Luigi
De Bellis

 


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Quanto ho da dirvi

 
 

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Antonio Porta (pseudonimo di Leo Paolozzi)



QUANTO HO DA DIRVI: Raccolta di poesie


In questo volume (pubblicato nella collana «Poesia», con prefazione di Giuseppe Pontiggia) l'autore ha riunito la sua produzione poetica compresa tra il 1958 e il 1975. Oltre a inediti risalenti al biennio 1974-75, vi sono incluse le raccolte La palpebra rovesciala (1960), Zero (1963), Aprire (1964), I rapporti (1965), Cara (1969), Metropolis (1971), Week-end (1974 ).
I testi si articolano in due ampie sezioni cronologiche: «Parte prima (1958-1968)» e «Parte seconda (1969-1975)». Con sottile ironia, il titolo Quanto ho da dirvi nasconde e nello stesso tempo rivela la volontà di comunicare del poeta: «bisogna subito scriverlo / che un segno chiaro rimanga del momento» (Passeggero, III); «così un uomo riproduce se stesso muto d'ignoranza» (Passeggero; VII). Nei versi si impongono, fin dall'inizio, due motivi fondamentali: il costante interrogare persone, cose, fatti, animali senza riuscire a ottenere una risposta chiara, e l'atmosfera analitico-psicologica in cui queste liriche sono calate («Semina il germe del dubbio, / tutto è chiaro, tutto è o- / scuro...», L'enigma naturale, 3; «verde, è certamente verde. questo è il conflitto del verde», Zero). L'operazione di Porta consiste nel far emergere l'inquietudine della modernità e l'impotenza a superarla in modo definitivo: «Lo sguardo allo specchio scruta l'inesistenza, / i peli del sopracciglio moltiplicano il labirinto» (In re). Ecco quindi che, attraverso descrizioni oggettive, egli esemplifica il continuo senso di sfacelo insito nella società attuale, di cui mette in luce la corruzione politica, la violenza, il razzismo: «Attento abitante del pianeta, / guardati! dalle parole dei Grandi / frana di menzogne, lassù / insegnano il vuoto» (Europa cavalca un toro nero, 1); «Negri annusano il vento. / Ambigua è la sciagura, / Le sentinelle, i poliziotti» (Europa cavalca un toro nero, 6).
Il rapporto con la vita, soprattutto nella prima parte del libro, è descritto nel suo lato tragico e crudele, mediante continui parallelismi tra le vicende dell'uomo e il mondo degli animali, dei vegetali e della natura in senso lato: «L'albero l'ossatura allargava / cercando spazio tra gli alberi ... due guardie forestali quello segnarono col marchio. L'uccello folto / dei cespugli obliò, un lunghissimo verme ... due amici monelli / appostati gli occhi riuscirono a forargli / sulla gola inchiodandogli la preda dal becco» (Vegetali, animali).

Fondamentale è, nella struttura semantica di queste poesie, la cancellazione dell'io. La ricerca di un'oggettività assoluta induce il poeta a non esprimersi in prima persona: «lecca la busta e cancella l'indirizzo / mangia le olive e versa il tè» (Maladie d'amour, A); «il matto lo si vede subito / d'inverno indumenti leggeri senza cane / piaghe da decubito / apre la bocca sputa un pezzo di pane» (Crimini della poesia, IV). Negando la propria educazione cattolica, Porta si proietta verso una visione immanente della realtà, dove le cose, gli eventi, gli "altri" sono gli unici soggetti da considerare. Ma, per quanto non sia mai possibile giungere a una risposta definitiva, rimane l'esigenza del conoscere, dell'indagare: «attraversa il piano astronomo confidandosi con le stelle / rane a salti da ogni lato e a calci / sulla terra...» (Il linguaggio della poesia, I); «né una vita né due né un pianeta né un altro // le lingue non capisco le grida annichilisco» (Modello per autoritratti). Una serie di domande (e di risposte incomplete) suggerisce però al poeta la reale possibilità di comunicare con il mondo degli altri. Il suo è un percorso heideggeriano verso una paradossale ricerca di autenticità dove l'angoscia, l'onnipresente vicinanza della morte e la coscienza del dolore - irriducibile a ragioni di tipo teologico - portano l'individuo alla coscienza del proprio essere: «"Scivolo nuotando tra alghe pericolose. / Affondo in fitte vegetazioni, ricoperto / di formiche e di foglie. Mastico piume, / è quasi la conoscenza"» (Dialogo con Herz Desideravo da tempo muovermi-).

Le poesie di Quanto ho da dirvi (alcune delle quali accolte nell'antologia dei Novissimi, 1961, curata da Alfredo Giuliani) sono connotate da quello sperimentalismo linguistico che accomunò i poeti del Gruppo 63: «so come fare io so come dirlo / la gemma delle paure la fame cieca / l'albero delle defecazioni riempie di pruni» (Le rose). li linguaggio poetico è inteso come forma di estrema sollecitazione al ritmo, cui si connette una forte carica espressiva: «lumache appiccicate alle foglie / donne in limitare di doglie // ai confini lo spirito si appaga / braccia incrociate sulla piaga» (Quale porzione di universo).
Una lingua, quindi, dove la tensione verso la cosiddetta "poetica degli oggetti" introdotta da T. S. Eliot non si distanzia mai dalla ricerca di una musicalità insolita e originale: «vergine / margine // luccica / stuzzica // profitto / conflitto // sommuove/ rimuove // confine / divine // infinito / trito // liscia / piscia // montagna / cagna» (Rimario, II). «Nella pattuglia poetica della neoavanguardia, Porta non è solo il poeta più dotato di vera necessità espressiva (o addirittura, come è stato detto, lirica), ma anche il più ricco di fiato». I suoi «procedimenti stilistici si generano da poche matrici fondamentali, il che subito indica la qualità introversa e ossessiva della sua ispirazione» (Pier Vincenzo Mengaldo).

 

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