La raccolta, pensata e organizzata come un poemetto dalla struttura aperta e
circolare, è costruita su un complesso impianto narrativo articolato in
ventisette componimenti senza titolo e numerati progressivamente. I singoli
brani, interrelati fra loro e accomunati da medesime caratteristiche tecniche e
tematiche, sono "sezioni" di un complesso poema labirintico, cui allude il
titolo stesso dell'opera, ricavato dall'omonimo trattato latino di arte poetica
di Everardus Alemannus (sec. XIII). Documento del conflitto lacerante tra
coscienza e realtà, è tutto giocato sull'antinomia tra «complicazione», connessa
al caos esistenziale e sociale, e «ricomposizione», intesa come necessaria
istanza del pensiero («ordine come limitazione come negazione ordine come
semplificazione» ). La rappresentazione di questo dissidio interiore, di questa
«sicura malsicura / contraddizione», viene espressa nei termini di un intreccio
strutturale tra filologia e psicoanalisi, riconducibile ai rapporti tra
psicologia e alchimia indagati da Cari Gustav Jung. I simboli alchemici, che
ricorrono come tema dominante per tutto il testo, vengono restituiti dall'autore
nel circolo di una ricognizione della storia e della società attuali: «io voglio
conoscere / ho formulato molte ipotesi per vivere» (5).
La ricerca delle filosofali «pietre disperate» e la trasmutazione della materia,
la «tragedia teologica metamorfica», divengono così le formule alchemiche del
«dibattimento» ideologico, immagine della trasformazione della società e della
natura umana.
Il labirintico e contraddittorio «disordine» della società neocapitalistica
viene attraversato fin nei recessi più oscuri, come in una discesa agli Inferi:
«complicazione / come descendant in Infernum viventes» (6). In un delirio
onirico e visionario, di impostazione psicoanalitica, il poeta, come un
alchimista, spinge la sua ricerca regredendo verso le origini liquide del mondo,
in «materne acque mature».
Alla situazione d'esordio del poema, annunciata nel primo verso («composte terre
in strutturali complessioni sono Palus Putredinis», 1) e ripresa, in modo
circolare e conclusivo, nella lirica numero 26 («livida Palus / livida nascitur
bene strutturata Palus» ), si riferiscono le allusioni a una situazione di
«naufragio mentale», a una regressione verso il fondo oscuro della storia: «(palus)
oh revertimini / e discendo in origine nell'ombra mecum / Vallis mea / degli
archetipi» (24).
La palude, allegoria della «meravigliosa melma» primigenia diventa l'archetipo
della «lividissima mater», Ellie, che rappresenta il termine di riferimento
iniziale di questa discesa agli Inferi: «vulva essenze radicali / est porta
Inferni». L'immagine della donna rappresentato dal personaggio di Ellie, ricca
di impiicazioni cosmologiche e antropologiche, è simbolo dell'«unità mistica» e
del desiderio di abolire gli opposti: essa è il mondo (Ellie concetto di
concetto / mnemonico totius orbis thensaurus», 12), è il corpo nella sua
fantastica anatomia («Ellie tenue corpo di peccaminose escrescenze / che
possiamo roteare / e rivolgere e odorare e adorare nel tempo», 1) e l'amore («tu
sei l'amore nell'amore senza soluzione Ellie sei l'amore tutto l'amore», 6).
Di fronte a Ellie si colloca, in una situazione di ininterrotto e ossessivo
monologo, l'io lirico, moltiplicato e differenziato («io sono io sono una
moltitudine»). Espressione di questa travagliata scissione sono i due personaggi
di Laszo Varga, incarnazione del sole e figura dell'alchimista, e di Ruben, suo
«repertorio ontologico» e alchemico Filius Hermaphroditus.
Il tema della «coniunctio» erotico-mistica tra Hlie c Laszo, posta nei termini
di una «storia di un amore / dottrinale», cui partecipa Ruben come intermediario
intellettuale, offre la cornice della speculazione poetica e metodologica. Il
Laborintus è, infatti, il novum organum dell'alchimista-poeta, le cui «fatiche
chimiche» tendono a un «flessibile amalgama di due punti di coscienza» (10). Ma
il proposito di dare un'unità agli opposti è destinato a fallire: la morte
alchimistica di Ellie «dentro un cerchio di nulla» simboleggia la fine del
«sogno» utopistico di risolvere le contraddizioni storiche. Di fronte a questo
disperato nichilismo, l'unica soluzione sembra essere la rivolta anarchica:
«finalmente anarchia come complicazione radicale».
Il tema "laborintico" è soprattutto una riflessione sul lavoro del poeta («Laborintus
/ grani laborem / habens intus»): è un documento di riflessione metaletteraria,
un «dialogo tecnico» sulla poesia considerata come «linguaggio che partorisce».
Primo libro dell'autore ed espressione esemplare della neoavanguardia - apparso
in forte anticipo su quanto verrà poi teorizzato all'inizio degli anni Sessanta
dai componenti del Gruppo 63 -, Laborintus segna una netta svolta negli
orizzonti della lirica italiana. Nata sotto il segno di una riflessione teorica
e metodologica che ha legami con il marxismo critico e con la psicoanalisi, la
poesia di Sanguineti offre un esempio di scrittura "informale", progettata su
una tecnica di «automatismo Procurato» (Franco Fortini), che mira a riprodurre a
livello linguistico-sintattico i meccanismi dello stato psichico. Nel discorso
sanguinetiano, come in una «faustiana discesa all'inferno che ha tutto l'aspetto
di un supremo divertimento» (Alfredo Giuliani), rifluiscono una congerie di
materiali eterogenei e una mescolanza di registri stilistici, con effetti spesso
grotteschi e dissacranti. Ne consegue una tecnica sincronizzata di dialogo e
monologo, realizzata attraverso allitterazioni, echi di rime e giochi
linguistici, associazioni foniche, accumuli lessicali. Due aspetti sono di
assoluto rilievo: la scrittura (la lettera, il segno, il numero), come forma
significante, e l'inserzione di stralci in altre lingue (francese, inglese,
tedesco, greco, ma soprattutto latino), in funzione di straniamento. L'autore
sperimenta un innovativo verso di inusuale ampiezza, senza segni interpuntivi,
ma internamente franto in parentesi, esclamazioni, spezzature interne.
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