Dopo alcune ristampe (1951, 1956), dieci dei dodici racconti di cui si compone
il volume vennero inclusi, nel 1965, nella raccolta I racconti. Successivamente,
la raccolta fu ripubblicata in due edizioni economiche, una del 1972, con una
prefazione di Giulio Nascimbeni e una dei 1990.
Il volume comprende: Piededifico (1948), Lutto figlia lutto (1948), Una scenata
napolitana (1948), Estro furioso (1948), Breve storia del contrabbando (1949),
Cappuccia (1949), Il confinato (1949), Capodimorte (1949), La rapina di Cava
(1949), Il mortorio (1949), La cocchiereria (1949), Il bocciuolo (1947), tutti
ambientati in Campania, tra Napoli e l'immaginaria Nofi.
Fin dal primo racconto emergono i caratteri che concorrono a definire la
fisionomia dell'intera raccolta: la presenza costante della miseria e
l'alternanza, talvolta anche all'interno del medesimo testo, di comicità e
tragedia. Emblema di una fame disperata e ancestrale è Piededifico, un
mendicante che, penetrato nella ricca dispensa di un convento, riesce per alcuni
giorni, ricorrendo a un astuto stratagemma, a sfamare se stesso e la propria
famiglia, per poi essere scoperto quasi per caso. Ben diverso è il tono del
testo successivo, nel quale un uomo si divide tra due donne, zia e nipote, fino
a un prevedibile finale tragico. Il dramma della gelosia si volta in pantomima
in Una scenata napolitana, racconto che fa di una violenta lite tra marito e
moglie un autentico pezzo di teatro, con tanto di spettatori (gli astanti
riuniti in un cortile), coro di donne in disparte, battute a effetto e
didascalie d'autore. L'ambiente rurale fa invece da sfondo a Estro furioso, in
cui si fanno maggiormente sentire alcuni accenti veristi: è la storia della
passione ostinata e violenta di un giovane contadino per una coetanea, che si
conclude pressoché inevitabilmente con la morte di entrambi per mano di lui. La
città torna nuovamente protagonista in Breve storia del contrabbando, il testo
più riuscito e più originale dell'intera raccolta - collocato a metà tra la
dimensione del racconto e quella del saggio -, che ricorda gli anni di
quell'«interregno», «diventati materia di sogno», che va dal 1943 al 1947,
periodo durante il quale il popolo napoletano visse un raro momento di
prosperità grazie al contrabbando con gli americani. Al centro di Cappuccia sta
una vicenda individuale, di cui è protagonista un detenuto che, nel settembre
del '43, quando il carcere viene aperto affinché i reclusi possano salvarsi dai
bombardamenti, non fugge perché non sa dove rifugiarsi; così, indossata una
divisa da secondino, morirà difendendo la cucina (compare ancora una volta la
fame) dall'assalto di alcuni soldati marocchini.
Il gruppo di racconti legati alla realtà storica prosegue con Il confinato, nel
quale l'antifascista milanese Gionetti e sua moglie Gavina vengono linciati
dalla popolazione di Nofi persuasa che essi guidino le incursioni aeree degli
Alleati tramite una fantomatica radio trasmittente.
Gli anni del fascismo sono esplicitamente evocati anche in Capodimorte, sempre
ambientato a Nofi: il protagonista Pirrone è un fascista povero e mutilato che
ricatta gli altri e che viene a sua volta usato dal potere locale. Al momento
della caduta del regime, si scopre che ha finito la propria invalidità per lucro
e viene acclamato dalla folla. I due racconti successivi presentano notevoli
affinità tra loro. Nel primo, La rapina di Cava, una mendicante muore cadendo in
un pozzo durante un tentativo di rapina messo in atto da alcuni giovani: a
pagare per tutti con il carcere è tuttavia solamente il "palo". La morte della
mendicante Zì Capena dà avvio a Il mortorio, ma in tal caso il giovane che l'ha
uccisa viene compianto dall'intero cortile e si commuove al punto di promettere
di farle costruire una tomba monumentale.
La cocchiereria narra il breve periodo di fortuna e il disastro definitivo del
cocchiere Scuotolantonio all'arrivo degli americani.
Il testo conclusivo, Il bocciuolo, presenta caratteristiche che lo isolano
piuttosto nettamente all'interno della raccolta: vi si racconta, eccezionalmente
in prima persona, l'amore di un anziano magistrato per la giovane Rosa, la
quale, benché lo inganni con un giovane, riuscirà a farsi sposare. Utilizzato
come base per la commedia Le formicole rosse (1948), Il bocciuolo è l'unico
racconto nel quale il protagonista non è un personaggio di estrazione popolare.
Lo sguardo con il quale Rea osserva l'umanità dolente e disperata esclude
qualunque giudizio morale e inclina, piuttosto, alla pietà: la morte, anche
quando è violenta, si presenta quasi come il corollario di una vita fatta di
stenti e di miserie. Nondimeno, se in alcuni racconti la condizione di fame
sembra essere assunta come un dato di fatto assoluto, extratemporale, in altri
essa ha le fattezze di una contingenza storica precisa. E la storia è spesso il
pretesto, in Rea, per una contemplazione pessimistica di un certo immobilismo
meridionale, documentato dalla morte dell'antifascista Gionetti o dalla
conclusione di Capodimorte, applaudito nonostante sia in fondo una figura
sordida. Per rappresentare quel mondo così ambivalente, lo scrittore non sceglie
un tono esclusivo, ma si avvale di più registri, per cui comico e tragico
possono convivere uno accanto all'altro e magari scambiarsi di posto nel corso
di un singolo racconto: è il caso, per esempio, di Una scenata napolitana e di
Il mortorio. E questi due testi indicano una direzione ben precisa della
scrittura di Rea, l'approfondimento, cioè, della dimensione corale del racconto,
perfettamente incarnata da Breve stona del contrabbando.
I luoghi ricorrenti della narrazione sono il cortile, la piazza, la via, e anche
laddove un interno fa la sua comparsa, esso si rovescia immediatamente verso un
"fuori", come documenta ancora una volta Una scenata napolitana, in cui
l'alterco coniugale non può consumarsi entro le anguste pareti domestiche.
Nel 1951 il libro ottenne il premio Viareggio. Nel 1958, dal racconto Cappuccia
Giorgio Ferrari ha tratto un dramma musicale dal titolo Cappuccia o della
libertà.
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