In ventidue capitoli si dipana un giallo psicologico di cui è protagonista un
professore di filologia all'apice della carriera. Egli viene attaccato sulla
rivista «La Parola agli Antichi» da un anonimo studioso, perché ha proposto
un'etimologia scorretta del termine «ipocrita».
Per il professore la ricerca dell'autore della lettera diventa una terribile
ossessione; il sospetto cade su tutti i suoi colleghi universitari: Salutati,
ordinario di filologia romanza; Carulli, il ricercatore in eterna attesa di una
cattedra; Liverani, lo specialista di scienza antica. Il vero colpevole,
indicatogli da molti, è in realtà il collega Daverio, che nutre una segreta
passione per sua moglie. Ma al professore l'ipotesi "sentimentale" sembra troppo
facile, troppo banale. Le parole, i libri, una vita spesa a rincorrere obiettivi
intellettuali, lo hanno allontanato dall'esistenza normale e lo separano dalla
realtà spesso squallida del quotidiano. Ciò emerge dalla sua conversazione con
il collega Liverani, che gli sottopone un suo breve saggio sulla Chimera: «"Non
cercarvi la completezza"», gli dice Liverani, regalandogli il suo libro, «"sono
stanco del rigore, gli ho sempre sacrificato le idee migliori. Hai mai pensato
che il rigore è cadaverico, rigor mortis?. Ti ricordi i miei progetti di libri?
Quali ho scritto? Quelli in cui non rischiavo. Così mi sono spostato di qualche
centimetro. Solo adesso lo capisco fino in fondo". "Sto leggendo i diari di
Tolstoj". "Lui non pensava a lavori preparatori. Diceva continuamente: se
domarci sarò vivo, e così viveva"».
Il professore comincia a sospettare anche dei suoi studenti, forse qualcuno dei
più bravi. Ne convoca uno nel suo studio, Frigerio, e lo sottopone a un
interrogatorio stringentissimo, ma si rende conto ben presto che anche questa è
una pista sbagliata e, anzi, che ha commesso un gravissimo errore a svelare la
propria angoscia a un allievo: adesso tutti, anche gli studenti, lo derideranno.
L'unica chance che gli rimane è recarsi, nottetempo, nella casa editrice della
rivista e cercare nella corrispondenza l'originale della lettera pubblicata, per
scoprirne l'autore. Anche in questa occasione si coprirà di ridicolo, poiché,
sorpreso dal portiere dello stabile, rischia di essere scambiato per un ladro.
Tuttavia l'incursione sembra rivelarsi utile: l'autore della lettera è un certo
Ettore Pasini, di Santa Margherita Ligure. Recatosi a casa dell'uomo, egli
scopre che si tratta di un professore di liceo appassionato di linguistica,
lettore, fra l'altro, dei suoi libri. Anche lui si rivela, in realtà, del tutto
estraneo alla vicenda, mentre risulta con evidenza che qualcuno si è servito del
suo nome: per caso, come pensa il professore - magari trovandolo sull'elenco
telefonico -, oppure architettando un oscuro quanto diabolico piano?
L'ostinazione del professore non accenna a placarsi: egli si reca una sera dal
suo amico «ex-scrittore» Cattaneo, ora impegnato a vagliare una quantità
smisurata di manoscritti alla ricerca di un vero scrittore, per «partecipare
silenzioso e decisivo alla gioia di un altro». Anche lui suggerirà Daverio come
autore della lettera, ma il professore continua a non crederci: «"Mi sembra
troppo facile, troppo banale". "E allora chiudi gli occhi! Come hai sempre
fatto. Tu chiudi sempre gli occhi". Il professore lo guardò attonito. "Sì"
continuò Cattaneo "Tu hai sempre curato i sintomi e mai il male. Invece qui è
tutto l'organismo che è malato, che è marcio"». Cattaneo si riferisce al
rapporto tra il professore e la moglie, in crisi da tempo (entrambi infatti,
hanno un amante) e, ancor più profondamente, alla reazione che egli ha avuto di
fronte alla lettera di un nemico: «se ti ha colpito, è perché eri già debole. Se
la tua età è quella dei bilanci, tu li fai sempre quadrare, sei un maestro in
questo. Però c'è qualcosa che non funziona ed è l'essenziale e l'altro l'ha
capito».
Cattaneo consiglia al professore di scrivere una lettera di risposta sulla
rivista «La Parola agli Antichi», una lettera che deve controbattere con
distacco e ironia le argomentazioni del «nemico» e spingerlo a scoprirsi.
In risposta alla sua, il professore riceve una lettera anonima che gli
suggerisce di seguire la moglie «fino al N. 27 di via Benedetto Marcello». Qui,
da una persiana semiaperta di una villa, scopre la moglie a letto con un suo
giovane ex allievo, Ricci. Dopo qualche giorno, ella gli chiederà il divorzio e
Daverio si suiciderà.
Il romanzo si chiude sulla scena del professore che acquista una serie di libri
sugli scacchi, gioco che lo appassiona da sempre: uno di questi libri si
sofferma, in particolare, sulla mossa del «sacrificio», cioè l'offerta dei
propri pezzi all'avversario. Si tratta di una mossa molto rischiosa che lo fa
pensare a Daverio: anche lui, suicidandosi, «ha offerto i propri pezzi» al
nemico, scoprendosi. Ma, come afferma Salutati, di fronte alla morte parlare di
vittime o di colpevoli è inutile, perché prima o poi vince il destino,
«giocatore invisibile» contro cui ciascuno gioca la sua partita.
Il libro fu accolto con entusiasmo dal pubblico a cui si indirizzava, quello dei
lettori intelligenti ed esigenti, che esercitano - secondo le parole dell'autore
-un «vaglio critico, come risposta al testo». La critica ha sottolineato, in
particolare, la compiutezza formale e la struttura architettonica di un romanzo
che si offre a «diversi percorsi significativi» e che ha come obiettivo «una
comunicazione stratificata, per così dire, donde deriva una conseguenza molto
importante: ogni particolare del testo, entrando in diversi sistemi di rapporti,
si carica mirabilmente di più significati. La storia del libro è la storia di
tutti questi significati» (Maria Corti).
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