Fu scritto, per suggerimento di Leo Longanesi, nel breve arco di tempo che va
dal dicembre 1946 ai primi mesi del 1947; la pubblicazione avvenne nel maggio
dello stesso anno.
In epigrafe un passo dell'Ecclesiaste («...tempo di uccidere e tempo di sanare;
tempo di ...») suggerisce di delimitare la vicenda racchiudendola in un momento
definito e insieme di configurarla come evento dettato da una sua fatale
necessità. Lo stesso incipit si apre su una dimensione violentemente discontinua
rispetto alla quotidianità: «Ero meravigliato di essere vivo, ma stanco di
aspettare soccorsi». Il romanzo è articolato in sette capitoli: «La
scorciatoia», «Il dente», «L'oro», «Piaghe molto diverse», «Il dado e la vite»,
«La capanna migliore», «Punti oscuri».
La vicenda ha come protagonista un ufficiale dell'esercito fascista in forza in
Etiopia durante la guerra d'Africa. Costretto ad allontanarsi dal campo a causa
di un insopportabile mal di denti, l'ufficiale - che espone in prima persona la
storia - si mette alla ricerca di un dentista. Il paesaggio che gli si offre
testimonia drammaticamente le atrocità della guerra in corso: i sentieri sono
disseminati di carogne di muli in putrefazione e di corpi di soldati etiopi
insepolti. Perso l'orientamento, egli incontra una donna giovane e affascinante
che fa il bagno in uno specchio d'acqua: sedotto dalla sua grazia e dalla sua
fierezza la possiede, incurante delle resistenze iniziali. I due trascorrono
insieme alcuni giorni, durante i quali la donna - che evidentemente sì è
innamorata di lui - gli si dedica completamente. Una notte l'uomo avverte la
presenza di una belva e fa fuoco con la rivoltella, ma uno dei proiettili
colpisce di rimbalzo la giovane. Inorridito, le presta i primi soccorsi; quando
però sì accorge che essi sono vani - e che è impossibile trovare un medico nelle
vicinanze -, perde il controllo e finisce la ragazza con un colpo alla testa.
Provvede quindi, con estrema lucidità, a occultarne il corpo e, dopo avere
ispezionato le zone circostanti per eliminare ogni traccia della propria
presenza, riprende il viaggio fasciandosi la mano ferita con una benda ricavata
dal turbante bianco della donna. Giunto in città, si fa estrarre il dente e
stringe amicizia con un maggiore che vive con totale cinismo la sua avventura
africana. Qui l'ufficiale conosce Johannes, un enigmatico vecchio che è stato
ascari, e Elias, un bambino che vede nell'uomo una sorta di figura paterna e
che, incurante dei suoi bruschi atteggiamenti, gli si mette alle costole,
Il protagonista comprende che il vecchio e il bambino sono collegati alla
ragazza, di cui apprende il nome, Mariam; anzi si rende conto che Elias è suo
fratello. Comincia anche a intuire che quello che gli sta accadendo è una sorta
di punizione per aver tradito la moglie. Quando viene a sapere che il turbante
bianco è il contrassegno delle lebbrose, avvedendosi che la ferita alla mano non
si rimargina e che la piaga ha tutta l'apparenza della lebbra, sprofonda nel
terrore e si allontana dal campo. Per pagarsi un rimpatrio clandestino, deruba
il maggiore di una grossa somma di denaro, non senza avergli sabotato il camion
affinché egli non possa denunciarlo. Nel viaggio estenuante compiuto a piedi
verso il porto, sosta, sfinito, per alcuni giorni presso la capanna dì Johannes,
che lo tratta con un misto di soggezione e di ostilità: Comprende allora che
Johannes è il padre di Mariam e che è al corrente del delitto. Durante un
diverbio, ferisce con un bastone il vecchio che intendeva aggredirlo, ma, invece
di fuggire come si era proposto, si ferma per curarne la ferita. Il vecchio,
riavutosi, assicura che la piaga della mano non è dovuta alla lebbra.
Quando raggiunge Massaua, l'ufficiale si rende conto che il maggiore non lo ha
denunciato per il furto e che lui non è ricercato per avere abbandonato il
campo: dunque tutte le sue angosce si rivelano fondate su errori di prospettiva.
Tuttavia apprende da un sottotenente che il colpo di rivoltella ha innescato una
serie di conseguenze indirette e terribili, sfociate in un massacro nel
villaggio, e inoltre che probabilmente è stato lui la causa diretta della morte
del maggiore. La narrazione si conclude con il protagonista che si accinge a
imbarcarsi per l'Italìa.
Nel romanzo l'Africa è una terra dove le realtà si manifestano solo
parzialmente, mantenendo una propria oscurità e sottraendosi così
sistematicamente a qualsiasi tentativo dell'europeo di conoscere e di possedere.
«L'aver ucciso Mariam ora mi appariva un delitto indispensabile. Più che un
delitto, anzi, mi appariva una crisi, una malattia, che mi avrebbe difeso per
sempre, rivelandomi a me stesso». La tragica fatalità che porta la ragazza alla
morte appare, pertanto, pienamente conseguente a un clima di violenza e di
sopraffazione di cui i militari sembrano solo parzialmente consapevoli, e la
piaga putrida sulla mano è l'emblema di una coscienza torbida e malata. Gino
Tellini vede l'autore come «invaso da un'inquietudine profonda: per il senso
d'irresponsabile avventura che involge il protagonista, catturato con i suoi
misfatti in una morsa di terribile inevitabilità (che sfugge all'umana
giustizia) del male e del delitto».
L'opera ebbe un successo immediato e, nel luglio del '47, vinse il premio
Strega. È stata inoltre tradotta in molte lingue (inglese, spagnolo, francese,
portoghese, svedese, ceco). Nel 1990 ne è stato tratto un film con la regia di
Giuliano Montaldo; protagonista Nicolas Cage, con Ricky Tognazzi, Patrice-Flora
Praxo, Giancarlo Giannini.
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