L'autore, nel Profilo autobiografico (1927), racconta di aver scritto "di getto"
il romanzo (del quale mancano i manoscritti e tutti i materiali preparatori), ma
in realtà il tempo di gestazione era stato considerevolmente lungo e si era
protratto per anni (avviato probabilmente nella primavera del ' 19, vi lavorò
fino al 1922), come si ricava dall'epistolario e da alcuni passi del suo diario.
Il romanzo, ambientato a Trieste, non segue lo svolgimento cronologico dei
fatti, ma è ripartito in otto capitoli - ciascuno con un titolo - che
raccontano, per nuclei tematici, la vicenda di Zeno Cosini, nella quale si
ritrovano non poche coincidenze con la biografia di Svevo.
Si apre con una brevissima «Prefazione» (capitolo primo), a firma del «dottor
S.», lo psicanalista che ha avuto in cura Zeno. La scrittura dell'autobiografia
è stata suggerita quale propedeutica alla cura e il dottore afferma di
pubblicarne il testo «per vendetta», dal momento che il paziente ha interrotto
le sedute, dichiarandosi tuttavia disposto a dividere i compensi con lui nel
caso voglia riprendere la terapia. La complessità del romanzo, i suoi molteplici
livelli, le contraddizioni e gli artifici che segnano la narrazione sono
annunciati già nella prima pagina, quando - per bocca del Dottor S. - Svevo
scrive: «Sembrava tanto curioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese
potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch'egli ha qui
accumulate!...» .
«Preambolo» (capitolo secondo). Zeno comincia a ripercorrere la propria
esistenza, cercando invano di riportare alla memoria l'infanzia, ed espone la
teoria (che troverà varie conferme nel corso del romanzo, fino alle enunciazioni
drammatiche delle ultime pagine) che la vita consiste in un progredire di dolore
e malattia. La memoria, ossia la consapevolezza di quel che i fatti abbiano
significato, è quindi il tema centrale dell'opera.
«Il fumo» (capitolo terzo). È uno dei più noti capitoli del romanzo. Zeno narra
di come abbia preso il vizio di fumare (rubando i sigari dal panciotto del
padre) e di come abbia ripetutamente tentato di smettere (ogni proposito di
«ultima sigaretta», siglato «u.s.», era invariabilmente smentito dal ritorno al
fumo). Decide infine di seguire la terapia del dottor Muli: accompagnato dalla
moglie, egli si reca nella sua clinica, dove resterà chiuso in un appartamento,
sorvegliato dall'infermiera Giovanna. Rimasto solo, Zeno cade preda di una
violenta agitazione nervosa: vuole tornare immediatamente a casa, non solo
perché averte il bisogno di fumare, ma anche perchè è colto dal sospetto che la
moglie possa intendersela con il dottore. Poiché non riesce a corrompere
l'infermiera, ricorre allo stratagemma di farla bere, eludendone così la
sorveglianza. Il risultato è che, la sera stessa del suo ricovero per
disintossicarsi, egli si trova in casa.
«La morte di mio padre» (capitolo quarto). Svolge il tema del difficile rapporto
di Zeno con il padre. Tra i due, però, ci sono evidenti affinità: il padre non
ha mostrato di avere rilevanti qualità in campo professionale (i suoi affari
sono diretti dall'Olivi, un fedele impiegato) e, pur avendo relazioni con altre
donne, in casa ha sempre mantenuto una condotta irreprensibile. In punto di
morte, costretto dal figlio a restare a letto, gli dà uno schiaffo. A partire da
quello schiaffo, sul quale Zeno molto a lungo si interrogherà, il protagonista
sarà portato a rivedere interamente e a chiarire il suo rapporto con la figura
paterna. In questo capitolo è particolarmente evidente la famlliarità
dell'autore con la teoria e la pratica della psicoanalisi (riscontrabile
peraltro in tutto l'impianto del romanzo), che tuttavia il narratore evita di
trattare in forma diretta.
«La storia del mio matrimonio» (capitolo quinto). Alla Borsa Zeno conosce
Giovanni Malfenti, suo futuro suocero, uomo piuttosto rozzo ma abilissimo negli
affari, che egli cerca invano di imitare. Malfenti ha quattro figlie (Ada,
Augusta, Alberta, Anna), e Zeno, già prima di conoscerle, decide che sposerà una
di loro: a suggestionarlo è la circostanza che i nomi di tutte e quattro le
ragazze abbiano la lettera iniziale tanto distante dalla sua («Quell'iniziale mi
colpì molto più di quanto meritasse. lo mi chiamo Zeno ed avevo perciò il
sentimento che stessi per prendere moglie lontano dal mio paese»). Esclude
subito Anna, che è una bambina, e Augusta; rimane colpito dalla freschezza di
Alberta, ma si innamora di Ada, la più bella, che però lo ignora. Come spesso
accade nel romanzo, costellato di atti mancati, Zeno è indotto dalle circostanze
a chiedere in moglie Augusta, la meno avvenente delle sorelle, affetta per di
più da strabismo. Durante una seduta spiritica, Zeno, pensando di avere vicino
Ada, giunge a dichiararle il suo amore. L'episodio della domanda di matrimonio è
uno dei momenti di più spiccato umorismo del romanzo. Deciso a sposarsi, Zeno in
uno stesso pomeriggio fa domanda di matrimonio ad Ada e ad Alberta, che
rifiutano, infine ad Augusta, che accetta di sposarlo pur sapendo che Zeno non
la ama e le preferisce le sorelle. Il protagonista si conferma incapace di
assumere le responsabilità di qualsiasi proponimento, limitandosi ad adeguarsi
alle diverse situazioni, anche quando vorrebbe tutto il contrario: «avevo
accettato di fidanzarmi con Augusta per essere sicuro di dormir bene quella
notte». Per una delle tante incongruenze, intenzionali e significative del
romanzo, quello sarà un matrimonio felice per entrambi: nasceranno due figli ed
egli amerà e rispetterà la moglie, pur tradendola ripetutamente con altre donne.
Il suo è dunque il classico matrimonio borghese, vissuto all'insegna della
normalità e dell'obbedienza alle regole. In questo periodo Zeno comincia ad
accusare i sintomi di un male immaginario, che gli si presenta con forti dolori.
Ossessionato dal pensiero della malattia e della morte che si figura incombente,
vede in Augusta l'immagine perfetta della salute e tale per lui resterà fino
alla fine.
«La moglie e l'amante» (capitolo sesto). Le giornate di Zeno trascorrono
tranquillamente e, poiché i suoi impegni d'ufficio sono del tutto irrilevanti
(gli affari sono gestiti con profitto dal vecchio impiegato del padre), vive «in
una simulazione di attività. Un'attività noiosissima». Conosce Carla, una povera
ragazza che studia musica e vive con la madre grazie al sostegno economico che
le passa un amico di Zeno, Enrico Copler, e avvia con lei una relazione amorosa
che durerà tre anni. Subentrato al Copler, mantiene la ragazza pur non avendo
alcuna fiducia nelle sue capacità artistiche, e mal tollera le ingenue richieste
di lei, sospettandole dettate da cinico interesse. Anche in quest'occasione
manca di risolutezza: più volte si propone di interrompere la tresca e ogni
volta si ritrova attratto dalla ragazza. La relazione viene invece troncata da
Carla, quando ritiene che la moglie di lui abbia scoperto tutto e ne soffra in
silenzio. Si tratta di un ulteriore equivoco, dal momento che la ragazza, in
realtà, ha visto non Augusta ma Ada, anche lei tradita dal marito Guido.
Nonostante Zeno faccia di tutto per riaverla, Carla si mantiene fermissima nel
suo proposito e sposerà il suo maestro di canto, allontanandosi definitivamente
dalla vita del protagonista.
«Storia di un'associazione commerciale» (capitolo settimo). Esaurita la fase del
risentimento verso Guido, al quale non riesce a perdonare di aver sposato Ada,
Zeno si unisce a lui in un'associazione commerciale, ancora una volta
apparentemente senza una ragione particolare e solo perché Guido glielo ha
richiesto. Entrambi impreparati a sostenere una simile impresa, mettono in piedi
un ufficio ma lo conducono senza alcun progetto né una seria direttiva. Anche
l'impiegata viene assunta da Guido solo per la sua avvenenza (e infatti
diventerà presto la sua amante). Il matrimonio di Ada e di Guido, avviato sotto
i migliori auspici, attraversa notevoli difficoltà. La bellissima Ada, oltre che
dalla gelosia verso il marito, viene tormentata da una malattia, il «morbo di
Basedow», che ne altera i tratti e la costringe a cure intensive e a lunghi
periodi di ricovero a Bologna. Dall'attività commerciale Guido e Zeno, per un
certo tempo, non ricavano alcun frutto. La situazione precipita quando Guido
comincia a giocare in Borsa, arrivando a perdere somme considerevoli: per la
ditta è il tracollo e, di fronte all'incombente bancarotta, Guido si toglie la
vita. Zeno - che fino a quel momento ha mantenuto nell'ufficio una funzione
ausiliaria e ha fatto intendere al lettore la propria inadeguatezza all'incarico
- prende in mano l'azienda e riesce in brevissimo tempo a sanare gran parte
dello scoperto finanziario. Ma, nell'attività febbrile di quelle ore, manca di
partecipare al funerale dell'amico, cosa che Ada gli rimprovererà, ritenendolo
anche responsabile di quella morte.
«Psico-analisi» (capitolo ottavo). Ii capitolo si presenta nella forma
diaristica, si apre con «L'ho finita con la psico-analisi», prosegue con un
ritratto negativo del dottore e si conclude con l'affermazione lapidaria: «Sono
intento a guarire dalla sua cura». Quindi racconta i giorni dell'entrata in
guerra dell'Italia: qui la drammaticità è filtrata dall'adozione di un punto di
vista particolare e del tutto umoristico. Nello scompiglio che segue la
dichiarazione di guerra, Zeno, che si trova nella zona di Lucinico, nel Carso,
si vede sbarrato il passo da un plotone di soldati in pieno assetto di guerra.
Il suo disappunto è concentrato sul fatto che non può raggiungere la sua villa
in tempo per il caffè.
Nelle ultime pagine, datate «marzo 1916», Zeno, ormai vecchio, ha la visione di
come l'uomo - abbandonato lo stato di natura e sfuggito alle sue leggi di
selezione -, dopo aver stravolto l'assetto del pianeta e averlo
irrimediabilmente inquinato, stia andando incontro a una catastrofe senza
precedenti: «A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale.
Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Ci sarà un'esplosione enorme che
nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva
di parassiti e di malattie».
Quando uscì, La coscienza di Zeno non ebbe accoglienza diversa dai precedenti
romanzi di Svevo, Una vita e Senilità, che erano passati praticamente
inosservati. Fu scoperto da James Joyce e Bobi Bazlen e definitivamente imposto
all'attenzione della critica da Eugenio Montale, Valery Larbaud e Beniamin
Crémieux; da allora è diventato un classico del Novecento. «L'eroe di Svevo è
generato dalla sensazione fondamentale di uno scompenso tra l'orientamento che
l'individuo dà alla propria vita, e la curva che poi la vita descrive: incarna
questo difetto, questo errore di calcolo» (Giacomo Debenedetti).
Zeno/Svevo gioca a depistare il lettore, a disorientarlo, a sorprenderlo,
giacché egli - perennemente distratto e, in apparenza, sempre scarsamente
partecipe degli eventi di cui pure è protagonista - sembra non avere coscienza
della realtà, vivendo in una sorta di spazio distinto, che coincide in sostanza
con lo spazio della scrittura.
La riduzione teatrale del romanzo, curata da Tullio Kezich, fu rappresentata per
la prima volta dalla Compagnia del Teatro Stabile della Città di Genova d 16
ottobre 1964, al Teatro La Fenice di Venezia, con la regia di Luigi Squarzina,
scene di Gianfranco Padovan, musiche di Sergio Liberovici; protagonista Alberto
Lionello.
Due sono stati gli sceneggiati televisivi trasmessi dalla Rai. Il primo, nel
1966, con la regia di Daniele D'Anza (che ne allestì la sceneggiatura in
collaborazione con Tullio Kezich); protagonista Alberto Lionello, con Ferruccio
De Ceresa, Laura Rizzoli, Simona Cauccia, Paola Mannoni. Il secondo, del 1988,
con la regia di Sandro Bolchi, sceneggiatura di Tullio Kezich e Dante
Guardamagna; protagonista Johnny Dorelli, con Ottavia Piccolo, Eleonora
Brigliadori, Mario Maranzana, Sergio Fantoni, Andrea Giordana.
|