Seconda opera narrativa di Umberto Eco, Il pendolo di Foucault non arrivò a
riscuotere lo stesso successo del Nome della rosa; comunque numerosissime sono
state le ristampe e riedizioni. Oggi è disponibile anche in un cofanetto di due
volumi, che comprende nel primo Il nome della rosa e nel secondo li pendolo di
Foucault.
La competenza teorica del semiologo, aggiunta all'esperienza della pratica
narrativa maturata con il primo romanzo, hanno consentito a Eco di costruire un
romanzo estremamente elaborato e complesso. Il tema di fondo può considerarsi
quello dell'occultismo; naturalmente, però, come già era avvenuto per il primo
romanzo, i livelli di lettura sono molteplici.
Proprio la forte strutturazione architettonica guida il lettore dal primo al
decimo capitolo, l'ultimo, designati ognuno con i nomi delle dieci emanazioni di
Dio secondo la tradizione cabalistica (Keter, Hokmah, Binah, Hesed, Geburah,
Tiferet, Nezah, Hod, Jesod, Malkut). Come nella teoria della cabala, anche nel
romanzo la sequenza delle emanazioni non è casuale, ma rispecchia l'ordine
dell'albero dei Sefiroth, secondo cui ogni singola Sefirah è un grado della
discesa dal livello più alto della purezza divina (Keter), fino al mondo
naturale (Malkut): «i vasi destinati ad accogliere Keter, Hokmah e Binah» spiega
uno dei tre protagonisti del romanzo, Diotallevi, «resistettero al loro fulgore,
mentre con i Sefiroth inferiori, da Hesed fino a Jesod, luce e sospiro si
emanarono in un solo colpo e con troppo vigore, e i vasi si spezzarono. I
frammenti della luce si dispersero per l'universo, e ne nacque la materia
grossolana».
Anche Il Pendolo di Foucault sembra essere un organismo composito realizzato a
partire da quei «frammenti di luce» per produrre l'intera «materia grossolana»
del romanzo. E grossolana è, in effetti, la trama del testo.
Casaubon, protagonista e voce narrante in prima persona, è uno studente
laureando che sta portando a termine una tesi sui Templari e conosce, per caso,
Jacopo Belbo, il redattore della casa editrice Garamond. Questi, coprotagonista
intellettuale e scrittore mancato, con una sorta di operazione "a cannocchiale",
redige un suo racconto-diario (affidato al computer «Abulafia») all'interno del
racconto principale. Presso la stessa casa editrice lavora anche Diotallevi,
esperto di dottrine misteriosofiche, ebraiche e cabalistiche. I tre, dunque -
Casaubon, Belbo, Diotallevi -, si ritrovano fra le mani un misterioso documento,
relativo proprio all'ordine dei Templari, che viene loro consegnato da un ex
fascista repubblichino, il colonnello Ardenti. Il documento dell'Ardenti innesca
la vicenda, che segue un movimento oscillatorio (proprio come quello del famoso
pendolo di Foucault) e trasporta il lettore a spasso, da un capitolo all'altro,
nel tempo e nello spazio. Si oscilla tra il 23 giugno 1984 (momento iniziale dei
racconto) e il 1312 (data della soppressione dell'ordine dei Templari), tra gli
anni della Resistenza antifascista e il 1344; ma si oscilla anche tra Milano e
Parigi, tra le Langhe e il Brasile, fino a creare l'effetto di una
sovrapposizione di illusione e realtà che conduce il lettore nel labirinto della
narrazione.
Di fronte a una pergamena che contiene un messaggio segreto dei Templari, i tre
protagonisti decidono per gioco di ricostruire con l'immaginazione il Piano
originario di azione della setta segreta: i Templari, disciolti nel 1312 a opera
del Re di Francia Filippo il Bello, si riunirono clandestinamente per
architettare un Piano per il dominio del Mondo. Tutto il progetto, elaborato
secondo complicati calcoli cabalistici, prevede che a partire dal 1344 sei
Grandi Maestri dovranno controllare ciascuno un diverso punto del mondo dandosi
il cambio ogni venti anni per sei volte (e il sesto passaggio sarà collocato
proprio nel 1944). Alla fine, si perverrà al controllo sull'intero globo
terrestre grazie a uno strumento - per l'appunto, il pendolo di Foucault - in
grado di segnare l'esatto luogo del pianeta donde sia possibile regolare e
"correggere" le correnti sotterranee terrestri e determinare il clima sulla
terra. L'indagine sul Piano dei Templari coinvolgerà sempre più i tre
protagonisti, fino a intrappolarli nel complotto, affascinati, come sono, dalla
possibilità di indagare la storia, i suoi segreti, i misteri che coniugano
realtà e irrealtà: «Quando tornai in Europa», confessa Casaubon alla fine del
quarto capitolo, «trasformai questa metafisica in una meccanica - e per questo
precipitai nella trappola ove ora mi trovo. Così l'altra sera dovevo credere che
il piano fosse vero, altrimenti negli ultimi due anni sarei stato l'architetto
onnipossente di un incubo maligno. Meglio che l'incubo fosse realtà».
Inizia così per i tre redattori il gioco in cui bisogna spiegare il codice
dell'antico Piano dei Templari, con un'indagine che li spinge a scandagliare
secoli di storia attraverso riti magici, dissertazioni teologiche, teorie
misteriosofiche e simbolico-cabalistiche. Senonché, tale delirio ludico viene
scambiato per un progetto reale da una moderna setta di fanatici che intendono
appropriarsi della inesistente Mappa del Potere. E, mentre una lunga teoria di
personaggi della storia e della cultura s'inserisce all'interno del Piano
segreto (per cui, anche qui, si oscilla da Richelieu a Hitler, da Charcot a
Frazer e a Peladan), uno dei tre protagonisti, Diotallevi, muore consumato dal
cancro e l'altro, Belbo, viene rapito dalla setta dei fanatici. Casaubon,
invece, attraverso i files che Belbo ha memorizzato in «Abulafia», tenta di
portare a termine l'indagine sul mistero dei Templari e sul luogo ultimo del
loro ritrovo. A Parigi, nel Conservatoire des Arts et Métiers, Casaubon assiste
impotente al macabro rito dell'impiccagione del suo amico Jacopo Belbo: «La
corda si era tesa sotto il peso della sfera e si era avvolta, ora strettamente
come un laccio, intorno al collo del mio povero amico, sbalzato a mezz'aria,
pendulo lungo il filo del pendolo». Spaventato, Casaubon fugge attraverso í
condotti fognari della capitale francese e torna in Italia, rifugiandosi presso
la casa natale di Belbo, nelle Langhe. Il paesaggio delle Langhe, a quel punto,
assurge a simbolo di una consapevolezza e di una saggezza ormai pienamente
raggiunte: come le colline, i filari di vite, le falde del Bricco, anche la
scrittura del romanzo si distende, si fa piana, digrada lentamente da un periodo
all'altro. In quel luogo, a quel punto della vicenda, il romanzo trova la sua
naturale conclusione. Il cerchio è chiuso, il mistero è compreso ma non svelato,
la «Saggezza» intuíta: «Ora so qual è la Legge del Regno», conclude Casaubon,
«del povero, disperato, smandrappato Malkut in cui si è esiliata la Saggezza,
andando a tastoni per ritrovare la propria lucidità perduta. La verità di Malkut,
l'unica verità che brilla nella notte dei sefirot, è che la Saggezza si scopre
nuda in Malkut, e scopre che il proprio mistero sta nel non essere».
Il pendolo di Focault ha innescato un acceso dibattito fra i critici, divisi fra
il giudizio di valore sul libro in sé e l'opportunità o validità di
un'operazione di scrittura che presenta la possibilità di molteplici accessi al
testo e di altrettante piste di lettura, a seconda del livello di competenza di
ogni singolo lettore.
Alla difficile lettura del testo soccorre il Dizionario del «Pendolo di
Foucault» di Luigi Banco e Francesco Millocca.
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