L'Incendiario segna l'inizio della collaborazione di Palazzeschi alle milanesi
Edizioni futuriste di «Poesia». I segni di appartenenza al movimento futurista -
com'è noto lanciato appena un anno prima da una rumorosa campagna giornalistica
iniziata sul quotidiano parigino «Le Figaro» - vengono moltiplicati dal giovane
e forse mai del tutto "convertito" poeta fiorentino: la dedica, «a F.T.
Marinetti / anima della nostra fiamma», anzitutto; e poi la lunga (64 pagine)
premessa al volume, costituita dal Rapporto sulla vittoria futurista di Trieste
- cioè sulla prima delle celebri "serate futuriste", tenutasi quel 12 gennaio
nella città irredenta, al Politeama Rossetti - seguito da una «fanfara della
stampa».
Assai complessa la storia dei testi successiva all'edizione del '10. C'è
anzitutto una seconda edizione che è in realtà un libro completamente nuovo,
cioè L'Incendiario 1905-1909 uscito nel 1913, pure nelle Edizioni futuriste di
«Poesia»: in effetti un'antologia personale trascelta dalle quattro raccolte
poetiche fino allora pubblicate da Palazzeschi, più una manciata di testi nuovi
nel frattempo usciti su «La Voce» o su «Lacerba»; solo una parte dei versi del
primo Incendiario vengono qui accolti, come del resto è esplicitamente
denunciato dalla seconda parte del titolo; drasticamente decurtato - appena una
trentina di versi - e stampato in corpo minore, come in esergo, è per esempio il
poemetto eponimo del libro del '10; la dedica a Marinetti ora suona come segue:
«a ET Marinetti che primo le amò, queste poesie gli vanno riconoscenti». E' la
prima di una lunga serie di rimaneggiamenti operati da Palazzeschi sul proprio
repertorio poetico giovanile, che prosegue attraverso le edizioni riassuntive
delle Poesie 1904-1909, per giungere alla ne varietur del 1904-1914, poi accolte
nel volume complessivo delle Opere giovanili, del 1958.
Le poesie - come, parallelamente, i «romanzi straordinari» pure destinati a
fissare la propria lezione nel volume delle Opere giovanili subiscono una serie
di normalizzazioni (lessicali, ortografiche, sintattiche, interpuntive e in
generale tipografiche, con un nettissimo vettore di abbassamento del tasso di
aggressività dialogica e scatologica) che rispecchiano appieno i mutati
sentimenti ideologici e letterari di un Palazzeschi risolutamente "tornato
all'ordine" negli anni delle Stampe dell'800 e poi dei Fratelli Cuccoli.
Un recupero parziale - fin dal titolo distanziante - degli estri giovanili è
tuttavia operato da Palazzeschi con la scelta di versi contenuta in Difetti
1905, volumetto consegnato nel 1947 alla collana «Opera prima» diretta da Enrico
Falqui. Qui ritroviamo a sorpresa, con minime varianti rispetto al 1910, La
ciociara in lutto, La visita di Mr Chaff e soprattutto il poemetto
L'Incendiario, mai più stampato integralmente dalla prima edizione.
Il libro del '10 si apre con il poemetto omonimo - che è pure il più ampio,
insieme con La morte di Cobò -, primo componimento di una sezione che, senza un
titolo proprio, comprende undici testi: appunto L'Incendiario, Villa celeste, La
fiera dei morti, Il Principe e la Principessa Zuff, La morte di Cobò, La Regola
del Sole, Le Carovane, La Città del Sole Mio, Le Beghine, Visita alla Contessa
Eva Pizzardini Ba e E lasciatemi divertire! (canzonetta). Segue una seconda
sezione, dal titolo Al mio bel castello, che comprende dieci testi: Quando
cambiai castello, Le mie passeggiate, Il mio castello e Il mio cervello, La
ciociara in lutto, La mano, L'orologio, Cherubina, Ginnasia e Guglielmina, Il
ballo, Il pranzo e La visita di Mr Chaff.
Sono testi lunghi, quasi sempre più di cento versi, nei quali giunge all'estremo
la tendenza alla narrazione e, al tempo stesso, alla teatralizzazione, che già
avevano caratterizzato i Poemi dell'anno precedente: e mediante la quale
Palazzeschi aveva provveduto a "capovolgere" parodicamente gli scenari decadenti
e simbolisti della sua primissima stagione poetica, tradizionalmente legata alla
"scuola" crepuscolare (e in effetti tenuta a battesimo da sodali vicini e
lontani come Marino Moretti e Sergio Corazzini).
In casi come Il Principe e la Principessa Zuff viene ripresa esplicitamente
quell'imagery, fatta di sognanti autocrati adolescenti e dolcissime regge
cadenti, estremizzandone fino alla comicità la malia cantilenante (per lo più,
tuttavia, Palazzeschi abbandona in questa raccolta quel ritmo ternario fisso che
Pier Vincenzo Mengaldo in un suo noto saggio ha individuato come «costante
ritmica» della sua prima stagione poetica); in altri casi vengono amplificati e
sviluppati motivi devianti e dissonanti che già in quel repertorio d'origine
avevano trovato spazio, seppure marginalmente: La Regola del Sole, per esempio
(cavallo di battaglia di Marinetti nelle sue declamazioni pubbliche), nel
mettere in scena un culto solare che prevede riti stremanti, arieggia episodi
come quello del Frate Rosso, che concludeva i Poemi.
E come una parodia del culto cristiano può pure essere letto il poemetto che dà
il titolo al libro (una «messa rossa», l'ha definito Edoardo Sanguineti), che
vale comunque, soprattutto, come allegorica messa in scena dello spirito
dell'avanguardia. Nei primi dieci versi troviamo delineata la scena: in mezzo
alla «piazza centrale / del paese» c'è «la gabbia di ferro» nella quale è
esposto al pubblico ludibrio «l'incendiario», il quale resterà protagonista sì,
ma muto; mentre alternativamente a lui e al pubblico (che, con tipica situazione
palazzeschiana, funge da "coro", continuamente commentante e variamente
strologante) si rivolge il suo alter ego, il Poeta, che irrompe d'improvviso
(«Largo! Largo! Largo! / Ciarpame! Piccoli esseri / dall'esalazione di lezzo, /
fetido bestiame») per proporsi quale «sacerdote» del nuovo Dio ingabbiato
(«quell'uomo è il Signore!»), e promette di liberarlo per «riscaldare / la
gelida carcassa / di questo vecchio mondo!». Come scrive Sanguineti, «c'è
qualcosa che brucia, intorno al '10, in questo regno di carta e di parole che è
la letteratura. C'è un poeta, in figura di clown, che ha scatenato un suo
tragico doppio, che ride pazzamente, e distruttivamente»; anche se bisognerà
prendere nota del fatto che il Poeta, dinanzi all'Incendiario, denuncia a piene
lettere una condizione di inferiorità: «Anch'io, sai, sono un incendiario, / un
povero incendiario che non può bruciare, / e sono comete in prigione» infatti «An
tutte le cose la polizia, / anche la poesia» ; «Sono un povero incendiario
mancato, / incendiario da poesia. / Ogni verso che scrivo è un incendio!»; ma
«Incendio non vero / è quello che scrivo, / non è vero seppure è per dolo».
Il riso «pazzo e distruttivo» di Palazzeschi giunge a un estremo non superabile
con la «canzonetta» E lasciatemi divertire, destinata a diventare uno dei suoi
testi più famosi malgrado l'uso audace di versi "senza senso" («Tri tri tri, /
fru fru fru, / ihu ihu ihu, / uhi uhi uhi!»): il poeta li giustifica come «robe
avanzate, / non sono grullerie, / sono la spazzatura delle altre poesie». E
anche se «è un azzardo un po' forte, / scrivere delle cose così, / che ci son
professori oggidì / a tutte le porte», è con acuta coscienza "sociale" che
conclude: «i tempi sono molto cambiati, / gli uomini non dimandano / più nulla
dai poeti, e lasciatemi divertire!»
Gli artifici tecnici mobilitati da Palazzeschi, in questa totale eversione del
codice lirico tradizionale, sono in verità assai simili a quelli del coevo
romanzo Il codice di Perelà, nel quale la prosa «prende a snodarsi in lunghe
colonne tipografiche fatte di battute, esclamazioni, interrogazioni, frasi
mozze, che riempiono pagine e pagine costituendo una sorta di spartito, più per
un'esecuzione orale-sonora che per una silenziosa lettura mentale» (Renato
Barilli). Non a caso uno dei poemetti dell'Incendiario potrebbe benissimo essere
(per la struttura della "visita", per temi, onomastica e tecnica del dialogo) un
capitolo espunto del Codice stesso: Visita alla Contessa Eva Pizzardini Ba.
Per questa strada, di progressivo indebolimento dei nessi logici tra episodio ed
episodio e poi, sempre più molecolarmente, fra verso e verso e addirittura fra
parola e parola -, si potrà giungere, nei testi poetici più tardi di
Palazzeschi, successivi anche al secondo Incendiario, al doloroso estremo
allegorico di Boccanera (costruito secondo una tecnica "concreta" che prelude
ormai a Dada), o a un formidabile poema-collage come La passeggiata (che non
sfigurerebbe al fianco dei testi capitali - di là da venire di un decennio -
della poesia surrealista).
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