La prima e definitiva edizione di Satura riunì testi precedentemente pubblicati
in rivista o già inseriti in piccole raccolte d'occasione, oltre a quelli di
Xenia stampati in edizione limitata a San Severino Marche nel 1966.
La poesia montaliana degli anni Sessanta si rinnovò mediante l'adozione di uno
stile dimesso, nella ricerca di una comunicazione più diretta e quasi
colloquiale con il lettore. Anche il mezzo ironico venne spesso utilizzato
nell'ambito di una tale svolta espressiva che prevedeva l'uso di stilemi
prosastici di grande efficacia. Da questa sperimentazione nacque Satura,
raccolta di testi eterogenei, come lo stesso titolo suggerisce nel rimando a una
realtà composita, anche e soprattutto ideologica, che ripropose la figura
dell'autore in veste del tutto rinnovata.
Nei due componimenti fratelli d'apertura (della sezione «Il tu»), Montale
introduce il motivo della riflessione sulla propria opera, giocando in Botta e
risposta i con il personaggio autobiografico di Arsenio (ancora l'Arsenio degli
Ossi di seppia), immaginato qui a colloquio con un interlocutore che lo spinge a
uscire dal torpore di una vita passata nell'immobilità. La risposta all'invito
sarà drastica nel rifiuto e verrà espressa con la dichiarazione di
un'impossibile metamorfosi, a conclusione di una lucida allegoria sulle stalle
di Augìa, immagine infernale di un'intera esistenza vissuta fra tormenti storici
e privati:
«Penso
che forse non mi leggi più. Ma ora
cui sai tutto di me,
della mia prigionia e del mio dopo;
ora sai che non può nascere l'aquila
dal topo».
La sezione di «Xenia I» viene a interrompere questo attacco alla storia e alla
finzione con la collana dei brevi componimenti dedicati al ricordo della moglie
morta. Il tono affettuoso nella rievocazione lirica rimanda a un modo familiare
di sentire la poesia, che si fa adesso leggera e dolcemente ironica. La memoria
diventa qui un mezzo di comunicazione, forse persino più forte che in vita,
complice anche la concezione montaliana di tempo in relazione all'esistenza:
«Ma è possibile,
lo sai, amare un'ombra, ombre noi stessi».
Il dolore per la perdita della persona amata si compensa in virtù di un insolito
rapporto con l'esperienza della morte che unisce anziché disgiungere e che si
manifesta attraverso canali non ovvi o del tutto imprevisti:
«Avevamo studiato per l'aldilà
un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che tutti siamo già morti senza saperlo»;
«Ascoltare era il solo tuo modo di vedere.
Il conto del telefono s'è ridotto a ben poco»;
«Ricordare il tuo pianto (il mio era doppio)
non vale a spegner lo scoppio delle tue risate»;
«Eppure non mi dà riposo
sapere che in uno o in due noi siamo una sola cosa».
Il rapporto dell'autore con il proprio mestiere di poeta, infine, viene
ricondotto alla figura della moglie (chiamata affettuosamente Mosca) che, in
vita, esercitava, con lieta spontaneità, il suo giudizio.
Le poesie di «Xenia II» hanno ancora al centro la rievocazione di un passato
comune, ripercorso adesso attraverso piccoli quadri di vita quotidiana. Il tono
si fa più delicato nel ripercorrere episodi lontani, e l'importanza del legame
ormai finito risalta anche con maggiore forza:
«Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue».
L'omaggio alla moglie continua in dialoghetti simulati e in affettuosi
riconoscimenti alla semplice moralità di Mosca:
«tu, giudiziosa,
dio non lo nominavi neppure con la minuscola»;
«Ti piaceva la vita fatta a pezzi
quella che rompe dal suo insopportabile
ordito».
In «Satura I» si svolge la polemica contro le ideologie del tempo, ideologie
illusorie secondo l'autore, nella loro pretesa di dare un senso alla storia. La
riflessione sull'esistenza trova nuovi argomenti e nuovi modi parodici, e si
sfoga in Fanfara, vero e proprio scherzo linguistico contro «lo storicismo
dialettico / materialista», e soprattutto in La storia, dove riappare la
metafora montaliana della rete:
«La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui».
I vari componimenti di questa sezione aggrediscono le ottimistiche certezze
contemporanee nei modi di una satira fitta di risentimenti e spunti provocatori,
fino alla parodia di un'utopistica illusione di felicità e progresso:
«Abbiamo ben grattato col raschino
ogni eruzione del pensiero. Ora
tutti i colori esaltano la nostra tavolozza,
escluso il nero»
(Il raschino).
Preso di mira è anche il linguaggio moderno con la sua falsa ricercatezza,
attaccato spesso in forme di pungente ironia:
«Déconfiture non vuol dire che la crème caramel
uscita dallo stampo non stia in piedi.
Vuol dire altro disastro; ma per noi sconsacrati
e non mai confettati può bastare».
Accanto alle invettive contro cultura e società si pongono, tuttavia,
esperimenti diversi, ricordi teneramente nostalgici (Nel fumo) e divertimenti
giocosi su questioni squisitamente letterarie (La poesia, Le rime).
Nella più ampia sezione di «Satura II» componimenti eterogenei si susseguono in
una miscela variegata di temi e spunti di diverso tipo. Continua l'ironia di
certe poesie precedenti, come nell'antidannunziana e icastica Piove («Piove / in
assenza di Ermione / se Dio vuole»); il ricordo nostalgico comprende persino
un'altra donna (nella microsezione «Dopo una fuga»), mentre la satira della
società contemporanea assume tonalità più cupe, sfiorando spesso un
atteggiamento di moralistica intransigenza. La parola per la moglie diventa
allora più che mai àncora di salvezza contro la banalità della vita, e la
rievocazione di momenti passati domina in poesie come Luci e colore; In gennaio,
Nel silenzio.
Il problema religioso, infine, torna in forme oblique e di interrogazione, unito
di nuovo al tema della morte e legato a costruzioni filosofiche personali su
realtà e illusione di un'esistenza indecifrabile e provvisoria:
«E ora che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l'ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
ch'è una stoltezza dirselo»
(Prima del viaggio).
Del resto il motivo religioso si era presentato con particolare forza, nel
ricordo della moglie, fin dalle illuminazioni di «Xenia» :
«Pietà di sé, infinita pena e angoscia
di chi adora il quaggiù e spera e dispera
di un altro... (Chi osa dire un altro mondo?)».
Nella poesia che chiude l'opera, L'Altro, il rapporto con il divino si placa,
tuttavia, in una visione di quasi lieta rassegnazione:
«Non so chi se n'accorga
ma i nostri commerci con l'Altro
furono un lungo inghippo. Denunziarli
sarà, più che un atto d'ossequio, un impetrare clemenza.
Non siamo responsabili di non essere lui
né ha colpa lui, o merito, della nostra parvenza.
Non c'è neppure timore. Astuto il flamengo nasconde
il capo sotto l'ala e crede che il cacciatore
non lo veda».
Il Montale di Satura è stato definito nuovo e sorprendente per la prosasticità
della materia e del linguaggio, corroborata dal tono fortemente ironico adottato
anche per una rivisitazione tra nostalgica e parodica di tante liriche degli
Ossi e delle Occasioni. Nel leggero disagio provocato fra i lettori dal nuovo
corso della poesia montaliana, emerge il giudizio di Pier Paolo Pasolini, che
parlò di maschere protettive e provocatorie, assunte dal poeta nell'espressione
di una esibita saggezza senile.
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