già fatto, privo di etica e di vitalità, ma che egli non può eludere
perché è l'unica forma di esperienza che gli si presenti praticabile. La disubbidienza esprime quel clima in cui la borghesia, dopo la tragedia e l'orrore della guerra, ha finalmente disubbidito ed ha rinnegato un mondo chiuso per costruire, al riparo di una nuova chiusura, una nuova realtà. La classe dirigente, quella di prima della guerra, sta dunque cercando di crearsi una nuova verginità: essa deve superare e smentire l'antica identità, fingendo di essere rinata, di essere una classe dirigente nuova. La disubbidienza si può inserire nella serie dei romanzi del dopoguerra cosiddetti a tesi: Moravia analizza l'alienazione che scuote un adolescente borghese proiettandolo nella negazione e nella rinuncia. Luca, il liceale protagonista della storia, intuisce oscuramente che il nesso che unisce l'uomo al mondo circostante non è solo l'impulso sessuale ma anche la ricchezza data dal denaro. Un rapporto chiaro e pulito, vitale ed armonioso con il mondo, quello a cui aspirano Michele ed Agostino, non esiste se non al di là di un rifiuto del possesso del denaro come fonte di ricchezza. Fin da piccolo Luca veniva fatto pregare dai genitori inginocchiato davanti ad una immagine sacra. Ma una notte Luca, entrato casualmente nella loro camera, scorge i genitori seminudi, inconsapevoli che egli li sta osservando, che con le braccia piene di banconote contano le loro ricchezze di fronte ad una cassaforte aperta, celata dietro l'immagine sacra davanti alla quale Luca aveva pregato durante l'infanzia. "Più tardi, ripensando all'incidente, comprese che se non la causa prima, esso era stato certamente l'occasione principale per il progress1vo scadimento dei genitori al rango di cose straniere e non amate". Questo è dunque uno dei numerosi incidenti di cui Moravia si serve, sul piano narrativo, per esporre e dimostrare razionalmente la tesi del rifiuto di Luca alla vita. All'inizio del romanzo il ragazzo ricorda l'incidente occorsogli l'estate precedente al mare,
allorché la scossa elettrica gli aveva bruciato i polpastrelli in forma grave; più tardi, tornando con il treno in città alla fine della villeggiatura, era stato deluso dolorosamente dai genitori che, dopo avergli promesso il pranzo al ristorante, senza consultarlo avevano preferito risparmiare imponendogli i soliti panini da viaggio, il che gli aveva creato un disgusto ed una ribellione, una rabbia sorda, che l'avevano portato a vomitare sulla locomotiva del treno da cui era appena disceso. Poi, rientrato nella routine giornaliera, la rabbia si trasforma in una violente volontà di rinuncia e di abdicazione: "Luca non si intendeva di termini di lotta sociale: altrimenti non avrebbe tardato a riconoscere nella nuova forma che assumeva la sua rivolta contro il mondo le caratteristiche dello sciopero" Luca dunque mette in atto un piano di rifiuto che si concretizza nel non studiare, nel distrarsi, nel dormire per ore anche di giorno abbandonandosi al torpore con voluttà; e ancora egli viene escluso per sua scelta dal gioco dei compagni di scuola che finiscono per andare a giocare a pallone nella villa comunale senza di lui. "La parola disubbidire gli piacque
perché gli era familiare: durante tutta l'infanzia e buona parte della puerizia aveva sentito dire da sua madre che doveva ubbidire, che era disubbidiente, che se non ubbidiva ella l'avrebbe punito.....Forse, riprendendo a disubbidire su un piano più logico e più alto, egli non faceva che ritrovare un atteggiamento nativo e perduto. Luca dunque viene indotto da Moravia a disubbidire progressivamente alle cose da cui è stata segnata la sua vita fino a quel momento, fino a giungere alla scelta definitiva: quella di non volere più vivere, disubbidendo all'amore innato che ciascuno ha per la vita in un estremo atto di ribellione. La sua disubbidienza è un preciso e cosciente rifiuto di ogni comunicazione con la realtà, è una negazione ed una scelta di isolamento, uno sciopero" nei confronti della vita, sino alla decisione dell'annientamento: infatti per Luca respingere tutti i valori della società borghese compresi quelli fondamentali della proprietà privata e del denaro, significa autodistruggersi. Se dunque l'unica realtà è quella borghese e Luca non ne intravede altre, rifiutare la borghesia assume il significato di rifiutare la vita. L'ideologia borghese di Moravia è chiusa in un cerchio perfetto, privo di scappatoie. Vivere significa abbandonarsi passivamente alla vita che è in atto, accettare naturalmente tutto ciò che in realtà è artificioso ed irrazionale, come le convenzioni che la società quotidianamente ci impone, o il determinismo condizionante dei nostri istinti: questo vivere è dunque un compiere atti per obbligo, per necessità. Agire significa invece non vivere, ma compiere atti secondo idee proprie; Luca ci prova, e così facendo sfiora la morte. Egli dunque dopo l'incidente della cassaforte celata dietro l'immagine, a cui si è già accennato, si disfa progressivamente di tutti i suoi libri, degli oggetti più cari, del denaro, comincia a rifiutare il cibo. Non mangiare: comprese ad un tratto che questa, fra tutte le disubbidienze, era la più grave, la più radicale, quella che maggiormente intaccava l'autorità familiare. Suo padre e sua madre erano lì per farlo mangiare, soprattutto . Tutto il capitolo 7 del romanzo è dedicato all'incontro con la governante dei cuginetti che per lunghi giorni farà intravedere a Luca il mondo sconosciuto e proibito del desiderio sessuale. Essa, trentacinquenne non bella, attrae il giovane Luca con i suoi giochi ambigui, ma ugualmente egli è respinto da quel tanto di animalesco che sembra emanare dal corpo della donna. Ripugnanza e desiderio, attrazione e ripulsa continuano a tormentare Luca fino a che, finalmente,dopo una altalena continua di giochi al buio e di ricerche convulse, i due riescono a scambiarsi un bacio che per Luca è il primo vero bacio della sua vita: ma anche qui la ripugnanza prevale sul piacere, la sua stessa sensualità lo spaventa, il desiderio irrazionale ed animalesco della donna, che non gli piace, lo turba. L'allontanamento della governante dalla casa per la sopravvenuta guarigione della zia provocano in Luca un senso di vuoto e di abbandono e il desiderio spasmodico di raggiungerla: essa infatti lo aspetta la domenica successiva a casa propria. Luca, a lungo incerto se andare o no all'appuntamento, quando finalmente decide per il si, trova che la donna, gravemente malata, non può riceverlo. Qualche giorno dopo saprà casualmente della morte della governante. Il distacco dalla vita si fa per lui più definitivo. 'Ormai tutto era pronto; non gli restava che aspettare l'occasione che senza dubbio gli avrebbero fornito le circostanze e la maturità dell'animo. Il capitolo 11 è forse il più significativo del libro. Luca, in preda ad un vago turbamento, conscio che sta per succedergli qualcosa di determinante, triste e consapevole ad un tempo, in una mattina dal cielo oscuro e dalla pioggia imminente, con un vento lieve molto simile al suo stato d'animo, compie i gesti soliti del recarsi a scuola: tuttavia egli avverte nella normalità dei consueti gesti qualcosa di strano, di assurdo,di tirannico. Egli capisce che la normalità non fa più per lui, e che la crisi che stava attraversando era ormai giunta al suo apice. Luca dunque entra nel liceo, attraversa il solito
corridoio, raggiunge l'aula dove cattedra, carte geografiche, vetri sporchi e lampade accese sono ciascuno al solito posto. Ma al momento in cui il professore d'italiano dalla cattedra dà il convenzionale ordine alla scolaresca di sedersi, egli comincia la sua forma più estrema di disubbidienza restando ostentatamente in piedi. La meraviglia generata nel professore e nella classe dal gesto di Luca prosegue a lungo, fino a che il professore per sbloccare la situazione
interroga Luca sul V canto del Purgatorio. Ma quando il ragazzo, che ha preso a leggere i versi, giunge
all'episodio di Buonconte da Montefeltro, ferito in battaglia e sanguinante, egli, commosso ed impietosito di se stesso, in una identificazione tutta letteraria con il personaggio dantesco, decide di interrompere la lettura. Davanti al professore adirato e sconcertato e ai compagni muti egli non sa offrire che lacrime di desolazione e di sconfitta. Il professore credendolo ammalato lo
allontana dalla scuola, senza aver capito nulla del dramma che il ragazzo sta vivendo. Luca, solo, esce di scuola e sotto il diluvio che ha trasformato in una grande pozzanghera tutta la città, fradicio giunge a casa. Da quel momento inizia la gravissima malattia di Luca che, durata quasi tre mesi, lo porterà vicino alla morte, in un delirio profondo e continuo. Le pagine in cui Moravia descrive gli incubi che popolano i sogni di Luca sono straordinarie e ricordano pagine della letteratura fantastica: l'immagine degli omiciattoli che si aggirano rabbios1 tra bottiglie di medicine e contagocce, che usciti dalle stoviglie brandiscono le posate come armi gli procurano un disgusto inimmaginabile. La prima immagine di vita che Luca vede dopo il buio tunnel della malattia è l'infermiera che i genitori avevano chiamato a vegliarlo durante i alla fine del libro unirà Luca all'infermiera simboleggia la rinascita del ragazzo. Dopo la morte egli dunque ritrova la vita: essa ritornerà vera, cose e parole di nuovo coincideranno. La madre, negata e distrutta dalla disubbidienza, è morta, un'altra donna introduce Luca alla vita nuova e gli si fa madre. In questo si conclude l'iniziazione del giovane: morta la madre donna sorge la donna madre, che ad Agostino era stata negata. Luca aveva seppellito i propri oggetti, le carezze della madre, l'amore del padre per seppellire se stesso. Ma dopo la morte, intesa come spoliazione autentica e metodica di tutto se stesso, per Luca arriva la vita: nella sua morte e resurrezione confluiscono tutte le nause, l'indifferenza, il disgusto, il grottesco e l'assurdo che avevano caratterizzato i personaggi di Moravia. Ora la borghesia italiana, dopo la tragedia della guerra ed il terrore della dominazione nazi-fascista si ricostruisce una nuova vita. Ha disubbidito. Ora si immerge nella minaccia della rivoluzione comunista ma con le elezioni del 18 aprile 1948 recupera la propria origine cristiana: questa è la lezione di Moravia e con questo libro una fase della sua narrativa appare definitivamente conclusa. Tanti altri personaggi popoleranno i suoi romanzi successivi, ma 1e storie inquiete di adolescenti quali Michele, Agostino, Luca, sembrano essere definitivamente ì abbandonate: essi sono cresciuti e loro malgrado sono diventati ormai
adulti.
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