In questo volume (pubblicato nella collana «Poesia», con prefazione di Giuseppe
Pontiggia) l'autore ha riunito la sua produzione poetica compresa tra il 1958 e
il 1975. Oltre a inediti risalenti al biennio 1974-75, vi sono incluse le
raccolte La palpebra rovesciala (1960), Zero (1963), Aprire (1964), I rapporti
(1965), Cara (1969), Metropolis (1971), Week-end (1974 ).
I testi si articolano in due ampie sezioni cronologiche: «Parte prima
(1958-1968)» e «Parte seconda (1969-1975)». Con sottile ironia, il titolo Quanto
ho da dirvi nasconde e nello stesso tempo rivela la volontà di comunicare del
poeta: «bisogna subito scriverlo / che un segno chiaro rimanga del momento»
(Passeggero, III); «così un uomo riproduce se stesso muto d'ignoranza»
(Passeggero; VII). Nei versi si impongono, fin dall'inizio, due motivi
fondamentali: il costante interrogare persone, cose, fatti, animali senza
riuscire a ottenere una risposta chiara, e l'atmosfera analitico-psicologica in
cui queste liriche sono calate («Semina il germe del dubbio, / tutto è chiaro,
tutto è o- / scuro...», L'enigma naturale, 3; «verde, è certamente verde. questo
è il conflitto del verde», Zero). L'operazione di Porta consiste nel far
emergere l'inquietudine della modernità e l'impotenza a superarla in modo
definitivo: «Lo sguardo allo specchio scruta l'inesistenza, / i peli del
sopracciglio moltiplicano il labirinto» (In re). Ecco quindi che, attraverso
descrizioni oggettive, egli esemplifica il continuo senso di sfacelo insito
nella società attuale, di cui mette in luce la corruzione politica, la violenza,
il razzismo: «Attento abitante del pianeta, / guardati! dalle parole dei Grandi
/ frana di menzogne, lassù / insegnano il vuoto» (Europa cavalca un toro nero,
1); «Negri annusano il vento. / Ambigua è la sciagura, / Le sentinelle, i
poliziotti» (Europa cavalca un toro nero, 6).
Il rapporto con la vita, soprattutto nella prima parte del libro, è descritto
nel suo lato tragico e crudele, mediante continui parallelismi tra le vicende
dell'uomo e il mondo degli animali, dei vegetali e della natura in senso lato:
«L'albero l'ossatura allargava / cercando spazio tra gli alberi ... due guardie
forestali quello segnarono col marchio. L'uccello folto / dei cespugli obliò, un
lunghissimo verme ... due amici monelli / appostati gli occhi riuscirono a
forargli / sulla gola inchiodandogli la preda dal becco» (Vegetali, animali).
Fondamentale è, nella struttura semantica di queste poesie, la cancellazione
dell'io. La ricerca di un'oggettività assoluta induce il poeta a non esprimersi
in prima persona: «lecca la busta e cancella l'indirizzo / mangia le olive e
versa il tè» (Maladie d'amour, A); «il matto lo si vede subito / d'inverno
indumenti leggeri senza cane / piaghe da decubito / apre la bocca sputa un pezzo
di pane» (Crimini della poesia, IV). Negando la propria educazione cattolica,
Porta si proietta verso una visione immanente della realtà, dove le cose, gli
eventi, gli "altri" sono gli unici soggetti da considerare. Ma, per quanto non
sia mai possibile giungere a una risposta definitiva, rimane l'esigenza del
conoscere, dell'indagare: «attraversa il piano astronomo confidandosi con le
stelle / rane a salti da ogni lato e a calci / sulla terra...» (Il linguaggio
della poesia, I); «né una vita né due né un pianeta né un altro // le lingue non
capisco le grida annichilisco» (Modello per autoritratti). Una serie di domande
(e di risposte incomplete) suggerisce però al poeta la reale possibilità di
comunicare con il mondo degli altri. Il suo è un percorso heideggeriano verso
una paradossale ricerca di autenticità dove l'angoscia, l'onnipresente vicinanza
della morte e la coscienza del dolore - irriducibile a ragioni di tipo teologico
- portano l'individuo alla coscienza del proprio essere: «"Scivolo nuotando tra
alghe pericolose. / Affondo in fitte vegetazioni, ricoperto / di formiche e di
foglie. Mastico piume, / è quasi la conoscenza"» (Dialogo con Herz Desideravo da
tempo muovermi-).
Le poesie di Quanto ho da dirvi (alcune delle quali accolte nell'antologia dei
Novissimi, 1961, curata da Alfredo Giuliani) sono connotate da quello
sperimentalismo linguistico che accomunò i poeti del Gruppo 63: «so come fare io
so come dirlo / la gemma delle paure la fame cieca / l'albero delle defecazioni
riempie di pruni» (Le rose). li linguaggio poetico è inteso come forma di
estrema sollecitazione al ritmo, cui si connette una forte carica espressiva:
«lumache appiccicate alle foglie / donne in limitare di doglie // ai confini lo
spirito si appaga / braccia incrociate sulla piaga» (Quale porzione di
universo).
Una lingua, quindi, dove la tensione verso la cosiddetta "poetica degli oggetti"
introdotta da T. S. Eliot non si distanzia mai dalla ricerca di una musicalità
insolita e originale: «vergine / margine // luccica / stuzzica // profitto /
conflitto // sommuove/ rimuove // confine / divine // infinito / trito // liscia
/ piscia // montagna / cagna» (Rimario, II). «Nella pattuglia poetica della
neoavanguardia, Porta non è solo il poeta più dotato di vera necessità
espressiva (o addirittura, come è stato detto, lirica), ma anche il più ricco di
fiato». I suoi «procedimenti stilistici si generano da poche matrici
fondamentali, il che subito indica la qualità introversa e ossessiva della sua
ispirazione» (Pier Vincenzo Mengaldo).
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