Il romanzo - il primo intrapreso da Palazzeschi dopo la conclusione della
militanza futurista - fu pubblicato in cinque puntate, dall'agosto all'ottobre
del 1934, sulle pagine del quindicinale romano «La Nuova Antologia», su
sollecitazione del suo redattore capo, Antonio Baldini (dal carteggio fra i due
scrittori emergono censure di carattere sessuale imposte al testo, peraltro in
gran parte sottoscritte dall'autore). Ma la stesura va collocata tra il 1932 e
il '33. Come suo solito, Palazzeschi non rinunciò a riscrivere il testo: specie
in occasione della settima edizione vallecchiana del '42, nella quale abbassa
decisamente il tasso di espressivismo popolaresco di lessico e sintassi. In
linea con questa revisione, ma quantitativamente assai meno rilevante, è
l'ultima limatura, data in occasione della prima edizione mondadoriana. Su
questo testo si fondano tutte le successive edizioni Mondadori (tranne quella
scolastica curata da Marco Marchi).
Il lungo testo è suddiviso in otto grandi capitoli: «Santa Maria a Coverciano»,
«"Sorelle Materassi"», «Remo» «Palle», «Teresa e Carolina stanno a vedere,
Giselda canta, Niobe va a vendemmiare», «"Giselda! Niobe!"» , «Peggio», «Sepolte
vive».
Un ampio e musicale esordio abbraccia l'intero primo capitolo inserendo la
vicenda sullo sfondo dell'ameno paesaggio delle colline circostanti Firenze e in
particolare del circondario di Coverciano; Palazzeschi si richiama
esplicitamente a Boccaccio con una lunga citazione dalla VII giornata del
Decameron, cosicché la sua storia viene inquadrata sotto il segno della "beffa",
classicissimo tema della novellistica toscana. Le protagoniste sono la volitiva
Teresa e la fragile Carolina Materassi, due attempate zitelle che dal disastro
economico della famiglia paterna hanno ricavato una sorta di laica religione del
lavoro (un «paesano calvinismo produttivista», secondo la definizione di
Giuseppe Nicoletti). Abilissime nell'arte del rammendo, ne hanno fatto una vera
e propria industria a conduzione familiare, ottenendone la possibilità di
tenersi a schifiltosa distanza dal milieu rurale della campagna che abitano.
Tengono loro compagnia - in una casa-laboratorio alla quale si recano in
pellegrinaggio le ricche e decadenti borghesi che si contendono i loro
raffinatissimi pizzi e merletti - la sorella minore Giselda, che a differenza di
loro ha sperimentato la "vita", ricavandone un'inestinguibile avversione per
l'universo maschile, e la generosa serva Niobe, coeur simple che provvede a
tutte le esigenze materiali di questa famiglia malinconicamente orba di uomini.
A sovvertire le non scritte quanto ferree regole in essa vigenti, interviene
l'imprevisto: alla morte di una quarta sorella, lontana e dimenticata, piomba in
casa il nipote Remo, un ragazzo quattordicenne dalla trascinante vitalità che
non tarda ad accorgersi dell'ascendente da lui palesemente esercitato sui sensi,
appannati ma evidentemente non spenti, delle zie (e della serva; gli resta
ostile invece Giselda). Col crescere di Remo, crescono le preoccupazioni. Sempre
a zonzo con l'inseparabile amico Palle, Remo spende e spande, ogni volta
approfittando del patrimonio delle zie. A ogni malefatta del nipote, esse
infatti riparano mettendo mano ai propri consistenti ma non infiniti risparmi:
al danno più macroscopico -quando Remo ingravida una giovane lavorante che aveva
frequentato la casa-laboratorio - rimedia invece la pratica e spicciativa Niobe,
recandosi in "missione" «a vendemmiare», sempre grazie alle risorse economiche
delle Materassi, un matrimonio di riparazione con un giovane delle colline dalle
quali proviene la ragazza. A un certo punto Teresa e Carolina tentano di
resistere ai soprusi di Remo, ma lui arriva a rinchiuderle in dispensa, finché
non si assoggettano a firmare in suo favore un'astronomica cambiale.
Poi la svolta: Remo annuncia le sue nozze con una ricca americana, Peggy, e le
celebra in paese, con sfarzo, prima di partirsene oltreoceano. Le Materassi
assistono all'evento, per il ludibrio generale, vestite a loro volta da spose.
Ormai in rovina, si riducono a lavorare per le contadine del circondario, ma si
consolano conservando religiosamente le fotografie di Remo. In particolare una
di queste, che lo raffigura in succinto costume da bagno, viene collocata, come
su un altare, nella loro stanza da lavoro. Qui possono ammirarla anche le
contadine, «e nessuno si faceva caso di trovare in quella stanza l'ingrandimento
di un giovanotto in mutandine». Teresa, ripensando alla precedente clientela,
commenta che probabilmente «le signore avrebbero arricciato il naso e storto un
po' la bocca». E Niobe le risponde: «Si ma dopo avere aperto bene gli occhi».
Segue una fragorosa risata collettiva.
Sorelle Materassi, per l'impianto naturalistico della narrazione, è stato
associato, fin dal suo apparire al versante "buono" del carattere palazzeschiano
(secondo un'accezione che si deve principalmente a Pietro Pancrazi): documento
maggiore, dunque, del suo ormai conclamato rappel à l'ordre. Ma si tratta invece
di «un romanzo-discrimine sufficientemente ibrido, contaminato, a suo modo
incerto e finanche imprevisto: un testo tutt'altro che innocuo» (Marco Marchi).
Crudele, «consapevole fino alla efferatezza» (Marchi), «autobiografia occulta»
(Luigi Baldacci), cioè travestita, è quella dell'autore nelle indimenticabili
figure delle rammendatrici; ed è con micidiale sarcasmo che Palazzeschi mette in
scena questa sua vera e propria favola teatrale.
La natura buffa delle avvizzite signorine di provincia è poi evidenziata dal
fatto che la narrazione è incorniciata da due episodi in cui il travestimento è
funzionale a vere e proprie messe in scena. Nella prima parte l'apice comico
viene raggiunto con la prolungata descrizione del rito domenicale delle
Materassi: "festa" nella quale, dopo una faticosa fase di «riesumazione» della
«loro femminilità» (che passa per il recupero di «cose mitologiche» di «molti
anni fa», come «sciarpe, fiocchi, veli, collaretti e mantelline che avevano
portato da giovinette»), le due vecchie zitelle, «pittorescamente infronzolate
da sembrare due maschere», si sporgono dal davanzale della propria finestra e
osservano il passaggio delle «coppie» e «coppiette» dirette verso il bosco...
«quasi fossero state due dame in un palchetto all'opera o alla commedia». Il
livido voyeurismo delle Materassi, unito al loro travestimento grottesco, è di
nuovo in scena in occasione delle nozze di Remo che, proprio per l'incongruo
intervento delle Materassi in abito da sposa, si carnevalizzano in «qualcosa che
stava fra l'operetta e il circo equestre», ma che lascia un residuo malinconico
e spettrale («la visione macabra di due cadaveri che ballano vestiti da spose»),
contrassegnato da un funebre velo bianco che si stende su tutto, ratificando un
destino di sterilità ed estinzione corporea («Sepolte vive» è il titolo
dell'ultimo capitolo).
Teatrale è, infine, pure la compagine linguistica del romanzo, affidata com'è a
un gusto spiccatissimo per l'oralità, e in particolare a robuste nervature
vernacolari (più evidenti nella sintassi che nel lessico) che le conferiscono
l'animatissima effervescenza del dialogato (punto di forza, sempre, dell'arte
palazzeschiana) e il festoso accalcarsi di particolari scenici, bozzetti
caricaturali, giochi linguistici. E risate, risate a non finire. Esemplare la
scena della "cambiale", a proposito della quale giustamente un critico come
Giuseppe De Robertis, all'apparire del romanzo, fece il nome di Rossini:
«Novità, estro, gusto della sorpresa, coraggio delle risoluzioni impensate sono
le ricchezze di questa rappresentazione prodigiosa; e, proprio come nell'Opera
buffa, un continuo concertare a due, a tre, a più voci, e l'ineffabile di certe
trovate». Sorelle Materassi è di gran lunga il maggior successo di pubblico di
Palazzeschi: basti pensare che l'ultima edizione licenziata da Vallecchi è la
ventiduesima (prima che il romanzo segua il suo autore presso il suo nuovo
editore, nel '60). Il successo del romanzo è anche testimoniato, oltre che dalle
traduzioni in tutte le principali lingue europee, dalle due riduzioni
audiovisive. Del 1943 è l'importante film Le sorelle Materassi, sceneggiato da
Bernard Zimmer e diretto da Ferdinando Maria Poggioli, con Emma e Irma Gramatica
nelle parti delle due sorelle, Massimo Serato in quella di Remo, Clara Calamai e
Paola Borboni. Del 1972, invece, uno sceneggiato televisivo della Rai, con la
regia di Mario Ferrero.
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