Johann Fichte

L'IDEALISMO DI FICHTE

Fichte: un interprete dello «spirito romantico»

Nata filosoficamente nello spirito del kantismo, con l'affermazione della necessità di tener separato l'ambito della fede da quello della scienza, la filosofia di Fichte si conclude poi con l'elaborazione di una «filosofia religiosa». Come sia stato possibile pervenire ad un tale approdo, è cosa perfettamente spiegabile; ma ciò che risulta difficile accettare è l'aspirazione di Fichte a presentare la sua vicenda di pensiero come unitaria e coerente, non solo sul piano formale ma anche su quello sostanziale. Nato a Rammenau il 19 maggio 1762, Johann Gottlieb Fichte manifestò presto il suo ingegno; tanto che il barone di Miltitz, conosciute le precarie condizioni della sua famiglia, s'assunse l'onere di mantenerlo agli studi. Spinto da una tenace volontà - docile strumento di un temperamento orgoglioso e rigoroso, anche con se stesso - si avvicinò con intelligenza, negli studi pre-universitari, sia alla cultura classica che a quella moderna.

Compiuto poi, a 22 anni, il corso di studi teologici presso l'Università di Lipsia, visse un periodo di turbamento per l'indecisione sul tipo di sistemazione futura: infatti la carriera per diventare pastore religioso, a cui i suoi studi (e le sollecitazioni della madre e della vedova del suo protettore) lo indirizzavano, mal si sarebbe conciliata con i suoi interessi attuali, prevalentemente filosofici e politici.

Accettò tuttavia l'incarico di precettore presso una famiglia di Zurigo; tale sistemazione provvisoria gli consentí, oltre che di attuare una utile sperimentazione didattica e qualche tentativo di riflessione sul problema pedagogico, di leggere Montesquieu e Rousseau, di tradurre Orazio e Sallustio, di progettare alcuni saggi e una tragedia, e, cosa importante, di introdursi nell'ambiente culturale zurighese. Dopo due anni ritornò in Germania, dove visse giorni di miseria e di delusione, perché nessuna delle prospettive di attività culturale ch'egli vagheggiava si rivelò dotata di possibilità di realizzazione. Ciò nonostante questo periodo fu per lui importante. Redasse infatti gli Aforismi sulla religione e sul deismo, in cui esponeva i risultati della sua riflessione sul problema dei rapporti tra religione e filosofia; problema che lo aveva indotto a scoprire il fascino della filosofia kantiana, che, a suo avviso, era l'unica che non solo teorizzava la distinzione dei due campi, ma, restando fedele alla sua propria natura di «filosofia», riusciva a venire incontro ai bisogni dell'interiorità religiosa, sicché nella stessa persona l'uomo filosofo poteva armoniosamente convivere con l'uomo religioso.

In quel tempo confessa: «mi sono completamente dedicato alla filosofia kantiana...; il rivolgimento ch'essa ha operato in me è enorme...; da quando ho letto la Critica della Ragion Pratica vivo in un mondo nuovo...», e dichiara: «dedicherò a questa filosofia alcuni anni della mia vita, e certamente per molti anni tutto ciò che da oggi scriverò verterà su di essa».

L'entusiasmo è sincero. Dopo un viaggio a Varsavia, infatti, decide di incontrare personalmente Kant che, dopo aver letto il manoscritto Critica d'ogni rivelazione (che Fichte aveva redatto per la circostanza e aveva inviato al suo «maestro», dopo un primo approccio) gli procura, oltre che l'editore per la sua operetta, anche un posto di precettore nella Prussia Orientale.

S'inizia cosí un periodo tranquillo e fecondo, quello tra il 1791 e il 1794, il cui esordio è segnato dalla composizione dell'opera Rivendicazione della libertà di pensiero (pubblicata - anonimamente - in polemica col regime prussiano che, in forza di editti che limitavano la libertà di stampa e istituivano la censura, aveva opposto impedimenti alla pubblicazione della sua Critica e anche di alcuni scritti dello stesso Kant sul tema della religione) e dei Contributi per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese.

Il nucleo filosofico che accomuna le due opere è il seguente: dovere dei principi è la difesa dei diritti, compreso quello della libertà di pensiero che è la sola condizione per la libera ricerca della verità; se lo stato non garantisce la libertà, vien meno ai suoi scopi, e il suddito ha il diritto di rescindere il vecchio contratto sociale e di stipularne un altro.

Nonostante le difficoltà, la sua Critica d'ogni rivelazione riesce a venire alla luce; ma per errore dell'editore vien pubblicata anonima; ciò indusse il mondo dei dotti a credere che essa fosse l'opera che già da tempo Kant aveva promesso (opera che invece solo piú tardi sarà pubblicata, col titolo La religione nei limiti della pura ragione) e sollevò pubbliche lodi, anche da parte di Reinhold. Quando Kant in persona ne rivela l'autentica paternità, Fichte diviene celeberrimo e vien chiamato ad insegnare all'Università di Jena.

Tra il 1794 e il 1799 elabora i temi di fondo del suo sistema; tale elaborazione prende avvio con il «distacco» da Kant, reso di pubblico dominio con una recensione attenta all'antikantiano Enesidemo di Schulze. Segue poi la Fondazione dell'intera dottrina della scienza, scritta nel 1794, che ebbe, oltre che notevole successo, anche l'ammirazione esplicita di F. Schlegel, di Novalis e di Hölderlin, il che testimonia quanto il sistema fichtiano fosse «consono» allo «spirito romantico».

Nel periodo dell'insegnamento a Jena, Fichte entusiasmò gli animi al punto che anche Schiller e Goethe vollero farne la conoscenza, e Schelling, allora giovanissimo, dichiarò la sua adesione alla nuova filosofia. Ma Fichte non riservò la sua dottrina ai soli «addetti ai lavori»; infatti organizzò per il pubblico non specializzato un corso di lezioni di cui alcune furono poi pubblicate col titolo Alcune lezioni sulla missione del dotto.

L'Io puro

L'Io puro di Fichte ha una valenza ben diversa rispetto a quella che per Kant aveva l'Io penso. L'Io penso è un principio trascendentale, che dunque vale solo nell'ambito gnoseologico (non ontologico); è il fondamento, la condizione di conoscibilità (non d'esistenza) dell'oggetto in quanto fenomeno (non in quanto noumeno), è garanzia della legittimità dell'attività unificatrice dell'intelletto, in quanto è autocoscienza del soggetto, cioè coscienza che ha il soggetto ha di sé in quanto soggetto di una conoscenza; viene dedotto mediante una deduzione trascendentale. Dopo che i postkantiani come Reinhold hanno abolito il concetto di cosa in sé risolvendo tutto nell' Io, si giunge all'Io fichtiano. L'Io di Fichte è un principio metafisico, assoluto, che vale nell'ambito dell'esistenza; è il fondamento dell'esistenza dell'oggetto ma anche del soggetto: infatti, essendo autocoscienza dell'Io fonda sia il soggetto che l'oggetto, e i due vengono risolti in esso. L'Io è autocoscienza dell'Io, cioè coscienza che l'Io ha di sé in quanto attività autocreatrice; ha intuizioni intellettuali, cioè conosce le cose in sé, poiché le crea; viene dedotto mediante una deduzione assoluta, poiché viene messo a capo non della conoscenza ma della realtà, perché in esso soggetto e oggetto si risolvono. Avendo in sé tutta la realtà, è infinito; essendo attività autocreatrice, è libertà.

Dottrina della scienza

Fine della Dottrina: Fichte con la dottrina della scienza vuol costruire la scienza della scienza, cioè il sapere dei fondamenti del sapere stesso.

Fondamento della Dottrina: tale fondamento è l'Io, l'Autocoscienza. Infatti, se qualcosa esiste, esiste per una coscienza, ed essa esiste in quanto autocoscienza; l'autocoscienza è la condizione di esistenza della coscienza, e questa dell'essere.

Primo principio del sapere: «L'Io pone sé stesso». Il primo principio del sapere non è quello d'identità, A=A, dove A è dato; se esiste un Io (coscienza) che pone A, e se A=A solo se Io=Io, prima di porre A e di confrontarsi con sé stesso, l'Io dovrà porre sé stesso (autocoscienza). Questa è un'intuizione intellettuale, in quanto l'Io pone sia soggetto che oggetto, perciò li conosce in sé. La conoscenza è posizione. L'Io ha la propria essenza non nell'essere, ma nell'agire: nel porre e nell'essere posto, dunque, nella attività autocreatrice.

Secondo principio del sapere: «L'Io pone il non-io». In questo modo Fichte dall'Io fa scaturire l'oggetto, la natura. L'Io ponendosi, pone anche tutto quanto è diverso da sé, che però esiste in funzione dell'Io.

Terzo principio del sapere: «L'Io oppone nell'Io ad un io limitato un non-io limitato, e ad un non-io limitato un io limitato».Così Fichte fa scaturire il mondo fatto di io limitati (soggetti) e di non-io limitato; con la prima parte dell'enunciato inoltre, fonda la conoscenza (non-io su io), con la seconda la morale (io su non-io). L'Io pertanto è infinito in quanto il non-io è interno all'Io, finito in quanto è limitato dal non-io; in effetti, non si dà nella storia l'Io infinito, poiché nel momento stesso in cui si pone genera il non-io che lo limita e lo trasforma in io limitato, mentre l'Io infinito è un ideale meta di un io finito. Se complessivamente l'Io è l'insieme degli io finiti, per un io finito singolo rappresenta una missione. Lo sforzo per raggiungere lo stato di Io puro da limiti è infinito, perché qualora tale Io si realizzasse, non essendoci più ostacoli, non avremo che la morte.

Idealismo e dogmatismo: se la filosofia è la scienza del fondamento, nella opposizione fra soggetto e oggetto si può prendere a fondamento il soggetto o l'oggetto. Prendendo a fondamento l'oggetto, si ha il dogmatismo, che in gnoseologia porta al realismo, in metafisica al materialismo e infine al determinismo, mentre prendendo a fondamento il soggetto si ha l'idealismo. filosofia della libertà. Sceglie il dogmatismo chi non ha sentimento della libertà assoluta dell' Io, mentre l'idealista ce l'ha.

Dottrina della conoscenza: l'attività dell'Io infinito è l'autoposizione, mentre quella di un io limitato è la conoscenza (azione del non-io sull'io) e l'azione morale (azione dell'io sul non-io). La conoscenza deriva dall'azione del non-io sull'io (realismo), ma il non-io dipende dall'Io (idealismo). L'io limitato sente l'oggetto come altro da sé per il fatto che l'autoposizione è inconscia, poiché la coscienza si ha solo quando esiste un oggetto contrapposto al soggetto, mentre la conoscenza è conscia appunto per il medesimo motivo. L'Io con l'immaginazione produttiva crea il non-io ( in Kant si aveva solo la creazione delle condizioni formali, mentre l'Io di Fichte crea anche il materiale della conoscenza).

Dottrina morale

Fondamento della morale: L'Io pone il non-io, e poi lo conosce sotto forma di io conoscente limitato, per il solo scopo di agire. L'io pratico è la ragion d'essere dell'io teoretico: l'io conosce il non-io solo per agire. Agire significa imporre al non-io le leggi dell'Io, plasmare il mondo secondo libertà e razionalità. L'azione è morale quando ha il carattere del dovere. Dunque, per realizzarsi, l'Io ha bisogno del non-io per agire moralmente, e il non-io diventa condizione della moralità dell'Io; una volta posto il non-io, l'azione morale è il superarlo, l'eliminarlo. L'Io attua questo processo all'infinito, e in questo modo tende a diventare infinito e a realizzare la sua infinità libertà.

La missione sociale dell'uomo: oltre a me, esistono altri io finiti intelligenti, da cui ricevo la sollecitazione al dovere; essendo come me, devo limitare la mia libertà per permettere mettere la loro, e avere come fine la libertà dell'intera società. Da solo non posso vivere, perché altrimenti non realizzerei il fine di diventare Io infinito, ch'è l'insieme degli Io finiti; e dovendo vivere con gli altri, devo realizzare la completa libertà. Il dotto, che è chi ha maggior consapevolezza del fine dell'umanità, deve essere educatore del genere umano, e aiutarlo al perfezionamento morale.

Filosofia politica

Rivoluzione: Fichte, molto colpito dalle vicende della Rivoluzione francese, arriva a fondarla teoreticamente. Lo Stato è un contratto sociale che ha lo scopo della educazione alla libertà; se tale compito non viene adempiuto, si ha il diritto di rompere il contratto sociale e costituirne un altro.

Stato: secondo Fichte, lo Stato deve porsi il fine (anche se esso è realizzabile solo all'infinito) di creare la società perfetta, fatta da esseri liberi e ragionevoli, e quindi, deve progressivamente ritirarsi, fino al completo annientamento. Inoltre, se il diritto è fondato sulla osservanza delle leggi anche senza buona volontà (diversamente dalla morale, dove la buona volontà è la condizione), lo Stato dev'essere garante del diritto; i diritti fondamentali degli uomini sono la libertà, la proprietà e la conservazione.

Statalismo socialistico ed autarchico: per Fichte, la società è divisa in produttori di ricchezza, in trasformatori della ricchezza e in distributori della ricchezza. Lo Stato deve controllare la produzione e la giusta redistribuzione nella società. Questo è possibile isolando economicamente lo Stato, chiudendolo in un sistema chiuso, e questo sarebbe vantaggioso anche perché l'impedimento di conoscenza fra diversi cittadini e del conflitto di interessi (in genere economici), evita guerre; ma l'isolamento è possibile solo con l'autarchia.

Discorsi alla nazione tedesca

La società ha bisogno di una nuova educazione, rivolta alla maggioranza della nazione; solo i tedeschi possono essere i promotori di questa nuova educazione; poiché hanno una lingua pura, i tedeschi sono un popolo puro, gli unici dunque a costituire una nazione vera e propria, un'unità organica, aldilà delle barriere politiche. La nazione tedesca è quella eletta a realizzare l'umanità fra gli uomini.

 


Opposizione tra idealismo e dogmatismo

Primato della ragion pratica

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