Ho comprato questo
libro un sabato di giugno 2000 in compagnia di Francesco nella solita bottega
bolognese dove ogni tanto faccio capolino per vedere se ci sono novità.
La proprietaria
del negozio, gentilissima come sempre, mi accoglie con un attimo di turbamento,
forse memore dell’ultima mia razzia, quando tra le altre cose le “sottrassi”
una magnifica edizione del Corpus Iuris Justinianaei che lei aveva promesso ad
un suo amico avvocato. Mi accomodo e, come sempre, inizio a rovistare sui
ripiani spostando libri, stampe, leggendo dorsi e frontespizi.
Sulla scrivania
c’erano i nuovi arrivi.
Francesco, non
trovando nessun testo di storia bitontina (ne ha cercati anche a Lisbona!), né
di qualche suo antenato autore di testi di pedagogia o traduttore di Platone,
si intratteneva con un’edizione settecentesca un po’ pettegola che narrava la
vita delle Imperatrici Romani.
Scorgo tre volumi
in cartone bluastro, con dorso in pelle e in buono stato di conservazione;
solita operazione, esame del frontespizio, luogo e data di edizione, autore,
dedica.
Apparve subito che
si trattava di un testo di disciplina giuridica in tre tomi ben rilegati, una
delle tante edizioni pubblicate nel XIX secolo per diffondere e commentare
leggi di nuova o vecchia emanazione e relativa giurisprudenza.
Di questo testo mi
fu però impossibile (e probabilmente dovrò decidermi ad una seria ricerca),
risalire alla data della legge alla quale facesse riferimento.
Conosco qualcosa del periodo della Rivoluzione Francese e ricordo che
in preda al grande sogno di rinnovamento universale del mondo e della storia,
quei grandi pensatori illuministi che commisero sì drammatiche atrocità, ma che
cambiarono per sempre la coscienza del mondo occidentale, vollero dare un segno
epocale del rinnovamento che stavano costruendo.
Fecero qualcosa che in passato avevano fatto solo i popoli nel
momento in cui prendevano coscienza della natura storica della propria nazione:
crearono un nuovo calendario e un nuovo inizio del conteggio degli anni.
Ricordo che si ispirarono agli eventi naturali per rinominare i mesi dell’anno,
per cui deduco che il Fiorile del mio libro probabilmente sarà un aprile o un
maggio di un anno che dovrebbe collocarsi alla fine del XVIII secolo.
Tutto questo mi balenò nella mente appena lessi quella data, tutto
questo cambiò la natura stessa del libro che stavo sfogliando, facendolo
sentire già mio senza neanche aver chiesto il prezzo.
Quei tre tomi non erano più solo una delle prime edizioni del Codice
Napoleonico in Italia, non erano più solo un antico testo di un Diritto che
ebbe diffusione rapida in tutt’Europa insieme agli eserciti del grande Corso,
quei tomi erano l’antica vestigiadi
un’era che esistette solo per pochi lustri.
Il libro rappresentava il frutto di un sogno, o meglio, il frutto di
quanto gli Italiani costituitisi in Regno dopo le Repubbliche Cispadana e
Cisalpina, seppero mutuare dal sogno di Liberté, Egalité e Fraternité dei
Francesi.
Di lì a pochi anni quel sogno fu infranto, Napoleone spirò il mortal
sospiro in Sant’Elena, i Borboni riebbero il trono perduto e, anche la storia
dei mesi e degli anni rifece il suo corso. Sparirono i Fiorile e i Nevaio, la
Rivoluzione cessò di essere l’origine di una nuova epoca per le vicende degli
uomini e fu collocata nell’anno 1789 dell’era cristiana.
Tutte le edizioni del Codice Civile Napoleonico che si susseguirono
portarono (se lo portarono) il riferimento ad una legge rivoluzionaria emanata
in una data convertita nel tempo gregoriano dei santi e delle novene.