Luigi
De Bellis

 


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Grazia Deledda



CANNE AL VENTO: Romanzo


Prima della pubblicazione in volume, uscì a puntate su «L'Illustrazione italiana», dal 12 gennaio al 27 aprile 1913.

L'opera, divisa in diciassette capitoli, è la storia delle tre sorelle Pintor, Ester, Ruth e Noemi, ambientata nel paese sardo di Galtelli (Galte nel romanzo), che le paludi formate dal fiume Cedrino hanno reso tristemente noto a causa della malaria. La natura, che elargisce a suo capriccio doni e disgrazie, è - nella rappresentazione deleddiana della civiltà contadina - il regno delle fate, dei folletti e degli spiriti.

Le sorelle Pintor appartengono a un'antica famiglia decaduta. La loro casa porta ancora i segni di un antico splendore ormai offuscato dal tempo: «le porte, i sostegni e la balaustrata del balcone erano in legno finemente scolpito: tutto però cadeva, e il legno corroso diventava nero, pareva al minimo urto sciogliersi in polvere come sgretolato da un invisibile trivello». La rovina non è però solo materiale, ma anche spirituale: tutti i protagonisti del romanzo, infatti, sono esposti, come «canne al vento», al peccato, alla colpa. Così Efix, il solo servo fidato rimasto a servizio delle donne, accetta di non essere pagato, perché deve e vuole espiare l'omicidio - sebbene involontario - del loro padre don Zame.
La disgrazia si era verificata quando Lia, la quarta sorella di cui Efix era segretamente innamorato, era fuggita sul continente: il padre, infatti, segregando lei e le sorelle e costringendole a lavorare come schiave, attendeva per loro solo un marito ricco che potesse risollevare le sorti della famiglia. Lia, aiutata da Efix, era riuscita ad allontanarsi dalla casa paterna, si era sposata e, dopo aver dato alla luce un bambino, era morta. Ma le «canne» sono anche il simbolo del destino che fatalmente si compie: l'arrivo improvviso di Giacinto, il figlio di Lia, appare subito foriero di disgrazie ed egli, infatti, sbarca in Sardegna per sfuggire alle conseguenze di un furto. Giacinto è accolto freddamente da Noemi, la più giovane delle zie, e, il giorno stesso del suo arrivo, nel santuario di nostra Signora del Rimedio, incontra Grixenda, la nipote di una vicina delle sorelle Pintor, e se ne innamora. Egli, però, anche a Galte si abbandona a una vita dissoluta: sperpera il denaro che benevolmente gli presta un pretendente e cugino di Noemi, Predu Pintor, e, con la sua condotta irresponsabile, costringe le zie a vendere l'ultimo podere. Infatti, contrae con un'usuraia, e a nome di Esther, un debito che le zie, per coprirlo, accettano di pagare. Ruth, a causa dello scandalo, muore. Giacinto lascia, allora, il paese e si reca a Oliena: qui lo raggiunge Efix che, rimproverandolo per la sua condotta, cerca di convincerlo a sposare Grixenda, ma il giovane, rivelandogli di essere a conoscenza del suo delitto, lo allontana villanamente. Intanto Noemi, respinta e attratta, nello stesso tempo, da Giacinto che ha risvegliato in lei i desideri e gli slanci repressi in gioventù, rifiuta il matrimonio con Predu propostole da Efix. Egli, nuovamente in preda al rimorso per il crimine commesso, si unisce a due mendicanti ciechi e decide di espiare la propria colpa vivendo di elemosina. La morte di un compagno lo riporta drammaticamente alla notte dell'omicidio del padrone, e quella rammemorazione del passato produce in lui la rinascita a una nuova vita interiore, finalmente libera dallo spettro del rimorso: il riconoscimento della colpa, che gli uomini non avevano punito diventa, così, la molla morale del suo riscatto. Tornato a Galte, Efix viene a sapere che Giacinto lavora in un mulino e ha deciso di sposare Grixenda, mentre Noemi ha accettato la proposta di matrimonio di don Predu: può così finire i suoi giorni in pace, durante la festa di nozze della più giovane delle sorelle Píntor.

Allontanandosi dal genere del romanzo d'appendice - nel quale, in parte, rientrava ancora Elias Portolu -, nella storia delle sorelle Pintor, l'ambiente sardo, naturale e umano, si trasfigura a emblema della condizione umana, destinata alla colpa e alla sua espiazione. Ma se Luigi Russo vi scorgeva l'esperienza «del realismo nostrano e del romanticismo religioso dei russi», Benedetto Croce sosteneva che l'arte della Deledda «è da avvicinare non tanto all'arte di un Dostojewskji e neppure di un Verga, ma piuttosto a quello di un altro romanziere sardo della generazione precedente: Salvatore Farina».

Una riduzione televisiva di Canne al vento è stata diretta da Mario Landi nel 1958, e interpretata da Carlo D'Angelo, Marisa Belli, Cosetta Greco, Roldano Lupi, Josè Greci, Franco Interlenghi.

 

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