Luigi
De Bellis

 


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Opere riportate:

     
 

Se questo è un uomo

 
 

La tregua

 
 

La chiave a stella

 
     
     

 





Primo Levi



SE QUESTO E' UN UOMO: Narrazione autobiografica


L'opera è stata composta tra il dicembre 1945 e il gennaio 1947, dopo che l'autore aveva raccontato più volte, oralmente, le vicende occorsegli. Rifiutata dall'editore Einaudi, fu pubblicata da De Silva e successivamente, in una redazione rivista e con aggiunte, dallo stesso Einaudi. A partire dall'edizione Einaudi, Levi ha aggiunto una «Appendice», nella quale ha messo per iscritto le risposte alle domande che più frequentemente gli venivano rivolte dai suoi lettori.

Il testo - che rievoca la prigionia dell'autore in un lager - è articolato in diciassette capitoli: «Il viaggio», «Sul fondo», «Iniziazione», «KaBe», «Le nostre notti», «Il lavoro», «Una buona giornata», «Al di qua del bene e del male», «I sommersi e i salvati», «Esame di chimica», «Il canto di Ulisse», «I fatti dell'estate», «Ottobre 1944», «Kraus», «Die drei Leute vom Labor», «L'ultimo», «Storia di dieci giorni». Arrestato dalla Milizia fascista nel dicembre del '43, Levi viene avviato nel campo di Monowitz, o Auschwitz terzo, nei pressi di Auschwitz, dove con altri prigionieri (oltre gli ebrei, ci sono anche criminali comuni e detenuti politici) lavora alla Buna, una fabbrica tedesca di gomma e prodotti sintetici. Fin dal viaggio di trasferimento al campo i prigionieri scoprono che la loro vita non ha più alcun valore: i tedeschi utilizzano gli ebrei come forza-lavoro (ciò costituirà la salvezza per Levi, giacché fino ad allora gli ebrei catturati erano stati immediatamente soppressi) e coloro che non risultano utilizzabili vengono portati nelle camere a gas.
La vita del campo si rivela subito infernale: condizioni di lavoro estenuanti, cibo scarsissimo e infimo, temperature rigide da sopportare con indumenti inadeguati, scarpe che piagano i piedi, divieto assoluto di infrangere un regolamento rigidamente vessatorio (per esempio il divieto di dissetarsi con un pezzo di ghiaccio o quello di dormire con il berretto). I prigionieri smettono di avere un nome, una identità e diventano un numero, quello che viene loro tatuato sul braccio sinistro, e a poco a poco cessano di avere una personalità, abbrutiti come sono dagli stenti, dalle percosse, dalla fame, dalla sete, dalle malattie, dalla disperazione. Essi sentono di non condividere più il mondo dei vivi. Ben presto però il prigioniero si rende conto che non deve guardarsi solo dalle SS tedesche ma anche dai compagni di sventura. Tutto - in un momento di distrazione - può venir rubato e rivenduto (il cucchiaio, la camicia ridotta a brandelli, oltreché, naturalmente, la misera razione di cibo) e i «Numeri Grossi», gli ultimi arrivati, devono difendersi dai compagni più furbi, i quali hanno imparato che nel campo la sopravvivenza va conquistata con sforzi quotidiani. Chi riesce, per esempio, a ottenere un qualsiasi incarico dai tedeschi passa dall'altra parte, dalla parte degli aguzzini, ed esercita il proprio compito con solerzia per dimostrarsene all'altezza. Si delinea cioè, fra gli stessi prigionieri, un preciso discrimine: da un lato i «sommersi», i vinti, destinati a morire; dall'altro i «salvati», i dominanti, quelli che sopravvivono. Una breve sosta è costituita dal ricovero in in fermeria (Levi vi trascorre qualche giorno), dove tuttavia non è possibile restare a lungo, visto che i malati che non mostrano segni di guarigione vengono soppressi, come periodicamente vengono soppressi («selezionati») tutti coloro che a una sommaria visita medica risultano eccessivamente indeboliti.
All'interno del campo il prigioniero ha modo di stringere salde amicizie, e quella con Alberto è la più significativa. Quando Levi viene chiamato a svolgere il lavoro di chimico nel laboratorio del campo, si apre per lui una nuova fase, meno dura per quel che riguarda le condizioni fisiche, più difficile dal punto di vista psicologico, giacché l'avere più tempo per pensare e ricordare il passato acuisce la sofferenza per lo stato presente. Una circostanza puramente fortuita fa sì che il protagonista sia tra i ricoverati in infermeria nel momento in cui i tedeschi fuggono per l'imminente arrivo dei sovietici (i «sani», infatti, vengono trasferiti e morranno tutti). Nel campo deserto i sopravvissuti trascorrono dieci giorni terribili prima dell'arrivo dell'Armata Rossa: abbandonati a se stessi, molti muoiono, mentre i pochi validi si organizzano per far fronte al freddo, alla fame e al pericolo di contagio costituito dai malati più gravi e dalla presenza di molti cadaveri. Il racconto si interrompe al 27 gennaio 1945; e le vicende successive all'arrivo dei russi saranno oggetto di un altro libro, La tregua, pubblicato nel 1963.
Nella «Prefazione» l'autore spiega che la rievocazione di quei tragici mesi risponde al «bisogno di raccontare» e allo scopo di «fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano». La narrazione è condotta con linguaggio volutamente pacato, senza animosità, affinché questa testimonianza ferma e precisa possa vincere le eventuali incredulità ad ammettere che tali barbarie siano veramente accadute e accadute in modo tanto efferato. Il testo (come osserva Marco Belpoliti) si sviluppa per intreccio di piccole "unità - «quell'inclinazione al microracconto tipica di Levi scrittore» - che «sono di tipo narrativo, o riflessivo, didascaliche, dimostrative e cronachistiche, a volte persino interiettive».
La prima edizione non suscitò particolare interesse. Il successo arrivò con l'edizione del '58: il libro - tra i più letti anche nelle scuole - è stato tradotto in varie lingue. Nel 1962 la Radio canadese anglofona ne elaborò una riduzione sottoposta a Levi e da lui approvata. L' autore stesso, insieme con Pieralberto Marché, lavorò a una riduzione drammatica, realizzata dal Centro di produzione di Torino della Rai, con la regia di Giorgio Bandini (la trasmissione andò in onda il 24 aprile 1964), il cui testo fu pubblicato con il titolo Se questo è un uomo. Versione drammatica.

 

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