PENSIERI
SULLA MORTE
Più interessante, perché più vivo, più vero,
rivelatore della personalità, è il ciclico esplodere, nell’opera, di
un'angoscia personale che non é certo dimostrazione di rigore stoico. Ricorre
spesso nella mente di Marco Aurelio, il pensiero della morte. Ma questi
pensieri, anche se qualche volta apparentemente staccati, sereni, hanno venature
di paura, presentano le caratteristiche tipiche di una patologica insicurezza
che potrebbe aver radice nella morte prematura del padre e nella conseguente
infanzia ricca, ma trascorsa con una madre severissima e con precettori che già
a dodici anni lo costringono allo studio della filosofia violando i tempi di
maturazione della sua identità. Il dubbio lo tormenta, lo attanaglia
l"'horror vacui" dell'ignoto "dopo". E gioca sul filo
dell'illusione, travolto dall'emotività che l'insegnamento di Apollonio non ha
sradicato:
II. 11
"Lasciare il mondo degli uomini, se gli dei
esistono, non è affatto motivo di terrore: certo non ti getterebbero nella
sventura. Ma se gli dei non esistono, o non si occupano delle umane cose, perché
vivere, in un mondo deserto di dei o vuoto di Provvidenza? Ma invece esistono, e
si occupano delle umane cose, e perché l'uomo non cada in quelli che sono i
veri mali, su di lui tutto hanno concentrato".
L'iter di questo pensiero é
sicurezza-dubbio-sicurezza. Nell'annotazione seguente il dubbio prevale,
dissimulato appena da un velo di sarcasmo:
III. 3
"Dopo aver curato tanti mali Ippocrate cadde
malato a sua volta e morì. Alessandro, Pompeo, Gaio Cesare, che pure tante
volte rasero al suolo intere città e fecero a pezzi in battaglia schiere intere
di decine di migliaia di fanti e cavalieri, infine anch'essi lasciarono la vita.
Dopo tanti studi finali sulla conflagrazione del mondo Eraclito, il corpo gonfio
per l'idropisia e la pelle spalmata di sterco, morì. Democrito morì a causa
dei pidocchi...Ebbene, ti sei imbarcato, il viaggio é finito, sei giunto
all'approdo: sbarca. Se ciò significherà entrare in una nuova vita, lì non
troverai più nulla che sia vuoto di dei. Se ciò significherà non sentire
nulla, cesserai di provare pene e piaceri".
Marco Aurelio tratta il problema della morte sia dal punto di vista etico, analizzando in che modo l’uomo debba affrontare il momento dell’addio alla vita, sia dal punto di vista filosofico.
VI. 28
“La morte impone tregua al dissidio dei sensi, agli
strattoni dell’istinto, agli eroi della mente, alla servitù della carne”.
Anche
Marco Aurelio come Seneca sostiene la tesi della morte come “finis” e
annullamento della coscienza e del corpo dell’uomo
“Sei
stato imbarcato, hai fatto il viaggio, hai raggiunto la spiaggia: esci.
Sei esistito come una parte. Tu scomparirai in quello che hai prodotto; o piuttosto lo riceverai indietro nei suoi principi generativi per mezzo di una trasmutazione.
Attraversa
quindi questo breve periodo di tempo in modo conforme alla natura e finisci
felice il tuo viaggio, proprio come un'oliva che cade quando è matura,
benedicendo la natura che l'ha prodotta e ringraziando l'albero sul quale è
cresciuta.
Ogni
parte di cui siamo costituiti si trasformerà in una qualche parte dell'universo
e quindi di nuovo in qualche altra parte ancora e così via per sempre. Come
conseguenza di tali cambiamenti io stesso esisto, e quelli che sono generati, e
così via per sempre in un'altra direzione. .”
In
punto di morte l’uomo non deve temere il momento del trapasso, ma deve essere
felice, ringraziando la divinità che gli ha donato la vita. In questo pensiero
Marco Aurelio prende in esame la teoria secondo cui la morte non porta ad una
totale nullificazione, ma ad una trasformazione e all’identificazione di
ciascuna parte del corpo con uno degli infiniti elementi dell’universo.
Ottimamente; nella vita però i tre atti sono il
dramma intero, perché colui che stabilisce la fine è quel medesimo che, una
volta, è stato già l’ autore dell’ intreccio ed ora lo è dello
scioglimento. Tu invece non sei autore né dell’ una né dell’ altra cosa.
Vattene quindi tranquillo, com’è tranquillo colui che t’ accomiata”.
Il paragone della vita con un dramma non è nuovo, ma
in Marco Aurelio aderisce pienamente alla sua concezione della vita come serie
di azioni ripetute, quasi illusorie. La morte è vista come l’ultimo confine
della vita umana. Essa è una liberazione dai patimenti della vita ed è un
momento da vivere con serenità e tranquillità.
“Oh quale è l’ anima pronta, se necessario, a sciogliersi subitamente dal corpo, ossia a estinguersi, o a dissolversi, o a sopravvivere! Ma questa attitudine derivi dal tuo proprio giudizio, non sia l’ effetto di una mera opposizione, come quella dei cristiani; sia meditata e dignitosa e convincente per gli altri, non teatrale”.