Fu composta tra il 1933 ed il 1937. L'edizione successiva alla prima, inclusa in
Poesie (Milano, Edizioni di Panorama, 1939), presenta alcune aggiunte.
Nuovamente rivisti e perfezionati, i versi di Morto ai paesi vennero
ripubblicati nel 1941, nella seconda e definitiva edizione delle Poesie, dove si
legge la seguente dedica: «A mio padre morto, a mia / madre raccolta nella sua
ombra, / queste Poesie si dedicano ancora / a ricordarli felici».
La raccolta è composta da trentasette liriche di media lunghezza. Il tema della
meditazione sulla morte, svolto in cadenze elegiaco-musicali, assurge spesso a
una superiore contemplazione della vita, scrutata con lucida razionalità: «Nelle
povere spalle è scesa morte, / il freddo della terra, / come intorno a te solo
scompari / voltando nella sera» (All'altezza dei gridi); «Ma nell'esilio resta /
a spegnersi il falò / d'una povera festa. / Lontano io morirò» (Ballata); «Forse
è questo la morte, un ricordare / l'ultima voce che ci spense il giorno»
(Elegia). Le effusioni sentimentali hanno accenti parossistici appena temperati
da una vena moralistica. I motivi sono universali, come l'ansia per il tempo che
scorre, il dolore, il rancore. In questo modo il poeta dà voce a un assorto
senso di abbandono e di malinconia, a cui corrisponde la misura di un riserbo
macerato: «Nelle mani vuota / resta la sera pura / di lontano clamore. / Non
sapremo se lunga, remota / la morte avrà quest'amore / del vento sulla pianura»
(Pianura); «Riposarono al canto con la casa / aperta all'aria, nuova, senza
mura: / ultima libertà, chiara, la morte» (Cielo).
Le immagini oscillano tra il sensuale gusto della parola poetica e il
ripensamento mitico e fantastico: «Pace alle acque, e sulle mani giusti, /
caddero fiori ricordati in sogno» (Sirena). Ecco quindi che, lungo tutta la
raccolta, si legge - accanto alla fluttuazione costante di risoluzioni surreali
- l'adesione ad autentici moti dell'affetto, come accade per la figura del padre
scomparso: «A fiore del sonno decanti / il tuo petto sommesso, la tregua / ove
in povera carne sei sceso / a rassegnarti al profilo» (Padre morto).
Da questo contrasto emerge un quadro lirico in cui l'intensità elementare della
realtà combacia con l'intensità delle emozioni.
In questo secondo libro di Gatto si avverte un'esplicita adesione all'universo
tematico e stilistico degli ermetici, con esiti di grande rarefazione formale:
«Fitto, d'abbrividito esilio il mare / leva puro silenzio / da rive bianche a
volo / l'eco fredda della luna / morta in ampio stupore» (Luna d'alba).
In particolare, nella «complessiva tradizionalità dei ritmi tanto recitativi
quanto cantabili e la frequente pittoricità erosi nota più forte l'influenza
della costruzione dei versi secondo i modi e lo stile di Montale o di Quasimodo.
Giuliano Manacorda ha sottolineato «una più cupa insistenza sul tema della
morte, una chiusura dell'espressione poetica in termini più ermetici per rendere
ai limiti espressivi l'angoscia del poeta». Una poetica che si muove nel
vagheggiamento elegiaco di fatti e persone: «Il tuo volto ha smarrito / il
ridere negli occhi / per una vaga libertà che corre / dal tuo corpo» (Bambina).
Sul piano linguistico e stilistico si nota l'affiorare di conglomerati verbali
volutamente oscuri: «...con molli / ciglia dormo, tardo, / remoto nel mio
sguardo» (Inverno).
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