L'opera è divisa in quindici capitoli numerati, ciascuno dei quali reca come
titolo una citazione tratta dal capitolo stesso, ed è seguito da una pagina di
pensieri apparentemente slegati dall'andamento narrativo. L'autore segnala anche
graficamente la distanza tra le due parti, adoperando il carattere maiuscolo per
i titoli e il corsivo per le pagine finali.
Nel Serpente - il primo romanzo di Malerba - il protagonista racconta la propria
storia, frutto della sua fantasia mitomane e di una distorta visione della
realtà. Vive a Roma, dove ha un negozio di francobolli. Per superare il
malessere dì un'esistenza solitaria e la noia di un matrimonio infelice, si
iscrive a un coro: «all'età di trentatré anni il Figlio dell'Architetto è morto
sulla croce, io invece ho scoperto il canto che è un modo di esprimersi anche
quello e la mia vita è cambiata». Ma, svanito il piacere iniziale di cantare in
un gruppo, si sente insoddisfatto delle proprie doti vocali. Volendo, perciò,
superarne i limiti, inventa il «canto mentale», il modo con cui far risuonare
infinite volte dentro di sé, con la perfezione di un'esecuzione solo virtuale,
le melodie più difficili. Entusiasta della scoperta, rinuncia a cantare in modo
"tradizionale" e perciò anche a partecipare al coro: «Perché cantare in modo
mediocre, perché zoppicare quando potevo correre e volare?»,
Il «canto mentale», incompreso dal mondo, diviene l'emblema delle modalità
comunicative del protagonista che, lungo la narrazione, si scoprirà capace di
ottenere, «con il pensiero», «risultati strabilianti», come, per esempio,
indirizzare i propri sogni e chiamare a sé, con (immaginazione, fatti e persone.
La confusione tra realtà e fantasia è totale, e coinvolge anche il lettore, il
quale, avvisato solo al sesto capitolo di una delle finzioni («Veramente ho
mentito quando ho detto di essere sposato. Non ho mai avuto una moglie o
qualcosa del genere. Per dire quello che ho detto ho preso come esempio una
compagna di scuola che se l'avessi sposata sarebbe diventata così come ho
detto»), può cominciare a sospettare le altre.
Nella palestra dove si riunisce il coro, il protagonista incontra Miriam, che
diviene la sua amante. Nel descrivere il loro rapporto, frutto della sua
fantasia onirica, indugia lungamente su scene impossibili e paradossali, quali
il bacio prolungato per una notte intera, e «l'erotismo puro» ritmato su
composizioni musicali. Presto, però, comincia a sospettare della donna e, preso
dalla gelosia, la incalza con domande. Immagina, poi, il suo unico amico
Baldasseroni intento a sedurla e, se arriva a pensarli insieme, è sopraffatto
dal dolore: «Un serpente si è insinuato nel mio corpo, cammina, morde ora qui
ora là. Mi fermo ad ascoltare il dolore, non riesco a localizzarlo». Costringe
Miriam a fare una radiografia, alla ricerca dei «segni di tradimento.
Corpuscoli, bacilli estranei, segni di una intrusione dall'esterno, materia
vivente eterogenea». Offesa, la donna si allontana.
Abbandonato a se stesso, il protagonista esaspera la propria visione ossessiva
di un mondo crudele e ostile: immagina che «dietro alla filatelia si nasconda
una associazione internazionale del delitto», capeggiata da Miriam e
Baldasseroni, e composta da tutti i suoi conoscenti.
Dopo un tempo indefinito, incontra casualmente la donna sul Lungotevere: la
porta nel negozio, la avvelena con «un bicchiere d'acqua», e la mangia. «Io ero
vivo, lì davanti a lei morta, che cosa avevo dunque lì davanti a me? Non era
Miriam quella, era un po' di sostanza naturale, un po' di carne, un po' di ossa.
Questo non si poteva chiamare Miriam perché Miriam era morta dopo aver bevuto un
bicchiere d'acqua». Prova «pietà e meraviglia insieme» per l'accaduto, per
essersi scoperto cannibale, ma tenta di consolarsi, pensando ai cannibali
africani, che «disprezzano i bianchi perché non sono cannibali», Osservando la
realtà contemporanea, fatta di omicidi efferati e di stranezze incomprensibili,
giunge a concludere: «ci sono uomini ancora più strani», «sta' tranquillo c'è
posto anche per te in questo mondo». Ossessionato dal ricordo di Miriam, crede
di vederla ovunque, e di sentire la sua voce chiamarlo e invitarlo a
raggiungerla nel mondo dei morti, un luogo freddo e tremendo.
Rivoltosi, infine, alla polizia per confessare il delitto e l'atto di
cannibalismo, è costretto ad accorgersi dell'incongruenza tra i propri pensieri
e la realtà: su invito del commissario, prende a stendere faticosamente il
proprio racconto.
Quando il romanzo si avvia alla conclusione, il protagonista vaga in un
cimitero, con i resti di Miriam sottobraccio: incapace ormai di sopportare il
peso della propria immaginazione e della propria percezione della realtà,
desidera solo «restare fermo, immobile, in posizione orizzontale, con gli occhi
chiusi, senza tirare il fiato, senza sentire voci e campanelli, senza parlare.
Al buio».
La critica ha accolto favorevolmente il romanzo, sottolineando il carattere
autonomo dello sperimentalismo di Malerba, sostanzialmente diverso da quello del
«Gruppo 63» in cui l'autore militò: nei suoi esiti grotteschi e allucinati,
Malerba, infatti, «non stravolge le linee del racconto, né scompone l'ordine
sintattico della lingua» (Lucio Felici).
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