La raccolta riunisce testi già variamente editi in rivista. Un nucleo centrale
di poesie, col titoto di Finisterre, era già apparso a Lugano nel 1943 e venne
ristampato a Firenze nel 1945.
Articolata in sette parti, La bufera e altro contiene poesie scritte tra il 1940
e il 1954. Nell'ambito di un disegno strutturale unitario, di grande coerenza
interna, i vari componimenti si pongono come cronaca personale e trasfigurata
della guerra, prima, del dopoguerra, poi. Al centro dell'opera sta la figura
della donna salvatrice, quella Clizia, già presente nelle Occasioni, che qui
avrà un ruolo fondamentale nella lotta contro il tempo presente e contro la sua
condizione di triste abbrutimento. Tale figura femminile, misteriosa ed
enigmatica, sarà destinata tuttavia a sciogliersi in immagini diverse che la
trasformeranno via via in Mosca, la donna reale e concreta, e in Volpe, l'anti-Beatrice
per eccellenza, terrestre, sensuale, mondana: incarnazioni entrambe di
personaggi ideali di forte autorevolezza.
In uno stile sublime e allo stesso tempo oscuro si esprime questa poesia
metafisica che «nasce dal cozzo della ragione con ciò che ragione non è». Già in
avvio di raccolta, la ricerca della perfezione metrica e sintattica si sposa ad
un linguaggio di alta suggestione emozionale all'interno di una scrittura lirica
complessa, concisa e spesso ellittica.
Il libro ha inizio con le poesie di «Finisterre» che, pensate in origine come
complemento alle Occasioni, rappresentano la fase "petrarchesca" della poesia di
Montale. Nel componimento La bufera la trasfigurazione che coinvolge la materia
poetica raffigura una natura in tempesta in cui l'immagine della guerra e della
donna si uniscono a creare qualcosa di allucinato e di lontano dalla percezione
limitata del poeta, travolto dagli eventi:
«Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti - per entrar nel buio».
La guerra è qui rappresentata in forme allusive o allegoriche piuttosto cifrate
e, in questa atmosfera lirica, quasi onirica, la figura di Clizia diviene
fondamentale nella sua funzione di alterità rispetto al mondo presente.
All'interno di diverse composizioni dal significato oscuro, solo raramente la
donna mitizzata sembra perdere la sua connotazione "altra" smarrendo allo stesso
tempo, nello scontro con le forze negative, il potere dato dalla sua distanza:
«Fosse tua vita quella che mi tiene
sulle soglie - e potrei prestarti un volto,
vaneggiarti figura. Ma non è
non è così. Il polipo che insinua
tentacoli d'inchiostro tra gli scogli
può servirsi di te. Tu gli appartieni
e non lo sai. Sei lui, ti credi te»
(Serenata indiana).
Con la sezione successiva, «Dopo» comincia la riflessione sulle contraddizioni
c'le difficoltà del dopoguerra. Nel desolato orizzonte di quegli anni Montale
elabora un estremo messaggio di «decenza quotidiana» che, nella prosa Visita a
Fadin inserita in «Intermezzo», conferma la necessità di una pur elementare
partecipazione alla tragedia esistenziale: «Essere sempre tra i primi e sapere,
ecco ciò che conta anche se il perché della rappresentazione ci sfugge». Si
conclude e insieme si riavvia, con questo testo, il motivo della morte,
ricorrente in tutta la raccolta e fondamentale nel recupero di un passato da
ritrovare nel colloquio con le persone che non sono più, ipotizzando una
possibile abolizione delle barriere tra vita e morte: morte come luogo di
pacificazione che si oppone all'immagine della storia, «peschiera dei girini
umani», e che torna insistentemente in un folto gruppo di componimenti quali A
mia madre, L'arca, Proda di Versilia, Voce giunta con le folaghe.
In « "Flashes" e dediche», quarta sezione del libro, le poesie hanno un
andamento frammentario, come gli «Ossi di seppia» nella prima raccolta e i
«Mottetti» nelle Occasioni; sono brevi illuminazioni che si accendono spesso nel
corso di viaggi insieme metaforici e reali:
«La scatola a sorpresa ha fatto scatto
sul punto in cui il mio Dio gittò la maschera
e fulminò il ribelle»
(Verso Siena).
Nelle «Silvae», che seguono, la visione pessimistica dell'esistenza è
radicalizzata fino a condannare il presente a
«mare
infinito, di creta e di mondiglia»
(Proda di Versilia)
mentre il poeta giunge all'identificazione con creature primordiali e deboli:
«l'iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell'uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?»
(L'anguilla).
Spicca, in questa sezione, La primavera hitleriana, uno dei rari componimenti in
cui viene fatto esplicito riferimento a un avvenimento storico preciso:
l'incontro tra Hitler e Mussolini del '38 è reso qui in un'atmosfera infernale
di grande impatto emotivo nella rappresentazione desolata di un mondo in cui
«più nessuno è incolpevole».
Le liriche continuano a svilupparsi in un quadro di desolazione e fatica: nel
rapporto con un mondo concreto e vivo nei «Madrigali privati» (dove appare la
figura di Volpe), nella volontà di resistere alla distruzione nelle «Conclusioni
provvisorie», nel desiderio di testimoniare un modello umano e civile di
resistenza in Piccolo testamento. Una vena di vaga religiosità, infine, pervade
tutta la raccolta, che nel dialogo con i morti intravede la possibllità di un
riscatto, seppure oltremondano.
Montale stesso riteneva La bufera e altro la sua prova più alta, quella in cui
il «male di vivere» prendeva corpo in figure della storia. Per il suo splendente
pur se oscuro allegorismo, l'opera fu definita da Gianfranco Contini «sede di
una verità in forma di mito». Sempre a Contini parve inoltre che la terza
raccolta montaliana potesse offrirsi per una comprensione retrospettiva di tutta
la poesia dell'autore. Anche Pier Paolo Pasolini intervenne nel dibattito
critico su La bufera, definendo il giudizio sulla storia da parte di Montale «il
giudizio di un'anima».
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