L' idea di raccogliere i suoi versi, comparsi su riviste e giornali, venne a
Gozzano nel 1905; ma solo dopo due anni di continui rimaneggiamenti, nel 1907,
poté pubblicarli, a spese della
madre, Diodata Mautino. Lo stesso anno l'editore ristampò il volume.
La via del rifugio è il frutto di una rigorosa selezione del materiale poetico
iniziata dall'autore fin dal 1905. La struttura del libro non presenta
suddivisioni. Le poesie che lo compongono, tra le quali compaiono le prime
stesure dei testi più famosi del repertorio di Gozzano (come Le due strade o
L'amica di nonna Speranza), sono complessivamente venticinque. Il gusto e la
sensibilità dell'autore si esplicano in una poesia fatta di situazioni
quotidiane, all'interno di ambienti carichi di oggetti desueti e di memorie: «le
miniature, / i dagherottipi: figure sognanti in perplessità, // il gran
lampadario vetusto che pende a mezzo il salone / e immilla nel quarzo le buone
cose di pessimo gusto, // il cucù dell'ore che canta, le sedie parate a damasco
/ chremisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!» (L'amica di nonna
Speranza). Con il ricorso a questi temi, la poesia di Gozzano, non avendo, del
resto, alcuna ideologia da difendere, esplora avidamente il passato, senza però
cadere nel ricatto di una memoria intenerita o catalogatrice.
Alla celebrazione della storia, adottata dal Risorgimento e dal Romanticismo, il
poeta torinese sostituisce una più dimessa percezione della realtà a cui fa da
contrappunto un'intensa e quasi dolorosa lucidità. La realtà è presente nella
dimensione del «sogno», del «rifugio», per l'appunto, e della marginalità
dell'esperienza: «La Vita? Un gioco affatto / degno di vituperio, / se si
mantenga intatto / un qualche desiderio. // Un desiderio? Sto / supino nel
trifoglio / e vedo un quatrifoglio / che non raccoglierò» (La via del rifugio).
Le frequenti atmosfere di stampo tardo-simbolista hanno in parte contribuito a
far ascrivere questa poesia alla scuola dannunziana. Si è visto, invece, come la
poetica della Via del rifugio andasse nella direzione opposta, seguendo il corso
dell'ironia e dell'autoironia, un' arma che Gozzano usa con una chiara funzione
di demistificazione di se stesso e dei valori ideologici dell'arte: «Ma dunque
esisto? O strano! / vive tra Tutto e Niente / questa cosa vivente / detta
guidogozzano!» (La via del rifugio). La stessa poesia viene accettata con una
sorta di pudore in contrapposizione all'esibizionismo declamatorio di chi, al
contrario, la identifica con l'emblema stesso della superiorità. È per via di
questa concezione che le liriche della Via del rifugio sono popolate di interni
borghesi tranquilli e banali, di comportamenti fuori moda, inscenando una
meditazione sul tempo e sulla vita che a stento cela lo strazio della nostalgia
e un fermo risentimento nichilista.
La poesia della Via del rifugio è tra le prime e più significative
sperimentazioni letterarie intenzionate a lasciare alle spalle il modello
dannunziano, con il ripudio di una lirica fatta di situazioni preziose, di
sensazioni rarefatte e artificiose. In questi componimenti è tuttavia
avvertibile l'attraversamento di D'Annunzio, soprattutto quello dei toni minori
e chiusi del Poema paradisiaco: «Ma poi che Primavera ogni corolla / dischiuse
con le mani di velluto, / dai monchi nodi qua e là rampolla / e sogna ancora
d'essere fronzuto» (Speranza). Tale particolare fruizione del verso dannunziano
fa di Gozzano una sorta di epigono della stagione decadente e liberty e, nello
stesso tempo, il primo di una generazione nuova. Il tono dimesso, prosaico,
antiaulico e "crepuscolare" della Via del rifugio è spesso contaminato e
intrecciato a un lessico prezioso e sofisticato: «Sui gradini consunti, come un
povero / mendicante mi seggo, umilicorde...» (I sonetti del ritorno, I).
Scrisse Renato Serra a proposito di questa prima raccolta gozzaniana: «La sua è
sopra tutto l'opera di un virtuoso, abile e sottile negli effetti verbali». Con
questo lessico si coniuga la scelta di metri prevalentemente narrativi e
discorsivi, come per esempio il senario, senza tuttavia che ciò comporti la
banalizzazione dei sentimenti, non di rado espressi con il ricorso al dialogo: «
- Il fieno ci copra. / Ah! T'amo di fiamma! / Ti giuro fin sopra / la testa di
mamma: -/ Mi guarda supino, / mi dice: «assassino!» (Il giuramento).
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