Alla prima edizione nei «Supercoralli» seguirono due ristampe.
Nato dalla rielaborazione di materiali autobiografici, il romanzo è scandito in
sequenze, separate l'una dall'altra solo dallo spazio tipografico.
La scrittrice racconta la vita quotidiana della sua famiglia sullo sfondo degli
avvenimenti drammatici del Novecento: il primo dopoguerra, l'avvento e l'ascesa
del fascismo, la seconda guerra mondiale, fino agli anni della ricostruzione.
Il padre di Natalia, di origine triestina, è un irascibile professore
universitario d'anatomia, proveniente da una famiglia ebrea di banchieri da cui,
però, non ha ereditato alcun senso degli affari. La mamma, invece, «aveva una
natura lieta, e dovunque trovava persone da amare e dalle quali essere amata».
Ci sono poi i quattro fratelli: Alberto, Gino, Mario, Paola.
La famiglia Levi, dopo essersi trasferita numerose volte a causa del lavoro
paterno (da Firenze a Palermo e in Sardegna), si stabilisce a Torino: sono gli
anni del primo dopoguerra.
L'autrice concentra la sua attenzione in particolare sul linguaggio e sulle
espressioni usate dai componenti nelle varie situazioni quotidiane: «un negro»,
per il padre, è chi ha «modi goffi, impacciati» e le «negrigure» sono gli atti e
i gesti inappropriati. La mamma definisce le gite in montagna «il divertimento
che dà il diavolo ai suoi figli», mentre «le babe» sono le sue amiche, secondo
il marito. Il fascismo sale al potere quando Natalia è ancora una bambina ed
ella guarda gli avvenimenti cruciali di quei giorni con gli occhi incantati
dell'infanzia: così Filippo Turati - rifugiatosi presso i Levi in attesa di
emigrare in Francia - le è presentato come Paolo Ferrari e diventa allora,
contemporaneamente, Turati e Ferrari: «nel vederlo io riconobbi Turati, che era
venuto in via Pastrengo una volta. Ma siccome m'avevano detto che si chiamava
Paolo Ferrari, credetti, per ubbidienza, che fosse insieme Turati e Ferrari».
Molte altre sono le personalità che frequentano la casa di Natalia: gli amici
dei genitori, Anna Kuliscioff e Felice Casorati; gli amici dei fratelli,
Giancarlo Pajetta, Vittorio Foa, Carlo e Nello Rosselli, Luigi Salvatorelli,
Niccolò Chiaromonte, Cesare Pavese, Felice Balbo, Giulio Einaudi. Tra questi
anche il futuro marito della sorella Paola, Adriano Olivetti, e Leone Ginzburg,
che sposerà Natalia. Molti di loro (Foa, Pavese, i Rosselli) fanno parte,
insieme con il professor Levi, del gruppo antifascista «Giustizia e libertà» e,
perciò, cadono vittime della persecuzione del regime.
Con l'introduzione delle leggi razziali, tutti gli uomini della famiglia Levi
sono arrestati e costretti ad allontanarsi dall'Italia: il padre a Liegi, dove
ha ricevuto un nuovo incarico universitario; Mario a Parigi, dove si sposerà, e
Alberto al confino a Pizzoli, in Abruzzo.
Intanto Natalia si è sposata, nel 1938, con Leone che sconta, anche lui, la sua.fede
antifascista in un carcere di Civitavecchia. A Torino egli comincia a lavorare
con un «editore suo amico» e, poco dopo, insieme con Pavese. La piccola casa
editrice è fra quelle più promettenti: «-Stampano i libri di Salvatorelli! -Il
nome di Salvatorelli era, per mio paure e mia madre, dotato di magici poteri».
Durante l'occupazione tedesca, Leone viene arrestato e morirà in carcere a
Regina Coeli: il 25 luglio del 1943 egli aveva lasciato il confino in Abruzzo,
dove aveva vissuto insieme con la moglie e i figli. A novembre, dopo
l'armistizio, aveva chiesto loro di raggiungerlo a Roma, ma, dopo venti giorni
che la famiglia si era riunita, fu arrestato e «non lo rividi mai più».
Dopo la guerra Natalia torna a Torino e comincia a lavorare nella piccola casa
editrice, ormai avviata a diventare una delle più importanti in Italia: l'Eínaudi.
«Era il dopoguerra, un tempo in cui tutti pensavano d'essere poeti, e tutti
pensavano di essere politici, tutti si immaginavano che si potesse e si dovesse
far poesia di tutto, dopo tanti anni in cui era sembrato che il mondo fosse
ammutolito e pietrificato e la realtà era stata guardata come di là da un
vetro».
In questi anni Natalia stringe sempre più amicizia con Balbo e Pavese, dei quali
tratteggia efficaci ritratti. Felice Balbo «aveva sempre, nei rapporti con i
suoi amici, un fondo ironico, e usava, noi suoi amici, commentarci e conoscerci
con ironia. Nell'amore, e anche nello scrivere, si buttava con tale stato
d'animo di febbre e di calcolo, da non saperne mai ridere: e a volte quando
penso a lui, la sua ironia è la cosa di lui che più ricordo e piango, perché non
esiste più. Non ce n'è ombra nei suoi libri». Quest'ironia mancava a Cesare
Pavese che, nel ricordo della scrittrice, fu un uomo tormentato e puntiglioso:
«la prudenza, il calcolo, l'astuzia hanno il volto della ragione: il volto, la
voce amara della ragione, che argomenta con i suoi argomenti infallibili». Egli
calcolò e organizzò il suicidio così come aveva sempre programmato nei minimi
dettagli, fino al parossismo, le passeggiate che faceva insieme con Natalia e
con l'editore: «L'imprevisto lo metteva a disagio. Non amava essere colto di
sorpresa».
Quando Natalia si risposa con Gabriele Baldini, siamo nel 1950: ella decide di
trasferirsi a Roma con i suoi bambini per raggiungere il marito e lascia, alla
fine, la casa editrice tanto amata. I suoi genitori rimangono a Torino, a
rievocare i bei tempi andati, gli antichi aneddoti della propria infanzia e di
quella dei loro figli.
Nell'«Avvertenza», la Ginzburg sottolinea lo sforzo di rimanere aderente alla
realtà dei fatti, nella consapevolezza che la memoria, di per se stessa,
seleziona gli eventi: «E vi sono anche molte cose che pure ricordavo, e che ho
tralasciato di scrivere». L'autrice ha "dimenticato" episodi che la riguardano
direttamente, perché il suo intento dichiarato è quello di raccontare «da storia
della sua famiglia». Questo desiderio è il movente primo del romanzo, anche se
«i libri tratti dalla realtà non sono spesso che esili barlumi e schegge di
quanto abbiamo visto e udito».
La critica che, insieme al pubblico, accolse con molto favore il romanzo (premio
Strega 1963), ha individuato nel «lessico famigliare» il vero filo conduttore
della narrazione. Nella sobria scrittura della Ginzburg lo scenario sociale e
politico non è mai enfatizzato, ma è ricompreso nel fluire anonimo della
quotidianità. La scrittrice trova così «spazio sia al suo realismo riduttivo,
disincantato, sia all'incantesimo febbrile della fantasia, che l'ironia, per
quanto insista a dimensionarla nel grottesco, non imprigiona mai del tutto» (Geno
Pampaloni).
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