Il libro (pubblicato nella collana «Grandi narratori italiani») raccoglie venti
novelle, scritte tra il 1951 e il 1954, accomunate, come asserisce l'autore
nella breve prefazione, dal tema della «solitudine». I ritratti di «uomini soli»
presi in considerazione «sono stati facilmente studiati nella piccola borghesia,
spesso fra gli impiegati privati o statali, i vedovi, i legalmente separati, i
misogini, gli ambigui, i vecchi inutili per quanto esperti e saputi; ed infine
insegnanti, artisti, attori». Nelle storie narrate si raggiunge una curiosa
fusione tra il senso di amarezza e solitudine (che l'autore individua nella
classe borghese durante il "benessere economico" seguito alla seconda guerra
mondiale) e la volontà di ritrovare gli aspetti giocosi e burleschi della vita.
In queste prose Moretti resta fedele ai suoi temi prediletti, e sceglie
argomenti legati alla vita di provincia, quella che gli è più familiare: «Non
era giorno di mercato e si stava seduti larghi nelle poltrone di cuoio, belle,
nuove fiammanti come in paese non ne avevano nei loro salotti le signore più
temute» (Dar moglie al cavaliere). I luoghi, anche se non sempre esplicitati,
sono quelli delle città romagnole. I personaggi sono uomini umili impegnati in
una vana battaglia contro gli eventi, che li travolgono e li sconfiggono
immancabilmente: come accade nella novella Il cappotto, dove troviamo il
corrispettivo del gogoliano Akakij Akakievic, Aspettato Aspettati. Moretti
osserva e analizza questo mondo con occhio critico, soffermandosi spesso sugli
interni opachi della provincia italiana. Per esempio nella novella Il pittigrì
(che narra la solitudine di uno studioso di storia, abbandonato dalla propria
moglie perché ritenuto «un noioso ed inutile vecchio») l'autore indugia sui
particolari dell'arredamento di una abitazione, accentuandone, nella
descrizione, il lato ironico: «Infine confessa d'essere incantata dall'idea
venutale nella stanza da letto, che non vi manchino, qui e nelle altre due
stanze oggetti e oggettini provenienti dal boudoir d'una dolce peccatrice della
fine del secolo scorso. Una collezione di pendole le dà in seguito il capogiro».
Ciò che conta sono le sfumature dell'indole dei personaggi, spesso segnati dallo
sconfortato e comico atteggiamento passionale con cui affrontano situazioni e
persone. Numerose sono, inoltre, le figure femminili (maestrine, mogli separate,
attrici, serve ecc.), a volte provate dalla durezza dell'esistenza, a volte
semplicemente sconsiderate. Donne ora miti, ora decise a lottare, accanto e
intorno alle quali si muove un piccolo mondo sordido di personaggi maschili
inaspriti dalla solitudine. Altre volte, invece, le donne rappresentano il
semplice specchio della malinconia degli uomini. Emblematica, in questo senso, è
la novella Donne di dopo Buchenwald dove il modo di vivere di un chimico mai
sposatosi viene ben definito attraverso il suo personale modo d'intendere
l'universo femminile: «le sole donne che facessero per lui che, come chimico e
uomo di laboratorio, anche puzzava, erano quelle che battevano il marciapiede
verso mezzanotte, all'uscita dai cinematografi, oppure, ancor meglio, le
desolate recluse alle quali pensava con segreta tenerezza». Ecco, quindi, che il
tema della solitudine viene risolto all'interno del tipico, novecentesco,
conflitto tra il mondo esterno e la condizione esistenziale vissuta dall'uomo
contemporaneo, le cui contraddizioni e meschinità sono rese spesso all'insegna
di un felice umorismo.
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