Luigi
De Bellis

 


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Goffredo Parise



SILLABARI: Racconti


Sillabario n. 1 comprende racconti già apparsi sul «Corriere della sera» tra il gennaio del 71 e l'agosto del '72. Il volume fu ristampato nell'82, data di pubblicazione, e sempre nella collana «Medusa», anche del Sillabario n. 2 in cui rifluivano racconti usciti sul «Corriere della sera» tra il luglio del '73 e il gennaio dell'80 (soltanto uno di essi, Sesso, apparve sul «Gazzettino» nel giugno dell'80). I due Sillabari furono editi in volume unico nel 1984 e da allora hanno conosciuto varie ristampe.

I Sillabari comprendono racconti brevi «sui sentimenti umani, così labili» (Parise, «Avvertenza» a Sillabano n. 2), quasi in forma di «poesie in prosa», distribuiti per lettere alfabetiche, secondo un progetto che doveva andare ovviamente dalla A alla Z; l'autore si fermò tuttavia alla lettera S, in quanto «abbandonato» dalla poesia: «La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un po' come la vita soprattutto come l'amore». Una patina delicata di malinconia pervade l'opera, come si può desumere dalle parole di questa «Avvertenza»; si avverte un senso di caducità e di morte declinato però in forme prevalentemente lievi, appena danzanti, quando non stupefatte. Ma non manca il sentimento opposto della gioia semplice di vivere, della perfezione delle cose elementari dell'esistenza.

Ogni sezione alfabetica include racconti con titolazioni categoriali, per lo più relative a sentimenti (per esempio: A come Amore, Affetto, Altri; Amicizia, Anima, Allegria, Antipatia); il Sillabario n. 1 arriva alla F di Famiglia, il n. 2 riparte da Felicità e conclude (non conclude) con Solitudine. Sovente i pezzi dai titoli più impegnativi (come Amore o Bellezza) sono i più concentrati sul livello "umile" della realtà, ricercando un sublime "basso" e disperatamente "autentico". È il caso, per esempio, di Bellezza, dove si descrive «un vecchio di campagna», un contadino analfabeta che pensa alla morte ma non riesce a captarne alcun segnale, così semplicemente radicato nella vita come egli è: ecco la bellezza, fabula docet, ovvero la vita quotidiana di un vecchio con il suo carrettino. Talora la categoria del titolo si definisce per antitesi, o piuttosto per ossimoro, nello svolgersi del racconto, come si vede in Dolcezza. Qui «la dolcezza della vita» è colta da «un uomo con polmoni e bronchi un po' deboli», cosciente della sua prossima morte. L'ambientazione è Venezia (quasi a desublimare, semplificare Thomas Mann) e le azioni dell'uomo sono elementari: passeggia, canta una canzoncina, mangia con gusto kipferl caldi al caffè («Ah, che felicità»), legge il giornale, si concede riflessioni apparentemente banali («Che paese meraviglioso è l'Italia»), si accende una sigaretta che sa esiziale, passeggia ancora, nel pomeriggio si siede al Florian, la sera cena con aragosta, e prova un vivissimo sentimento di cui non sa trovare il nome (la felicità?). «L'uomo partì da Venezia, passarono non molti anni da quel giorno di settembre e un altro giorno di febbraio, in una clinica, era molto triste. Per consolarsi cantò con un filo di voce, ciò che ne venne fuori fu: La biondina in gondoleta, e l'uomo pianse perché riconobbe l'orchestra del Florian, la laguna ondulante e la dolcezza della vita». Parise si rivela un maestro nello spremere sentimenti straordinariamente intensi dalla "semplicità" più ostentata e programmatica, che non coincide mai con una semplificazione stilistica. Il motivo della solitudine, già presente in Bellezza e Dolcezza, si ripresenta spesso, per esempio in Famiglia, che conclude il primo Sillabario. Un uomo vive solo e dice a se stesso: «Non hai nessuno che cammina per casa, gli anni passano, diventerai un vecchio e di te non resterà nulla». Conosce una famiglia numerosa, in particolare una coppia con quattro figli; una sera, presso di loro, terribilmente incuriosito, assaggia il latte della donna, da poco nuovamente madre, offertogli dal marito in un cucchiaio: «sentì il sapore che era di latte, di miele, di margherite piccole o erba e di persona umana». Poi ritorna alla sua solitudine, fino a "scomparire": «di lui non si ebbero più notizie se non per sentito dire», conclude Parise.
Il latte umano è uno degli emblemi "elementari" che ossessionano l'autore, come il sangue (L'odore del sangue è il titolo del suo romanzo postumo, assai vicino a certi