Sono confluite in questo volume le seguenti raccolte: La barca, Modena, Guanda,
1935; Avvento notturno, Un brindisi, Quaderno gotico, Primizie del deserto,
Onore del vero; in aggiunta, inedite, l'«Appendice al Quaderno gotico» e la
sezione delle «Poesie sparse». Una seconda edizione dell'opera, che si presenta
come summa della precedente esperienza poetica dell'autore, fu pubblicata, senza
variazioni, nel novembre 1971; quindi ha costituito il vol. I di Tutte le poesie
nella collezione «Opere di Mario Luzi» ed è entrata nel vol. unico Tutte le
poesie della collana «Gli Elefanti». È contenuta anche in L'opera poetica, a
cura e con un saggio introduttivo di Stefano Verdino.
La prima parte della raccolta - che va dagli esordi fino a «Quaderno gotico» e
ha come centro «Avvento notturno» - contiene i nuclei fondamentali, a livello
poetico e concettuale, dell'adesione da parte di Luzi all'ermetismo fiorentino.
Lo spiritualismo cristiano della Firenze degli anni Trenta si offriva come
ideologia portante della generazione riunita intorno alle riviste «Campo di
Marte» e «Il Frontespizio»: tra gli esponenti, oltre a Luzi, giovani di punta
della cultura ermetica come Carlo Bo, Romano Bilenchi, Piero Bigongiari e
Alfonso Gatto. Le raccolte degli anni Quaranta testimoniano in maniera evidente
l'ideale di fondo della poetica luziana: la ricerca continua e appassionata di
una verità che riscatti e garantisca in qualche modo un universo e una civiltà
in continua trasformazione. La sua è una tensione morale, culturale e religiosa
indirizzata verso una «verità intrepida» (che appare segreta e inafferrabile) e
soprattutto guidata dalla fiducia cieca che il poeta nutre nel valore
conoscitivo della poesia, un valore assoluto che la svincola dai legami con il
tempo presente e la rende capace di resistere all'inesorabile dissolversi delle
cose. La poesia di questi anni poggia le proprie fondamenta su una fede e una
naturalità cristiana capace di schiudere una ragione «al di là / della vita, in
un'altra infinita / dolcezza d'esistere» (Le meste comari di Samprugnano).
In «La barca» si intrecciano su questo sfondo ideale molteplici elementi
naturali tratti dal paesaggio toscano (Samprugnano, la Maremma, l'Arno), insieme
con immagini di ragazze (Canto notturno per le ragazze fiorentine, Ragazze,
Giovinetta, giovinetta) e della madre. Il linguaggio, fin qui ancora legato alla
tradizione classica e tardo-romantica, si complica e si arricchisce in «Avvento
notturno», con cui ha inizio la fase più propriamente ermetica dell'autore,
coincidente con un alto tasso di letterarietà. Qui la poetica di Luzi si
definisce in nome di una poesia che «si dà come conoscenza per cifre e barlumi
dell'essenza trascendente del mondo, ma a patto di farsi essa stessa
trascendenza e ritualità» (Pier Vincenzo Mengaldo). A ciò si affranca la
presenza di una figuralità spesso oscura e difficile, che si richiama ampiamente
alla lezione simbolista, in primo luogo a Rimbaud e a Mallarmé, e che fa
abbondante uso di analogie («cipresso equinoziale», «cani afosi», «indachi
ansiosi», «febbre viola dei basalti») e di un'allusività di ascendenza
parnassiana, che si riverbera spesso nei titoli dei singoli componimenti
(Yellow, Bacca, Avorio). «Un brindisi» reagisce all'oscurità e alla forte
connotazione simbolica, restituendo un forte rilievo alla campagna toscana e
agli scenari di città, questi ultimi però spesso còlti nel loro aspetto di
«rovine incenerite» (Un brindisi) a causa della guerra («Brilla il trono dei re
cinto di collera»; «contese indolenti di demoni larvali», ivi). Il poeta
sofferente è attento ai ritmi consueti del quotidiano, ai personaggi e ai gesti
familiari per cogliere tra essi «la piena d'avvenire», nella speranza sorretta
dalla fede che «si ricrea dalle ceneri il domani» (Continuità). Come in una
sorta di breve canzoniere amoroso si distendono invece i quattordici
componimenti numerati di «Quaderno gotico». L'amore, «figura non ancora
conosciuta», si presenta in modo conflittuale come «un desiderio prossimo a
sgomento / una speranza simile a paura» (I), e si dimostra essenziale strumento
di autoanalisi nel percorso esistenziale dello stesso Luzi.
A parte la sezione delle «Poesie sparse» - dove il poeta indugia principalmente
su una sorta di profondo ripensamento della propria esperienza e dove i versi
sembrano deputati a un intimo colloquio con l'anima -, la produzione luziana
registra una vera e propria svolta, per strumenti e finalità, a partire dalle
due raccolte degli anni Cinquanta, le quali costituiscono la seconda parte di Il
giusto della vita. L'ermetismo militante degli anni precedenti lascia il posto,
in «Primizie del deserto» e in «Onore del vero», a un più severo e critico
rapporto con la realtà, che si presenta sempre più come una «patria desolata»
(Né il tempo). Ai privilegi poetici e linguistici dell'analogismo si sostituisce
un'attenzione maggiore alla concretezza del «divenire eterno» (Pur che...), ai
suoi particolari còlti nella loro immediata epifania. In «Primizie del deserto»
l'osservazione di un tempo difficile, ancora segnato dalle ferite della guerra,
spinge il poeta a ricercare «segni che nessuno raccoglie» (Forse dice l'addio),
appunto di primizie in una terra che appare come un «campo abbandonato / dove
niente rimane da sperare» (Né il tempo). In «Onore del vero» perdura questa
prospettiva con un'immersione ancora più completa del poeta, sempre meno
distinto dalla collettività, in un vivere semplice, in cui il percorso
esistenziale, pur attraversando situazioni povere e paesaggi comuni (Interno,
L'osteria, Il pescatore), si estende a cogliere il senso della sofferenza vista
«non come fiume freddo», ma «come fuoco che comunica» (Lungo il fiume). E il
«giusto» della vita, al termine di una riflessione durata circa un ventennio,
sta davvero in questi luoghi da cui si solleva forte il messaggio dell'autore
che «quel che verrà, verrà da questa pena» (Versi d'ottobre).
Nelle prime prove poetiche, quelle più propriamente ermetiche, a lato delle
soluzioni stilistiche tipiche del simbolismo internazionale (come il ricorso ad
analogie e sinestesie), Luzi sceglie come verso privilegiato (endecasillabo,
talvolta l'alessandrino, e organizza il testo in partizioni strofiche e ritmiche
omogenee, inclini a tratti alla rima (in particolare, «Un brindisi»). Scansione
strofica più varia e attenuazione della rima si accompagnano invece al permanere
di un andamento endecasillabico, sebbene più disteso, nelle liriche delle due
ultime raccolte, dove prevale una meno letteraria e più approfondita indagine
meditativa sulla realtà, di cui sono peraltro indicatori evidenti i numerosi
passaggi in forma autointerrogativa.
A proposito di «Primizie del deserto» e «Onore del vero», così scrive Pier
Vincenzo Mengaldo: «Ciò che prima era soprattutto atteggiamento letterario, qui
diventa davvero esperienza esistenziale, e l'autore incomincia a farsi storico
di se stesso. Attraverso il Montale delle Occasioni Luzi passa sotto il
patronato, ideologicamente più congruo, di Eliot, in parallelo al quale egli
approfondisce la metafisica, tra cristiana e platonica, della identità e
reciproca reversibilità, o meglio perpetua oscillazione, di divenire ed essere,
mutamento e identità, tempo ed eternità. È una poesia che, dalla vacillazione
fra presenza e assenza che la caratterizzava, si sviluppa a referto, per usare
termini luziani, del "transito" e della "vicissitudine sospesa", spiati dalla "ferítoria
dei sensi"».
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