Scritto fra il 1923 e il 1928, il libro, nella prima edizione del '28, conteneva
quattordici prose. Seguirono, a distanza, tre edizioni progressivamente
aumentate e con diversi titoli complessivi: Al vento dell'Adriatico con
l'aggiunta di Il porto dell'amore e di quattro capitoli nuovi, scritti fra il
1930 e il 1936 (Uria calle, Osteria, Pietro, uomo di mare, Pesca notturna); Il
porto dell'amore, con l'aggiunta di Sera canora, l vecchi, Pesce fuor d'acqua;
Gente di mare con ulteriori incrementi e l'eliminazione di Pesce fuor d'acqua
(trasferito nel libro La mia casa di campagna.
Nell'edizione definitiva del 1966, l'opera è strutturata in due parti
comprendenti, complessivamente, trentadue brani. È il resoconto del singolare
viaggio compiuto dall'autore, nell'estate del 1922, lungo le coste
dell'Adriatico a bordo di un veliero chioggiotto. I capitoli, pur nella loro
apparente autonomia, presentano un ordinamento unitario, sia per quanto riguarda
il soggetto, che è il mondo dei pescatori chioggiotti, sia per l'impostazione,
che oscilla tra il resoconto narrativo e il diario lirico. La prima parte
mantiene un impianto più marcatamente narrativo, con episodi tratti dalla vita
chioggiotta e, in particolare, da quella dei pescatori; la seconda parte
riprende motivi autobiografici e ha una struttura prevalentemente
diaristico-narrativa, fissando sulla pagina il ricordo e l'emozione degli
episodi e delle esperienze della navigazione. L'occasione della traversata
dell'Adriatico offre la possibilità di contemplare il ritmo di una vita
«diversa», semplice e primitiva, legata al senso di una purezza originaria: «mi
accorsi attraverso lo splendore del mare, simile a una lente che ingrandisca,
che la mia vita di terraferma nelle sue guaste abitudini si tramutava in
un'altra [...]. E i sogni, ogni notte più avanti sul mare, retrocedenti in
composizioni di me sempre più vicine alla mia infanzia, parevano preannunciare
il ritorno della mia vita alla purezza di una volta».
L'autore si ferma a contemplare la vita animata dei pescatori, osservata e
descritta nella realtà della fatica, del mestiere operoso e silente: il ritorno
dalla pesca (Una città di pescatori); il movimento di «danza lenta e quasi
triste» con cui i pescatori tirano in secca le reti (Pesca notturna); la
preparazione della cena a bordo dei battelli (Isola di laguna); i luoghi della
loro umile esistenza, le rade, i porti, le osterie, dove i pescatori banchettano
e vivono in un «grande assordo armonioso» (Osteria di pescatori). L'attenzione
di Comisso si concentra sulle attività e le condizioni economiche di queste
comunità lagunari: ne nasce il ritratto di un mondo vario e caratteristico,
generoso ma suscettibile di umori e tristezze che soltanto il mare può dare: «la
gente di mare non è gente facile alle trabocchevoli gioie. Nel mare vi è per
loro sempre celato il senso della morte e dell'incomprensibile infinito a dare
malinconia». Sono pescatori, taglialegna, contadini, commercianti di terra e di
mare, finanzieri, padroni di velieri, donne e ragazzi, tutta un'umanità
«affaticante, invecchiante ogni giorno, moritura, oppressa e tormentata». Uomini
e paesaggio si fondono in una stessa naturalezza e raccontano una vicenda
perpetua di partenze e di approdi («la vita aveva le stesse vicende del mare»).
Nel racconto predomina l'abbandono estatico alla contemplazìone della natura e
del mondo paesano delle lagune; la descrizione tende a farsi narrazione, come in
Una calle, in cui l'autore ripercorre l'arco di un'intera giornata in una calle
chioggiotta; o come in Ortolani di Sottomarina, affresco di un mercato
galleggiante. Ma emergono anche rappresentazioni vivide di caratteri umani, come
in Occhiali d'oro, storia di un giovane che, per incapacità a condurre gli
affari della ditta paterna, vede fallire il commercio delle seppie secche; o ne
I vecchi, in cui è tratteggiata la figura di un vecchio venditore di pipe;
oppure in Pietro, uomo di mare, nel quale sono raccontate le vicende di un
figlio di pescatori, che, ancora bambino, si imbarca contro la volontà del padre
e impara il mestiere di marinaio, ma poi è costretto al servizio militare in
fanteria.
Nella seconda parte, il libro tende alla prosa diaristica, confermata dalle
sequenze cronologiche, dagli itinerari, dalle varie fasi di navigazione. Si
susseguono, in tal modo, le impressioni di viaggio lungo le coste liburniche
(Approdo a una costa solitaria) e il resoconto dell'esperienza collettiva della
navigazione con i marinai: sia che si tratti del drammatico episodio della «caligada»,
la tempesta in alto mare (Una tempesta a buon mercato); o di un'impresa di
contrabbando sulle coste dalmate (Contrabbando in una rada); oppure di una
battuta di pesca con i giovani slavi (Pesca miracolosa): o dei cabotaggi e delle
corrispondenze di bordo istriane (Lungo un'isola; Rade di fortuna; Le sorprese
di Jablanac). Nel capitolo conclusivo, intitolato La morte di Angelo, è narrata
la fine di un marinaio dal carattere ombroso ma sensibile, la cui fisionomia si
è venuta profilando nel corso delle varie avventure marinaresche. Il suo
decadimento per una malattia incurabile corrisponde alla fine della stagione
estiva, con l'inizio dell'infuriare delle piogge.
Nella tensione a un'ambivalenza stilistica che tenta di conciliare la prosa
lirica con la misura narrativa del giornale di bordo, si nota una frantumazione
del narrato verso un «impressionismo paratattico» (Gianfranco Contini). La
materia narrativa è svolta in un discorso ampio ma scandìto in periodi lineari e
semplici, brevi proposizioni separate da una fitta punteggiatura. La resa è
pittorica; abbondano le serie cromatiche e la rappresentazione si forma per
accumulazione di segmenti descrittivi e di accostamenti aggettivali: «Grossi
tonni lucidi e torniti come proiettili di acciaio e rosse carpene irte come
draghi e le triglie con i riflessi dell'aurora e le sardine di stagno e gli
scampi come rose passano dal sole all'ombra, scompaiono». La presenza
dell'ambiente naturale, luminoso e cangiante, emerge attraverso vivaci e minuti
particolari coloristici: «riflessi di madreperla», «penombra d'argento»,
«precipizio azzurro», «rosso vivente», «verde screziato di bianco», «aureo
giallo». L'impianto descrittivo è rinforzato dai neologismi («inazzurra», «fruttisce»,
«fittiscono», «invescate») e dall'uso di metafore attinte dal mondo marino
«prati d'acqua», «la città è un aspro guscio d'ostrica», «Esile e guizzante come
le sardine», «scomparendo sott'acqua per emergere come delfini».
Il lìbro, nella sua redazione originaria, ottenne il premio Bagutta del 1929 e
rimane a tutt'oggi l'opera più fortunata di Comisso; fu anche tradotto in
francese da Valery Larbaud.
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