Luigi
De Bellis

 


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La via del rifugio

 
 

I Colloqui

 
     
     
     

 





Guido Gozzano



I COLLOQUI: Raccolta di poesie


Gozzano compose I colloqui tra il 1907 e il 1910, anni caratterizzati soprattutto dal rapporto sentimentale con Amalia Guglielminetti. Risale a questo stesso periodo l'amara consapevolezza dell'incurabilità della tisi, che lo condurrà a una morte prematura.
Nel volume sono raccolte ventiquattro liriche, scelte dall'autore tra le edite e le inedite, divise in tre sezioni: «Il giovenile errore», «Alle sere, come La via del rifugio, un'antologia, ma rispondono a un'idea di fondo, quella di un poema in cui i singoli componimenti riflettano la parabola esistenziale del protagonista, autoritratto e, nello stesso tempo, alter ego del poeta stesso: «mio fratello muto / spettro / ideale di me Non vissi. Muto sulle mute carte / ritrassi lui, meravigliando spesso. / Non vivo. Solo, gelido, in disparte, // sorrido e guardo vivere me stesso» (I colloqui).
Nella sezione «Il giovenile errore» il tema dominante è l'amore, venato dalla nostalgia e dal presagio di un'impossibile normalità: «Discenderai al Niente pel tuo sentiere umano / e non avrai per mano la dolcesorridente / Queste pensavo cose, guidando nell'ascesa / la bicicletta accesa d'un gran mazzo di rose» (Le due strade). Accade anche - complice un'ironia
che non teme di profanare i canoni dell'amore sublime - che la malinconia si tramuti in sberleffo goliardico: «non dopo voluttà l'anima triste: / ma un più sereno e maschio sollazzarsi. // Lodo l'amore delle cameriste!» (Elogio degli amori ancillari).
Nelle liriche della seconda sezione, «Alle soglie», prevale il tema della morte. La sua rappresentazione sembra strettamente legata all'amara consapevolezza che la letteratura è solo un ripiego, il vano tentativo di colmare una vita fragile, già pericolosamente simile alla morte stessa: «...A! Con te, forse, piccola consorte / vivace, trasparente come l'aria, / rinnegherei la fede letteraria / che fa la vita simile alla morte...» (La signorina Felicita ovvero la felicità). Lo strumento principale per esprimere contenuti spesso ardui e patetici, senza cadere nel lirismo, è il dialogo: «"Una cocotte!... » // «Che vuol dire, mammina?» / «Vuol dire una cattiva signorina: / non bisogna parlare alla vicina!"» (Cocotte).
L'autoritratto del poeta, perseguito nella terza sezione, «Il reduce», raffigura lo stato d'animo dì chi, giunto «alle soglie» della vita, tenta un'ennesima fuga dal mondo che si risolve in un ritorno alla vita non autentica ma rassicurante della poesia. Nella lirica che apre questa sezione, intitolata Totò Merùmeni, il poeta si guarda ormai, sia pure attraverso il personaggio, da un'impassibile lontananza: «Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende, / quasi è felice. Alterna l'indagine e la rima / I Totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta, e vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà». Nella figura di Totò Merùmeni, Gozzano sembra mettere in luce la condizione negativa dell'artista: egli non possiede verità assolute ma una «scarsa morale», non è in grado di sostenere amori straordinari accontentandosi della cuoca diciottenne, vive «con una madre inferma, una prozia canuta ed uno zio demente», e tutta la sua esistenza somiglia a un «lento male indomo». Tuttavia la riduzione della vita a letteratura, prodotta dall'essere «chiuso in se stesso», dalla degradazione e dal distacco da un vuoto e inutile estetismo, assegnano alla poesia, vista ora come consolazione e ora come rifugio della propria inettitudine, la capacità di offrire una pur modesta risposta a un'esigenza di meditazione e di canto.
L'intera opera costituisce il definitivo superamento dello stile dannunziano. Esemplare di questo intento è la ripresa da La via del rifugio di due liriche, Le due strade e L'amica di nonna Speranza, riprodotte fra i Colloqui senza l'originaria vena di estetismo decadente. I riferimenti letterari più consoni paiono essere, invece, di matrice ben più remota. L'autoritratto presente nei Colloqui rispecchia, nello stile e nella struttura, quello promosso dalle Rime del Petrarca, dai Canti di Leopardi e dalla Commedia dantesca. Non a caso le strofe che si alternano tra un componimento e l'altro sono in prevalenza terzine e quartine sapientemente orchestrate tra loro: «L'azzurro infinito del giorno / è come una seta ben tesa; / ma sulla serena distesa / la luna già pensa al ritorno» (L'assenza). Al clima tipico della poesia crepuscolare Gozzano riesce a conferire, attraverso l'appassionata e personale vena parodica, un inconfondibile tono: «Oggi pur la tristezza si dilegua / per sempre da quest'anima corrosa / dove un riso amarissimo persiste, // un riso che mi torce senza tregua / la bocca ... A! veramente non so cosa / più triste che non più essere triste!» (L'ultima infedeltà).
«Con Gozzano si afferma per la prima volta in modo consapevole e coerente quel carattere problematico del rapporto fra la poesia e la realtà che nega così il naturalismo pascoliano come le sfarzose messe in scena di D'Annunzio, e che sarà costitutivo di tutto il miglior Novecento poetico. Da ciò l'ambiguità della posizione gozzaniana nei confronti della poesia: da una parte sentita come attività di cui ci si vergogna, menzogna e gioco sostitutivo di chi veramente non vive; dall'altra come l'unico mezzo per appercepire una realtà che come tale sfugge all'individuo biografico privo ormai di un suo ruolo sociale» (Pier Vincenzo Mengaldo).

 

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