RELIGIONE   INDU'

 

L'Induismo una tra le più grandi religioni del mondo, antica di circa 4000 anni, non è frutto di un fondatore storico, ma dell'evoluzione graduale e della ricerca personale di molti saggi e maestri vissuti in India lungo i secoli. In realtà gli indù ortodossi non lo considerano un nome che lo identificano e preferiscono l'appellativo sanscrito Sanatanadharma, ossia la religione eterna che abbraccia sia il pensiero religioso-filosofico che la pratica comportamentale.      

Essa si presenta non come una religione semplice, dettata dall'alto da una divinità, per cui non presentano tale figura, ma come un mosaico religioso composto da numerose sette e scuole appartenenti ad ogni livello di sviluppo, sia a livello più semplice sia a livello sublime, riuscendo ad adattarsi ad ogni categoria di uomini .

      Il fulcro dell’insegnamento induista potrebbe essere visto in un codice elementare di condotta cui si deve aggiungere l’amore verso tutte le creature, la generosità, indifferenza per ciò che è apparenza. 

Una loro credenza secondo la quale la divinità trascendente interviene direttamente ed attivamente nella vita e nella storia dei popoli ha permesso loro di appropriarsi di divinità a loro estranee. Questa divinità si incarna in esseri detti avatara (discesa), alcuni dei quali si conoscono come Krishna, Buddha, Gandhi..

            Shiva è conosciuto come il principe degli Yogin (esperti di Yoga) e signore degli animali; le numerose divinità femminili legate alla vegetazione furono assorbite dalla teologia shivita con il nome di matrika (mamme) e di sakti (donna, moglie). Tale aspetto è presente nei Veda (libri sacri dell’induismo) come conseguenza dell’opera di assimilazione di elementi estranei alla propria religione celeste.

            La parola sanscrita che indica casta è varuna che indica anche colore,e, quindi assume una connotazione razziale.

 

La vita dell’uomo sulla terra può essere sintetizzata con tre parole: 

samsare, Kama, Karma.

                Kama ha il significato di desiderio, cioè di un amore non ancora posseduto. Secondo l’Upanishad-Brhadaranyaka il desiderio dell’uomo spinge a compiere determinate azioni, ed uno agisce in base a ciò che desidera, e l’uomo è ciò che agisce.

                Al kama segue il Karma o azione, che può essere buona o cattiva; a seconda di essa l’uomo sarà buono in misura maggiore o minore, con la conseguenza dell’esistenza in una determinata casta o la conseguenza reincarnazione in una casta inferiore o superiore. Solo chi è veramente saggio e totalmente puro si libera dalla legge del Karma e ritorna all’Assoluto per non fare più ritorno al mondo nel ciclo del samsara.

               Il samsara è una sorta di viscosità che lega ed impantana lo spirito umano al maya, a ciò che è apparenza in quanto emanazione di Brahman. Per disgrazia propria l’uomo si lascia sedurre dal maya (mondo dell’illusione che ottenebra la mente dell’uomo. E’ l mondo dell’uomo dopo che questo si è allontanato da Brahman), vincolandosi ad esso, ed il samsara non rappresenta altro che il legame soggettivo, umano con il maya. L’uomo riuscirà a raggiungere la salvezza solo quando spezzerà i fili che lo legano al maya

                

L’indù possiede varie vie per arrivare alla via della salvezza: le opere; la conoscenza fonte della filosofia indù; donazione totale alla divinità o bhakti. Ciascuna di questa via corrisponde ad ognuna delle tre caste: la via dello studio ai bramini; la via delle opere agli ksatriya. 

L’etica indù possiede due note essenziali: a) compimento delle azioni in spirito di totale distacco dal mondo, ovvero senza samsara, liberi dal maya; 2) sforzo di adeguatamento dei doveri etici alle diverse circostanze concrete di ciascuno. Oltre i doveri di virtù specifici di ogni casta ve ne sono alcuni comuni a tutti gli uomini: la non-violenza, cioè non danneggiare nessun essere vivente, sia o no razionale; il dominio di sé; la sincerità; l’osservanza delle prescrizioni rituali. Solo così si può raggiungere il dharma, la legge morale, l’ordine sociale e cosmico.       

              La credenza nella trasmigrazione delle anime è così diffusa e permea tutta la realtà induista che, spesso, viene vissuta più come una realtà evidente che come un oggetto di fede. Da questa concezione nasce la passività di fronte alla discriminazione delle caste. Ogni anima si reincarna come spinta dal peso d’inerzia del karma e riceve esattamente la ricompensa o il castigo adeguato; pertanto non si può di ingiustizia o di discriminazione nella suddivisione in caste.

                Al contrario ogni reincarnazione è: - una esigenza di giustizia; - una espiazione delle mancanze anteriori; - una progressiva purificazione. In questa concezione si può vedere anche una soluzione accettabile ai problemi relativi all’origine del male e dei mali, nonché a quello dell’innocente che paga colpe apparentemente non sue, o, al contrario, del malvagio cui arride ogni fortuna.

 


Le varie scuole concordano su alcuni punti fondamentali. Questi sono:


Il ciclo della rinascita (samsara): alla morte, ogni creatura rinasce in un altro corpo, vegetale, animale, o umano. Lo scorrere delle esistenze, ovvero la successione delle rinascite, è visto come un dramma dal quale si desidera liberarsi con l'aiuto di determinate tecniche, come lo yoga e la meditazione. La liberazione - o moksha - consiste nella scoperta dell'identità del nucleo più profondo di sé (atman), con il brahman, che è l'assoluto, l'Uno indivisibile che pervade tutto l'universo.

Il rispetto della vita: l'anima dell'individuo può rinascere anche in forme animali e vegetali. Ne deriva che gli induisti tendono a manifestare un grande rispetto per ogni tipo di essere vivente (ad esempio, molti di essi sono vegetariani).

Il karma ("azione"): in base a questo concetto, la condizione in cui un determinato individuo nasce nella vita successiva dipende dalle azioni che ha compiuto in quella precedente. In altre parole, ogni azione che l'individuo compie nella vita attuale avrà delle ripercussioni nelle sue vite future.

La divisione della società in gruppi sociali (varna: "colore"): i brahmani (brahmana), i guerrieri (kshatriya), i produttori (vaishya) e i servitori (shudra), oltre ai fuoricasta che si situavano al di fuori del sistema. Successivamente, la società si è articolata in una gran quantità (dalle 2000 alle 3000) di caste (jati) e sottocaste. L'appartenenza a una casta piuttosto che a un'altra dipende dal karma dell'individuo, e dunque dalla sua condotta nelle esistenze precedenti. Chi nasce all'interno di una certa casta deve essere consapevole dei doveri e delle conseguenze della propria condizione (ad esempio ci si può sposare o sedere alla stessa tavola solo con membri della propria casta): un adempimento dei propri doveri castali è necessario per ottenere una rinascita migliore. Va peraltro aggiunto che la Costituzione dell'India moderna vieta ogni discriminazione in base all'appartenenza castale sebbene, nella pratica, il sistema delle caste continui a essere applicato.


 SRUTI

Sruti significa « audizione, cíò che è ascoltato» e sottolinea  sia l'intuizione mistica degli  rshi  che costituisce l'evento rivelatorio vero e proprio e la trasmissione diretta, orale, da individuo a individuo, «ascoltata attraverso le orecchie e attraverso il cuore». 

In origine, il termine era riferito ai seguenti testi: Veda, SamhitaBrahmana. Successivamente, il termine sruti è stato esteso anche alle Upanishad, la parte più squisitamente speculativa.
La supercoscienza raggiunta dagli rshi , i veggenti antichi ,permetteva loro di mettere in parole la loro superconoscenza.Quelle parole, scritte nei testi sacri sono Rivelazione.

 

SMRITI

C' è la  Smriti, cioè il  ricordo , la memoria, la tradizione.
Una peculiarità fondamentale dell'induismo è la sua visione atemporale, e quindi i periodi presi in esame non rispecchiano una rigida suddivisione cronologica, bensì una coesistenza e un intrecciarsi continuo. 
Infatti, il carattere di astoricità così affine alla cultura indiana è determinato da fattori quali 
-  la lunga trasmissione orale, 
-  la concezione tipica indiana dell'eternità dei Veda, 
-  la totale mancanza di rilievo data agli autori dei testi.


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