MARCO AURELIO: MEDITAZIONI SULLA MORTE  

 

  L’opera di Marco Aurelio, imperatore romano dal 161 d.C. al 180 d.C., è un diario costituito da sentenze, aforismi, pensieri, scritti giorno per giorno, in ogni situazione, inclusa la guerra. Spesso appaiono essere risposte alle tensioni dovute all'esercizio del potere supremo, alla paura della morte in battaglia, alle sfide della vita quotidiana. L’ opera A se stesso, il cui titolo è reso in vari modi, consta di dodici libri ed è una sorta di breviario spirituale, frutto di meditazioni interiori sorrette dalla dottrina stoica. La prosa del diario, un’ opera quasi unica nella letteratura antica, resa più affascinante dal fatto che ne fu autore l’ uomo più potente del mondo, è disadorna e scarna, lontana da quella retorica che Frontone non riuscì a fare amare al suo allievo. 

 

PENSIERI SULLA MORTE

Più interessante, perché più vivo, più vero, rivelatore della personalità, è il ciclico esplodere, nell’opera, di un'angoscia personale che non é certo dimostrazione di rigore stoico. Ricorre spesso nella mente di Marco Aurelio, il pensiero della morte. Ma questi pensieri, anche se qualche volta apparentemente staccati, sereni, hanno venature di paura, presentano le caratteristiche tipiche di una patologica insicurezza che potrebbe aver radice nella morte prematura del padre e nella conseguente infanzia ricca, ma trascorsa con una madre severissima e con precettori che già a dodici anni lo costringono allo studio della filosofia violando i tempi di maturazione della sua identità. Il dubbio lo tormenta, lo attanaglia l"'horror vacui" dell'ignoto "dopo". E gioca sul filo dell'illusione, travolto dall'emotività che l'insegnamento di Apollonio non ha sradicato:

 

                   II. 11

"Lasciare il mondo degli uomini, se gli dei esistono, non è affatto motivo di terrore: certo non ti getterebbero nella sventura. Ma se gli dei non esistono, o non si occupano delle umane cose, perché vivere, in un mondo deserto di dei o vuoto di Provvidenza? Ma invece esistono, e si occupano delle umane cose, e perché l'uomo non cada in quelli che sono i veri mali, su di lui tutto hanno concentrato".

 

L'iter di questo pensiero é sicurezza-dubbio-sicurezza. Nell'annotazione seguente il dubbio prevale, dissimulato appena da un velo di sarcasmo:

                

                   III. 3

"Dopo aver curato tanti mali Ippocrate cadde malato a sua volta e morì. Alessandro, Pompeo, Gaio Cesare, che pure tante volte rasero al suolo intere città e fecero a pezzi in battaglia schiere intere di decine di migliaia di fanti e cavalieri, infine anch'essi lasciarono la vita. Dopo tanti studi finali sulla conflagrazione del mondo Eraclito, il corpo gonfio per l'idropisia e la pelle spalmata di sterco, morì. Democrito morì a causa dei pidocchi...Ebbene, ti sei imbarcato, il viaggio é finito, sei giunto all'approdo: sbarca. Se ciò significherà entrare in una nuova vita, lì non troverai più nulla che sia vuoto di dei. Se ciò significherà non sentire nulla, cesserai di provare pene e piaceri".  

 

Marco Aurelio tratta il problema della morte sia dal punto di vista etico, analizzando in che modo l’uomo debba affrontare il momento dell’addio alla vita, sia dal punto di vista filosofico.

 

La morte come completa dissoluzione

                   VI. 28

“La morte impone tregua al dissidio dei sensi, agli strattoni dell’istinto, agli eroi della mente, alla servitù della carne”.

 

Anche Marco Aurelio come Seneca sostiene la tesi della morte come “finis” e annullamento della coscienza e del corpo dell’uomo

 

La morte come trasformazione

“Sei stato imbarcato, hai fatto il viaggio, hai raggiunto la spiaggia: esci.

Sei esistito come una parte. Tu scomparirai in quello che hai prodotto; o    piuttosto lo riceverai indietro nei suoi principi generativi per mezzo di una trasmutazione.

Attraversa quindi questo breve periodo di tempo in modo conforme alla natura e finisci felice il tuo viaggio, proprio come un'oliva che cade quando è matura, benedicendo la natura che l'ha prodotta e ringraziando l'albero sul quale è cresciuta. 

Ogni parte di cui siamo costituiti si trasformerà in una qualche parte dell'universo e quindi di nuovo in qualche altra parte ancora e così via per sempre. Come conseguenza di tali cambiamenti io stesso esisto, e quelli che sono generati, e così via per sempre in un'altra direzione. .”

 

In punto di morte l’uomo non deve temere il momento del trapasso, ma deve essere felice, ringraziando la divinità che gli ha donato la vita. In questo pensiero Marco Aurelio prende in esame la teoria secondo cui la morte non porta ad una totale nullificazione, ma ad una trasformazione e all’identificazione di ciascuna parte del corpo con uno degli infiniti elementi dell’universo.

  La vita è come un dramma

  “O uomo, tu sei stato cittadino in questa grande città; che cosa importa se per cinque o tre anni? Ciò che avviene secondo le leggi, è giusto per tutti. Che cosa v’è dunque di terribile, se dalla città non ti scaccia un tiranno, un giudice ingiusto, ma la natura che, prima , ti ha introdotto? Come un attore comico congedato dal pretore che l’ aveva assunto in scena: “Ma io non ho recitato i cinque atti del dramma, bensì tre.

Ottimamente; nella vita però i tre atti sono il dramma intero, perché colui che stabilisce la fine è quel medesimo che, una volta, è stato già l’ autore dell’ intreccio ed ora lo è dello scioglimento. Tu invece non sei autore né dell’ una né dell’ altra cosa. Vattene quindi tranquillo, com’è tranquillo colui che t’ accomiata”.

 

Il paragone della vita con un dramma non è nuovo, ma in Marco Aurelio aderisce pienamente alla sua concezione della vita come serie di azioni ripetute, quasi illusorie. La morte è vista come l’ultimo confine della vita umana. Essa è una liberazione dai patimenti della vita ed è un momento da vivere con serenità e tranquillità.

                     XI. 3

 “Oh quale è l’ anima pronta, se necessario, a sciogliersi subitamente dal corpo, ossia a estinguersi, o a dissolversi, o a sopravvivere! Ma questa attitudine derivi dal tuo proprio giudizio, non sia l’ effetto di una mera opposizione, come quella dei cristiani; sia meditata e dignitosa e convincente per gli altri, non teatrale”.