Il volume raccoglie le tre opere giovanili di Cardarelli: Prologhi, Viaggi nel
tempo, Favole e memorie. Vi è mantenuta la commistione di versi e prose che
aveva caratterizzato la prima edizione delle singole opere; successivamente
l'autore deciderà di pubblicare separatamente il corpus completo delle liriche
in Giorni in piena (1934) e in Poesie (1936), optando per una distinzione dei
generi più vicina al gusto classicista degli anni Trenta. L'edizione definitiva
di Prologhi. Viaggi. Favole presenta dunque soltanto le prose.
È facile dimenticare la natura composita di Prologhi: Viaggi. Favole grazie alla
presenza d pochi temi ricorrenti che si rapprendono in simboli-mito: il tempo e
l'erranza (la notte, l'autunno, la Liguria, il «confortabile» Nord, Roma e la
Maremma), l'umana contraddizione e miseri (Eva, Caino, Noè, Sodoma), la
condizione in quieta del poeta (l'amicizia, l'insonnia, la creazione
letteraria). Su di essi si stende una luce omogenea («C'è, si direbbe, una luce
che abita nelle cose, che i corpi irradiano invece di ricevere»), che l'autore
orienta a un effetto lirico teso, senza cedimenti sentimentali: «Ispirazione per
me è indifferenza / Poesia: salute e impassibilità. / Arte di tacere. / Come la
tragedia è l'arte di mascherarsi» affermano i versi notissimi che,
originariamente compresi in Prologhi, furono poi raccolti in Poesie. Tuttavia le
tre opere che compongono il volume mantengono una propria fisionomia.
Prologhi, scritto tra il settembre 1913 e il luglio 1914, era stato nel 1916 un
clamoroso successo e aveva inserito Cardarelli, prima sconosciuto, nella società
letteraria italiana. Era composto di sedici prose inedite e di quattordici
liriche già apparse in giornali e riviste. Il suo carattere prosimetrico, la
divisione in brevi capitoli dai titoli allusivi e astratti (Temi dell'addio,
Pausa, Saggezza...), la tematica morale e discretamente psicologica inseriscono
quest'opera nel gusto vociano dell'autobiografia. Lo stile allocutorio e la
scelta della forma aforistica denunciano la presenza forte di Nietzsche, letto
dall'autore con passione, come testimonia, in quegli anni, anche l'epistolario.
Ma Cardarelli evita abilmente i pericoli impliciti in questi modelli, il
soggettivismo verboso e il profetismo astratto alla Papini: la sua parola è
avara, lucidissima, tende a una oggettività marmorea e, in un certo senso,
metafisica. Agisce per sottrazione: «Luce senza colore, esistenze senza
attributo, inni senza interiezione, impassibilità e lontananza, ordini e non
figure, ecco quel che vi posso dare», afferma orgogliosamente l'autore in Dati
biografici, prosa d'apertura di Prologhi. Senza esitare, il testo proclama che «
In principium erat verbum», quindi il valore fondativo, etico della parola: suo
tema principale sono dunque lo stile e la rigorosa costruzione della forma
letteraria.
Cardarelli è un dandy provinciale che sottomette all'eleganza e alla chiarezza
dello stile - ottenute con tutti gli strumenti della retorica classica - i più
cordiali sentimenti dell'amicizia, del dolore e dell'amara esperienza carnale:
«Giudico impresentabili tutte le commozioni [...] al nostro destino di passione
non c'è rimedio, neppure in questa disperata consapevolezza elevata a
discrezione ironica e a criterio d'espressione». Eppure domina in questo
universo raggelato una paradossale, ironica, fiducia e vitalità: «La speranza è
nell'opera / Io sono un cinico a cui rimane / per la sua fede questo al di là»,
affermano i versi che aprivano la prima edizione di Prologhi.
Viaggi nel tempo, la cui composizione risale al 1916-17, avrebbe dovuto
intitolarsi Decadenza. Originariamente era diviso in due sezioni, «Poesia» -
composta di diciotto prose e quattro liriche in parte già edite su «La Voce» - e
«Retorica», saggi e frammenti critici che andranno a costituire Parole
all'orecchio nel 1931. Eliminate le liriche e l'intera sezione retorica, Viaggi
nel tempo è formato oggi di dodici prose. La luce adamantina di Prologhi, la sua
tagliente moralità, cala su paesaggi e figure femminili e riscrive ironicamente
i miti consolidati di Don Giovanni e di Zarathustra. Lo spazio si popola di
emblemi che casualmente hanno i nomi familiari delle nostre città e regioni (Lo
"spleen" di Roma, Addio, Liguria, Saluto al Nord, confortabile paese). Il tempo
è ancora fatto di ore e stagioni (Notturno, La luce, Autunno), ma esse
trascorrono insensibilmente nella morte: e la resistenza alla morte, «ingiuria
suprema», si rapprende nel simbolo ironico dell'insonnia. La puntuale ripresa di
motivi nietzschiani rende, le figure femminili lontane, estranee, crudeli e
misteriose come Sfingi o Chimere (Voce di donna, Ritratto di dama spagnola,
Donna). Anche se il tono dominante dei Viaggi è l'ironia («Vogliamo essere
sinceri. E avvertire che queste nostre polemiche colle terre, le storie, i climi
[...] non hanno [...] ai nostri occhi se non un valore, molto provvisorio, di
divertimento [...] infino a che, a furia di girare, non avremo ritrovato la
patria onesta, dolorosa e cara, dove le nostre parole finalmente si
riposeranno»), la "salute" di Cardarelli è nel mito, collettivo o personale: ciò
avviene nell'ultima, bellissima parte del volume.
Essa comprende le Favole della Genesi, formate dai quadrittici della Creazione
(«Il fuoco», «Nascita dell'uomo», «Il peccato», «Caino»), del Diluvio («Il
Diluvio», « Il sonno di Noè», «L'inferno», «Il risveglio»), della Fine di Sodoma
(«La città», «Lo straniero», «L'addio sul colle», «La marcia degli Angeli») e
Memorie della mia infanzia («La terra», «L'infanzia», «Commiato»). Già edita nel
1925 con il titolo di Favole e Memorie, la sua composizione risale al 1919,
quando Cardarelli pubblicò su «La Ronda» prose spicciolate di argomento biblico.
L'autorevolezza del tema, la sua novità nel repertorio dell'autore, non devono
far pensare a uno stacco dal tono dominante in Prologhi e in Viaggi nel tempo, o
peggio a una "conversione". L'autore si allontana dal modello nietzschiano
quanto più si avvicina alla prosa leopardiana strenuamente celebrata sulle
pagine della «Ronda», mantenendo sempre la suprema libertà inventiva e formale
che egli chiamava «indifferenza». Gli elementi memorabili del racconto biblico
la tentazione del serpente, il gesto omicida di Caino, il peccato degli abitanti
di Sodoma - sono volutamente trascurati di fronte alla messa a fuoco di
particolari eccentrici ma di vertiginosa profondità psicologica e fantastica: la
misteriosa intesa tra Dio e la donna, la fatica contadina di Caino costruttore
del mondo umano, il brulichio di vita e il calore nel ventre dell'Arca. L'autore
avvicina il mito con cauta ironia, il suo stile chiaro, ricco e corposo ha
movimenti confidenziali, bonari come la cantilena popolaresca che introduce la
storia del Diluvio: «Illustre Noè, buon Patriarca / dicci la storia dell'Arca
Santa». Né va dimenticato che Cardarelli era un lettore attento del Belli.
Simmetrico e contrario è il procedimento delle Memorie della mia infanzia: il
paesaggio, gli scarni avvenimenti, i personaggi - indimenticabile il padre - di
un'infanzia solitaria e rustica sono allontanati in una prospettiva epocale,
favolosa. La Maremma è la terra vasta e spopolata degli Etruschi, percorsa
stagionalmente da pastori e contadini umbro-marchigiani come un tempo era stata
invasa dai Piceni. Il padre del poeta ci appare come l'ultimo di quella stirpe
laboriosa, un patriarca senza dimora vivo ancora nella carne di quell'unico
figlio ribelle, diverso: «Nei giorni in cui sono più serio e triste io mi
riconosco la sua faccia».
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