questa
è la pagina dei motodelirii filosofici |
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ovvero: come passa il tempo il passeggero mentre il pilota guida? |
Quanto segue
non è che qualche estratto dalle molte lettere che scambiavamo
(allora ancora in forma cartacea: nessuno di noi aveva un'e-mail)
con gli amici di Trieste durante gli anni che abbiamo trascorso a
Genova. Inutile dire che il tema di tutta questa miriade di
lettere era quasi sempre la moto: tonnellate di programmi di
viaggio mai attuati o a volte inattuabili, resoconti dalla
maniacale precisione delle gite domenicali sulle deliziose
stradine liguri, elucubrazioni senza fine su che moto
scegliere...
Tra le molte cose specialistiche, discusse per lo più tra
"piloti", facevano di tanto in tanto capolino delle
brevi esternazioni riguardo tutto ciò che, di serio e di faceto,
può passare nella testa di un passeggero che se ne sta lì
abbarbicato sul sellino posteriore in balia degli eventi.
Avvertenza al lettore: gli originali contenevano citazioni e doppi sensi dialettali più o meno intraducibili; la versione italiana ne ha mantenuti alcuni laddove indispensabile.
Corso di formazione via etere: IL SENSO DELLA VITA ovvero DIVENTA ANCHE TU MOTARD IN 101 FACILI MOSSE
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indice primo simposio: ASSIOMA DELLA PAUSA PRANZO secondo simposio: APPUNTI PER UNA FILOSOFIA EDONISTICA ATTORNO AI 100 ALL'ORA terzo simposio: HAVE YOU EVER SEEN THE RAIN?
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"Assioma della pausa-pranzo" Sia detto per inciso, a mo' di commento alle lezioni passate, presenti e future, che i principî che regolano la vita del motard (in apparenza così libera e spensierata) non sono mai teoremi, sono assiomi: pochi ma indiscutibili. Prendere o lasciare. L'assioma della pausa-pranzo è una delle tante croci-e-delizie (concetti inscindibili) di quella razza di motards che si potrebbe definire "i purosangue" o "lo zoccolo duro": quelli per cui non è mai troppo tardi né troppo presto per mettere in moto e non piove mai troppo, quelli per cui non c'è strada chiusa, sterrata, innevata, dissestata, abbandonata, devastata che tenga. Tali esemplari hanno un comportamento ambivalente nei confronti delle comodità, delle camere d'albergo in alternativa alla tenda in cui piove come se fosse una rete da pesca e anche nei confronti del necessario sostentamento (ricordiamo a questo proposito che sacco vuoto non sta in piedi). Essi non disdegnano le bettole migliori, non rifiutano un buon piatto di polenta e frico o di trofie al pesto né l'annesso bicchiere/i di buon vino rosso, bianco, rosato e via dicendo, ma si sentono più "veri" con un grezzo panino di salame mangiato in piedi nel posto meno comodo e meno panoramico di tutte le strade del circondario. L'assioma della pausa-pranzo dice che:
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"Appunti per una filosofia edonistica attorno ai 100 all'ora" Il primo intervento del nostro simposio ci porta al centro di un punto essenziale della problematica in discussione: la gratuità del piacere. Da contributi di grande levatura sappiamo infatti che il piacere puro è solo quello non collegato a bisogni primari (vd. Aristotele "Etica Nicomachea" libro X). E quale figura più inessenziale, più superflua, nella pratica motociclistica, di quella del passeggero? Il passeggero è un'entità di natura complessa, che per semplicità si può definire secondo l'appartenenza a tre fondamentali categorie (riportiamo tra parentesi il nome scientifico in uso nell'ambiente motofilosofico):
Esaminiamoli ora uno ad uno: La prima categoria, quella dei passeggeri nervosi, non è rilevante nella nostra dissertazione: il passeggero "va pian" è esente da piacere. Egli è una mera vittima degli eventi, non va in moto: vi è portato e per di più contro la sua volontà. La sua carriera è solitamente di breve durata. Già più interessante è la seconda categoria. Il passeggero "baùl" prova un pur difficilmente definibile piacere: potremmo - servendoci nuovamente di un illustre precursore - chiamarlo il piacere dell'esserci (per il concetto di da sein cfr. M. Heidegger "Essere e Tempo"). È un piacere, naturalmente, passivo: può essere dato da vari fattori quali il paesaggio, il fresco, la velocità, la pausa-pranzo (si ricordi a tale proposito il già discusso assioma della pausa-pranzo) ecc. Ciò che rende il passegero "baùl" un gradino ancora basso della scala evolutiva è la sua scarsa consapevolezza, la sua non conoscenza del mezzo del suo piacere e, in una parola, la sua ancora eccessiva somiglianza con un bauletto (con la differenza che non è tanto capiente). La terza categoria ci porta al cuore della natura di tale figura: il passeggero "anche mi" è il passeggero per eccellenza. È un bizzarro demone che prospera sui sellini posteriori di moto d'ogni genere, dotato di sette vite e di sorprendenti capacità adattive. Sostanzialmente rappresenta un fastidio, per il pilota, e non solo perché instancabilmente impegnato ad attentare alla sua privilegiata condizione, ma anche perché vuole sempre "sapere, capire, imparare, partecipare" ecc. Fa domande, guarda continuamente il contagiri, il tachimetro, le mani del pilota - visto come una specie di maestro di cui fidarsi ciecamente - vuole sapere il percorso, andare più veloce, tornare su quella strada così e così che non si ricorda dov'è, e parla sempre. Il mezzo lo interessa e il suo piacere principale deriva proprio da questa forma di affetto. Il passeggero "anche mi" non ama solo andare in giro, ha una certa passione per tutto ciò che riguarda la moto, compresa la manutenzione, nonostante sia del tutto inetto in questo campo come nella guida. Si consola stando costantemente tra i piedi del fortunato che sa e fa ciò che egli stesso vorrebbe sapere e fare. Data tale premessa verrebbe legittimamente da chiedersi in cosa consista il piacere nell'esistenza di tale frustrato animale. Difficile a dirsi. Eppure il piacere è evidente, traspare dalla sua faccia beota che si affaccia dalla visiera aperta del casco (integrale, si intende. Anche questa è una caratteristica che aiuta a distinguere tale esemplare dai suoi primitivi cugini: il passeggero "anche mi" non indossa mai caschi jet), dalla sua costante voglia di partire e dai sintomi inconfondibili della crisi di astinenza quando qualcosa si frappone tra la sua voglia e la moto (irritabilità, svogliatezza, torcicollo dovuto al continuo voltarsi a guardare qualsiasi ciofeca su due ruote che passa ). Il fatto è che il passeggero "anche mi" è un inguaribile sognatore, un illuso cronico, convinto che "prima o poi" sarà promosso all'ambito ruolo di pilota e a tale scopo cerca instancabilmente alleati che l'aiutino sulla dura strada dell'emancipazione o per lo meno dell'illusione. In fondo non importa né quando né se, l'importante è pensarci. Ed ecco che siamo arrivati al dunque. Qui casca l'asino! Il pensare. Ecco il carattere gratuito, puro e inattacabile del piacere motociclistico di questo esemplare strano e sostanzialmente futile della fauna biruota. Per il passeggero "anche mi" tutto è fonte di sollazzo mentale, tutto ha un preciso significato, richiama qualcosa, rientra in un massimo sistema, e il nastro dei suoi pensieri è più lungo di quello d'asfalto. Molti potranno chiedersi come trovi il tempo di pensare, preso com'è dal suo mandato di comprensione delle meccaniche dell'andare in moto; ma una simile domanda non avrebbe senso per nessun motard. Il pensiero è la dimensione del motard: il pensare prima, dopo e indipendentemente dal fare (o anche il fare indipendentemente dal pensare, ma questa non è un'esclusiva della nostra categoria). Così si chiude il cerchio del gratuito piacere del motard; e, in una società in cui l'inutile è quotato in borsa, avere qualcosa di autenticamente proprio, gratis e fine a se stesso forse non è poco.
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"Have you ever seen the rain?"
Dunque, cari amici, il nostro tema di oggi ci svela un lato di non secondaria importanza della personalità di un vero motard e su questo aspetto della vostra preparazione avrete di certo modo di esercitarvi molto, ma sappiate che, per quanto la maggior parte dei motards vengano iniziati alla teoria meteorologica assai precocemente, non si finisce mai di imparare e di scoprire nuove pieghe e nuovi interessanti sviluppi di tale affascinante caposaldo della motocultura. La teoria meteorologica è apparentemente assai semplice e si può riassumere in tre asserzioni di base:
Poche parole, ma quanta annosa esperienza, quanta saggezza di generazioni e generazioni! Provate a chiudere gli occhi, amici motociclisti, e insieme a quelle fastidiose goccioline di "umidità" sentirete nelle vostre orecchie la vostra stessa voce che ripete quelle semplici e telegrafiche frasi, forse le primissime parole della vostra ancor breve ma promettente vita motociclistica. Non bagna. Cos'è quella sostanza che scende dal cielo? "Acqua - direbbe il prosaico automobilista - piove." Ma il motard non la fa così semplice: acqua un momento: c'è acqua e acqua. Quella che scende dal cielo ha una caratteristica speciale: non bagna. Diremo di più, a volte addirittura asciuga; ma non corriamo troppo: quest'ultima affermazione verrà illustrata più avanti, spieghiamo intanto la prima. Quando sul motard scende quel sottile strato di umidità, che banalmente ed erroneamente il profano chiama "pioggia", non c'è motivo di preoccuparsi, sono due gocce, sono sottili, non è brutto tempo, solo una nuvola bassa passeggera. Non dura. Ok, pioviggina. Sì, ma non è una cosa seria, diceva già il noto motociclista Luigi Pirandello. Non ci fermeremo davanti a queste sciocchezzuole, non ha neanche senso fermarsi per indossare le tute (le si porta, ma mica per indossarle! È solo per avere un po' di zavorra). La frase fatidica è: ora cessa. Prego di soffermare l'attenzione sulla geniale formulazione di questa affermazione: nessuno direbbe "cessa alle 15.46", che sarebbe una previsione azzardata, bensì "ora" cessa. Ripetete continuamente questa affermazione e vedrete che, come per miracolo, essa, prima o poi, si avvererà. Certo, non è detto che avvenga in tempi brevi e non è detto che la "pioggerellina" continui a non bagnare; il motard potrebbe addirittura avere la tentazione di arrendersi e fermarsi per indossare la divisa della vergogna: la tuta impermeabile (impermeabile parola grossa, diciamo "un po' meno impregnantesi"). Ma la buona madre-natura non vuole umiliare il suo diletto figlio (il motard) e allontana da lui l'infamante tentazione con drastica soluzione del dubbio. Troppo tardi. Ecco salvata la purezza d'animo del motard: non occorre più fermarsi per evitare la doccia. Ormai è fatta. Una volta infradiciti i vestiti e quanto vi è sotto ad essi, il motard può proseguire tranquillo e fiducioso, giacché madre-natura non lo abbandonerà: dopo la pioggia-che-non-bagna e la pioggia-che-ha-già-bagnato, regalerà la pioggia-che-asciuga. Sì, ammettiamolo: per un non-iniziato la cosa può avere del sorprendente, ciononostante è comprovato che, in moto, una cosa bagnata prima o poi si asciuga, qualunque sia la condizione meteorologica. Il cielo può essere nero come catrame, l'umidità può essere del cento per cento, ma un numero di minuti sorprendentemente piccolo sarà senza meno sufficiente ad asciugare il nostro eroe (o almeno così pare al suo inguaribile ottimismo) cosicché egli avrà modo di godersi la deliziosa sensazione di essere viziato dagli elementi, coccolato da una brezza gentile, quasi tiepida, e gli parrà già di vedere qualche pallido squarcio di celeste tra le nuvole. Solo così l'affettuosa mamma-natura si beerà a pieno nel rovesciare sul diletto un nuovo nubifragio. La vita del motard è ciclica: la dinamica bagna-asciuga-ribagna, una volta innescatasi, tende a ripetersi fino al rientro ai box. Nulla di tutto ciò sembra seriamente nuocere allo spirito motociclistico, che solitamente non ne viene turbato affatto, spesso si diverte (?!) e solo in casi eccezionali si lamenta più o meno violentemente, e se non viene ridimensionato e riportato alla realtà da qualcuno (ecco una possibile applicazione della già discussa figura del passeggero) può arrivare a darsi dell'idiota e giurare sulle teste dei propri figli che non farà mai più una scemenza come viaggiare in moto fortunatamente la maggior parte dei motards non ha figli e comunque nessuno prenderebbe mai sul serio simili suoi giuramenti, da qui l'espressione "promesse da motard". Abbiamo parlato fin troppo di un tema così ben conoscibile tramite esperienza diretta, quindi rimandiamo ulteriori approfondimenti alla prossima esercitazione pratica, durante la quale gli stagisti saranno chiamati a fare osservazioni e a relazionare sulle superstizioni sviluppatesi attorno alla teoria meteorologica e sugli amuleti in uso. Ringraziando per la paziente attenzione, auguro che non passi molto tempo prima del prossimo stage, perché un giorno di pratica vale una vita di ragionamenti.
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