Cresciuto negli anni, il corpo delle poesie di Parole mostra una singolare
tenuta, quasi che gli inediti vadano ad aggiungersi uno all'altro secondo una
logica non di puro accumulo, ma di ricchezza espressiva. La definizione di
"diario lirico" per queste poesie è forse l'unica capace di rendere ragione, da
una parte della loro capacità di trascrivere i minimi moti della vita, nella
varietà del loro mutevole apparire, dall'altra del ricorrere di temi, quali
l'amore, la solitudine, la nostalgia per una maternità negata, il desiderio di
una pace irraggiungibile ecc. Ne deriva quella che si potrebbe chiamare un'arte
della variazione, di alta intensità morale, in cui l'apparente scarsità di
strumenti retorici (basta pensare al coevo e letteratissimo movimento ermetico)
favorisce un tono colloquiale sommesso e appassionato, ricco di dubbi,
confidenze e interrogativi, capace di orchestrare una meditazione spirituale
piuttosto insolita nella nostra tradizione lirica.
Un posto di rilievo in questa scelta di tono, subito sicura, subito all'opera
fin dalle prime poesie dei 1929, è occupato dal paesaggio, raramente urbano,
quasi sempre legato ai monti e al lago. Gli scorci naturali, che fanno da sfondo
ad ansie e turbamenti, evocano una quinta di regale impassibilità, che a tratti
sembra reclamare l'irrequietezza umana, promettendo il ristoro di un definitivo
ricongiungimento: «mentre le rocce, in alto, / sui grandi libri rosei del
tramonto / leggono ai boschi e alle case / le parole della pace» (Ritorno
serale). La funzione rasserenante del paesaggio si spinge, questa volta con un
movimento inverso, a voler avvicinarsi alle cose, per carpire il loro
straordinario alfabeto: «Certe sere vorrei salire / sui campanili della pianura,
/ veder le grandi nuvole rosa / lente sull'orizzonte / come montagne intessute
di raggi. // Vorrei capire dal cenno dei pioppi / dove passa il fiume / e quale
aria trascina» (Pianura). Accade anche - secondo la plausibilità di una poesia
che non teme assolutamente l'esercizio dei più antichi riflessi della tradizione
poetica - che il paesaggio si carichi di umori umani, in uno scambio di felice
suggestione pittorica: «Ora guance di lontani monti / tra le nebbie si volgono /
nel risveglio, al primo / rossore» (Notte e alba sulla montagna).
La morte, mai blandita o invocata, è un altro elemento di questa sensibilità
acuta che, stoicamente, può accettarla come segno di supremo decoro: «come le
ossa del falco / che sul torrione più alto / regalmente ha voluto / morire» (La
roccia); oppure leggerla nella sua levità fatale, a cui non manca la grazia del
ritorno: «Questo non è esser morti / questo è tornare / al paese, alla culla...
Le fiammelle dei ceri, naufragare / nello splendore del mattino, / dicono quel
che sia / questo vanire / delle terrene cose /- dolce- / questo tornare degli
umani, / per aerei ponti / di cielo, / per candide creste di monti» (Funerale
senza tristezza). E la leggerezza è uno degli stilemi ricorrenti, l'approdo di
una visione dell'esistenza dove la pena di vivere, il tormento, sono destinati a
finire in un bisbiglio, a cui forse non è estraneo il richiamo della morte:
«Desiderio di cose leggere / nel cuore che pesa / come pietra / dentro una
barca» (Desiderio di cose leggere).
La leggerezza è comunque un carattere delle cose, un segno e una meta da
raggiungere: «Sotto gli ulivi vorrei / in un mattino fresco / salire / e
salutare / di là dalle lievi / chiome d'argento / il pallore del sole ed il volo
/ delle nuvole lente / verso il mare» (Sogno sul colle).
Non è trascurabile, in una poesia così votata all'intimismo, alla preghiera
solitaria, all'invocazione, una notevole attitudine al racconto. Come in
Periferia in Aprile, in cui l'evocazione della fanciullezza richiama squarci
lirici, ma di un lirismo aperto ai gesti di un semplice gioco: «Intorno aiole /
dove ragazzo t'affannavi al calcio: / ed or fra cocci / s'apron fiori terrosi al
secco fiato / dei muri a primavera»; un lirismo capace di accostare realtà e
trasfigurazione della realtà: «così correndo in ogni vena / e dici / ancora
quella strada remotissima / ed il vento / leggero sopra enormi / baratri
azzurri». E nelle movenze di un racconto si cela, ma non troppo, tutta la forza
di una femminilità salda, negli affetti, nella fedeltà, come nella bellissima
Voce di donna, in cui il personaggio femminile («Io nacqui sposa di te soldato»)
esprime, in uno straordinario capovolgimento del tema del soldato al fronte,
affetto, dolore e presenza fisica: «ma se ti penso all'addiaccio / piove sul mio
corpo autunnale / come su un bosco tagliato». La fisicità dell'amore coniugale,
tanto più intensamente vissuta, quanto negata dalla realtà, si esprime con
immagini dense di emozioni, in una proiezione al limite del modello biblico del
Cantico dei Cantici: «Quando balena il cielo di settembre / e pare un'arma
gigantesca sui monti, / salvie rosse mi sbocciano sul cuore ... Sono la scarna
siepe del tuo orto / che sta muta a fiorire / sotto convogli di zingare stelle».
|