Nell'edizione del '42 (poi più volte ristampata e ampliata fino al 1958)
confluirono tutte le poesie già pubblicate in rivista o nelle varie raccolte di
prose, oltre, naturalmente, a Giorni in pena e Poesie, sillogi in cui l'autore
aveva già riordinato la propria produzione poetica.
L'intera opera di Cardarelli si inscrive nella volontà rondista di restituire
alla letteratura italiana quella dignità formale che sembrava aver perso in
sperimentazioni e tentativi di vario genere. Una restaurazione soprattutto
espressiva che nasceva in concomitanza con principi di equilibrio formale
nell'ambito di un rinnovato e sobrio classicismo.
Anche le Poesie vivono in questa prospettiva, segnalandosi per la straordinaria
limpidezza del dettato: l'evidente ansia stilistica dell'autore si traduce
trasfusa in una scrittura lucida e fascinosa, di altissima leggibilità.
Nell'assetto definitivo della raccolta, brevi poesie, quasi delle epigrafi,
sembrano intervallare il susseguirsi dei componimenti indicando sezioni ideali
di un percorso lirico comunque omogeneo, in cui temi ricorrenti e immagini si
alternano in una meditata quanto armoniosa struttura narrativa. Con
l'affermazione programmatica «La speranza è nell'opera» prende dunque avvio il
canzoniere cardarelliano che, proprio in apertura, presenta una serie di
ritratti di ascendenza letteraria animati da un'insolita carica di vivace
autobiografismo. «L'imporosa e liscia creatura» di Adolescente, intreccio e
svolgimento di motivi tradizionali, porta con sé il tema perenne della
giovinezza e della fragilità umane, che si dispiega qui su toni di
dannunzianesimo alcyonico arricchiti, tuttavia, da un tratto tutto personale e
da una vena di tormentata e accesa sensualità. Invece l'ex marinaio vagabondo di
Incontro notturno (componimento di atmosfera decisamente ancora vociana e
decadente), il «discretissimo Ajace» e Mercuzio saranno tutti alter ego del
poeta, eroi reietti che rispecchiano, fino al ritratto dell'Homo sum, la
simpatia decisamente provocatoria di Cardarelli per simili personaggi
estravaganti.
Nuove affermazioni di poetica («Ispirazione per me è indifferenza / Poesia:
salute e impassibilità. / Arte di tacere») segnano l'inizio di un'altra zona
della raccolta che vede affermarsi il motivo dell'estate e la sua elezione a
stagione prediletta. Il riferimento qui è sempre a un sentimento provato, a un
pensiero rinnovato o alla gioia per una rinascita personale: «Ai punti estremi,
alle stagioni violente / come sotto il frantoio dei pericoli / dove ogni
inquietudine si schianta / prendo le sole decisioni buone / la mia fuggiasca
fecondità / ritrovo» (Saluto di stagione).
Segue un gruppo di poesie più propriamente concettuali sulla vita, i disinganni,
il tempo che passa, svolte sempre con un'ottica intima e privata. Qui il
rammarico per le cose perse, le «voglie trattenute», le «ariose nostalgie» del
passato porta a riflettere su persone e avvenimenti lontani, fino all'amaro
rimpianto di Amicizia: «Qualcosa ci è sempre rimasto, / amaro vanto, / di non
ceduto ai nostri abbandoni, / qualcosa ci è sempre mancato».
Il motivo della mutevolezza della vita prende corpo e si sviluppa sempre più nei
successivi componimenti: «Il tempo è dietro di noi, / ma come fondo che non
appare, / a questa, che è la vita, / azione di contrasti / nel vuoto» (Tempi
immacolati). L'autore riflette qui sulle illusioni dell'uomo e sui suoi sogni
(come in Parabola o in illusa gioventù), seguendo talvolta un andamento
scopertamente leopardiano che accompagna la riflessione gnomica su bene e male,
illusione e realtà, fino a Memento.
Sempre con l'elemento autobiografico in primo piano, inoltre, la poesia
cardarelliana procede nella rivelazione progressiva di una personalità e un
carattere difficili, rispecchiando un disagio interiore solo in parte
individuato e risolto: «io sono sempre daccapo, / con levate di lazzaro / e
ricadute di convalescente, / coi miei precoci mattini / esilarati di vitalità /
perpetuamente guastati» (Stanchezza).
Con la nuova sezione torna la serie delle poesie cosiddette stagionali, adesso
però virate all'autunno, alla «dolcissima agonia» dei mesi freddi e dei
«crepuscoli precoci»: poesie, queste, che preludono alle composizioni successive
dedicate ai mesi dell'anno e alla stagione primaverile in particolare, tra cui
spicca l'immagine antinaturalistica di Primavera cittadina: «Insensibili piante.
Sono pari / ai monumenti cui fanno corona / e non sospirano che il plenilunio /
e un usignolo che le consoli»). Questa sezione, iniziata con «penso agli amici
che mai più rivedrò, / alle cose care che sono state, / alle amanti rifiutate, /
ai miei giorni di sole...», continua con la grande lirica d'amore dei
componimenti ispirati alle donne. La poesia di Cardarelli, infatti, sarà
prevalentemente poesia d'amore, dove la vena misogina sempre scoperta e quasi
urlata delle prose risulterà ogni volta ben mascherata e dissimulata. Nelle
Poesie il linguaggio amoroso si barrica in una sorta di freddo riserbo
riscattato, però, da violenti sussulti che conferiscono ai singoli testi
insolito fascino e felicità inventiva. Nel controllo mal gestito delle emozioni
si dispiega così la sofferenza d'amore intrisa di una componente autobiografica
dolente e nevrotica, per cui spesso il sentimento è colto nel commiato,
nell'addio, su cui incombe come un'ombra funesta: «Ogni giorno ti perdo e ti
ritrovo / così, senza speranza. / Se tu sapessi com'è già remoto / il ricordo
dei baci / che poco fa mi davi, / di quel caro abbandono, / di quel folle tuo
amore ov'io non mordo / che sapore di morte» (Amore). La serie degli «addii» e
del tormento d'amore («Amore, amore, come sempre, / vorrei coprirti di fiori e
d'insulti», Attesa) si chiude nella triste consapevolezza del tempo che passa e
che distrugge ogni possibile unione: («E già quello che ieri era presente /
divien passato e quello che ci pareva / incredibile accade». Distacco).
Un altro stacco lirico sulla metafora del viaggio parla ancora dell'amore come
deviazione da una terra d'approdo, ormai solo «asilo / vietato» e «cimitero di
memorie»: «Per tanti luoghi insospettati e strani / mi trattenne l'amore, ch'è
nemico / ad ogni altro destino / come il vento contrario al navigare: / dove
persi il mio tempo / e logorai le forze del mio cuore». È ancora il tempo a
primeggiare nell'ispirazione cardarelliana, il tempo che allenta la tensione
erotica ma che conferisce quel giusto distanziamento da persone ed eventi troppo
coinvolgenti, dando pace e tranquillità allo spirito e fissando nella memoria
gli avvenimenti: in queste poesie di rassegnata e apparentemente pacificata
amarezza risalta tutta l'umanità di Cardarelli, la debolezza di un uomo di
fronte al sentimento che lo trasforma e che lo spinge persino a compiere, nel
momento dell'abbandono, «qualche amoroso e inutile dispetto» (Crudele addio).
Accanto alla lirica d'amore vive quella, altissima, ispirata al paese d'origine.
La gente, i luoghi dell'infanzia tornano al poeta che li contempla in
un'atmosfera nostalgica ed elegiaca, in cui il ricordo tuttavia è sempre turbato
da inquietudini e tormenti personali. La caratteristica cardarelliana di
comporre sempre poesie a coppie, due o anche tre versioni diverse per uno stesso
tema, si sviluppa qui più che altrove, mentre la rievocazione di luoghi (il
cimitero del paese) o di persone care (la madre) avviene spesso per via
indiretta, quasi come in un viaggio condotto sui sentieri della memoria. In
quest'ultima parte del libro, fra liriche ispirate a paesaggi (fra tutte Sera di
Liguria) e riecheggiamenti di modi popolareschi (Santi del mio paese), si
pongono anche poesie di riflessione morale (Alla deriva, Insonnia, Gabbiani,
Carattere) e altre in cui più evidente risulta il presentimento della morte
(Sgombero, Arpeggi). Morte, comunque, vista sempre come evento da non rifuggire,
estremo saluto alla vita: «Morire sì, / non essere aggrediti dalla morte» (Alla
morte).
Oltre al programmatico classicismo, i primi critici individuarono soprattutto la
profonda «eticità» della poesia di Cardarelli (Emilio Cecchi e poi Alfredo
Gargiulo). A preferire la produzione in versi dell'autore alla sua prosa furono,
fra gli altri, Gianfranco Contini (che riscontrava nella sua compattezza
stilistica il disegno di un «autoritratto intimo») e Giansiro Ferrata, curatore
delle Poesie nell'edizione del '42. La componente riflessiva dello stile
cardarelliano - uno stile che «acquista pregio dal suo limite, lo vince a forza
di spiegarsi» (Giuseppe De Robertis) - è sempre in stretta relazione con il suo
carattere discorsivo e «oratorio». La maniera di «disperato classicismo» (Sergio
Solmi) - tipica di un autore destinato, secondo Gargiulo, «ai massimi tormenti
formali» - ebbe largo seguito, infine, fra quei poeti che tentarono una via
intermedia tra modernità e tradizione.
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