Fondamentale per capire la problematica di Moravia è il racconto "Inverno di malato del 1930, che per alcuni aspetti anticipa i temi di Agostino". Moravia in questo racconto vuole descrivere lucidamente la colpa di essere borghese in un ragazzo malato, ricoverato in un sanatorio, che si sente, ed è in parte realmente escluso ed oppresso dagli altri: ammalati, medici, infermieri. Come altri celebri adolescenti della nostra letteratura (Rosso Malpelo di Verga, ad esempio), Girolamo, protagonista del racconto, si sente diverso ed estraneo, e questo provoca in lui una rivolta che lo spinge ad un comportamento parossistico. Egli si unisce al gruppo dei suoi oppressori per essere da loro accettato, entra nella loro logica
perché ne desidera l'accettazione. Girolamo sente uno strano attaccamento per Brambilla, e avverte la propria diversità di classe come una colpa: egli è ammalato mentre Brambilla è guarito e sta per tornare ad una vita normale; è un ragazzo goffo ed inesperto mentre l'altro è adulto e sicuro di
sé; inoltre egli è un borghese coccolato dalla famiglia, mentre l'altro proviene da una classe sociale inferiore. L'aspirazione alla normalità, che compare costantemente nella narrativa moraviana, passa attraverso il tentativo di ripetere i gesti del Brambilla, che qui veste i panni del suo persecutore: Girolamo tenta di sedurre la giovane Polly, ma così facendo si attira la riprovazione e il rimprovero degli altri ed accentua il suo isolamento. I1 senso di colpa che egli sente nel compiere l'azione della seduzione diventa quasi masochismo, volontà di espiazione, che si manifesta nel desiderio finale di essere punito dal medicodirettore del sanatorio, desiderio anch'esso frustrato dal comportamento gelidamente professionale del medico stesso. La scena in cui Girolamo scaglia in terra i piatti della colazione è strettamente autobiografica, come del resto lo è tutto il racconto: il rapporto stesso con la malattia e il sanatorio risentono fortemente della vera esperienza dell'autore. Il tema della incomunicabilità è accennato nel racconto ed esemplificato sul piano narrativo dal fatto che la coetanea con cui tenta dl stabilire un rapporto è inglese; l'infermiere è austriaco; il Brambilla pur se italiano appartiene ad una diversa classe sociale, con altre modalità di linguaggio e di comportamento: ecco dunque la solitudine e la mancanza di comunicazione che si riaffermano come temi basilari di tutta la narrativa moraviana. Da sottolineare inoltre l'attenzione che l'autore dimostra nel descrivere lo strano rapporto di complicità e di morbosa attrazione che s'instaura talvolta tra oppressore ed oppresso, specie in luoghi dove si vivono realtà anomale: prigioni, campi di concentramento, ospedali. Nel caso di Girolamo, tanto più Brambilla è rozzo e volgare, e Joseph freddo e sarcastico, tanto più egli ne vorrebbe la complicità e la stima. Il racconto si conclude in modo doloroso per il giovane protagonista: egli si rende conto definitivamente della propria solitudine, mentre la guarigione gli appare sempre più improbabile e lontana. In questa conclusione possiamo leggere un giudizio negativo sulla malattia da parte di Moravia che la interpreta non come manifestazione esterna dei profondi motivi di crisi della coscienza (come fa Svevo), ma al contrario come corruzione dell'anima e del corpo, come dissolutezza, rifacendosi in questo al Thomas Mann de La Montagna
incantata, del 1924, romanzo ambientato anch'esso in un sanatorio sulle
Alpi.
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