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Conosciamo il titolo dell'opera da una Epistola che Dante invia a Cangrande della Scala, signore di Verona che lo ha ospitato tra il 1314 e il 1318, nella quale gli dedica il Paradiso e probabilmente gli manda alcuni Canti in visione. Non compare l'aggettivo divina che coniò in seguito il Boccaccio, ma suona così:
Incipit Comedia Dantis Alagherii, florentini natione, non moribus
Comincia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino di origine, non di costumi
Titolo polemico nei confronti dei concittadini che lo bandirono dalla patria. Non sfugge nemmeno ai contemporanei la grandezza del poema dantesco.
L'epiteto divina, giustapposto dal Boccaccio, diventa ben presto parte integrante dell'intitolazione e l'edizione a stampa effettuata da Ludovico Dolce a Venezia nel 1554 lo suggella in maniera definitiva. Così è pervenuto sino a noi, e a buon diritto. Nella medesima Epistola a Cangrande Dante informa il lettore della ragione per cui l'ha chiamato Commedia; è un'opera che inizia tragicamente ma finisce felicemente. Infatti si parte dal dramma dei dannati per giungere alla beatitudine celeste.
Nel De vulgari eloquentia la commedia è presentato come l'unico genere letterario cui è riconosciuto il diritto di spaziare in più registri stilistici, rispecchiando quindi un nuovo concetto di 'sublime', aperto a tutto il reale (in questo sarà differente l'atteggiamento di Petrarca), proprio del pensiero cristiano a cui Dante esplicitamente si rifà.
La composizione
Della Commedia dantesca non è ancora stato trovato il manoscritto originale; noi non conosciamo l'autografo di Dante e non sappiamo come scrivesse; sul reperimento degli ultimi tredici Canti del Paradiso, poi, Giovanni Boccaccio ha divulgato la suggestiva leggenda del ritrovamento misterioso, in seguito all'apparizione in sogno del poeta al figlio Iacopo, alcuni mesi dopo la sua morte.
Non si conosce esattamente nemmeno la data di composizione delle tre Cantiche e si discute se l'Inferno sia stato iniziato quando Dante viveva ancora a Firenze, oppure si trovava già in esilio. Ciò nonostante, alcuni critici convengono che la gestazione della Commedia avvenne in età giovanile e si collega al desiderio di tessere l'apoteosi della bellissima Beatrice di Folco Portinari, amata da Dante e morta a venticinque anni nel 1290; tuttavia la stesura del poema in lingua volgare inizia dopo il 1307. È accertato, comunque, che nel 1309 l'Inferno è concluso, nel 1314-16 è divulgato, noto e apprezzato anche il Purgatorio, mentre, intorno al 1320 pure il Paradiso è in fase risolutiva.
Le fonti
Possiamo distinguere le fonti in tre gruppi:
a) fonti classiche
Domina l'immaginario letterario di Dante l'Eneide virgiliana, in particolare il libro VI (con il racconto della discesa agli Inferi da parte di Enea), non solo per i numerosi riferimenti mitologici, ma soprattutto per il ruolo che nella Commedia viene attribuito a Virgilio, maestro, guida, simbolo dell'umana ragione.
Le fonti dei numerosi riferimenti mitologici della Commedia sono essenzialmente i poeti latini Ovidio, Stazio e Lucano‚ e traduzioni dall'Iliade e dall'Odissea di Omero. Per il tema della visione e dell'elevazione al cielo, sicuramente ebbe presente il Somnium Scipionis nella Repubblica di Cicerone.
b) fonti filosofiche
Tra i filosofi antichi ricordiamo Platone e, soprattutto, Aristotele, ma anche Severino Boezio con il suo De consolatione philosophiae. Fra i filosofi più recenti, oltre a san Bonaventura (importante l'Itinerarium mentis in deum anche per la dantesca Vita nova), san Bernardo di Chiaravalle (che sarà presente nella conclusione della Commedia), spicca in maniera preponderante san Tommaso e la sua Summa theologiae, che viene spesso semplicemente tradotta da Dante e che, comunque, rimane il testo filosofico - in particolare, morale - di riferimento.
c) fonti cristiane
L'intera Bibbia, con un'attenzione particolare all'Apocalissi di S. Giovanni e alla Seconda epistola ai Corinzi di S. Paolo.
La struttura narrativa
Come ogni altra opera, anche la Commedia, può essere analizzata attraverso le cinque istanze narratologiche (se vuoi, puoi scaricare la griglia di analisi del testo in prosa):
a) il narratore
Il narratore è autodiegetico, cioè è il protagonista che narra la vicenda che ha vissuto.
Si deve, però, distinguere fra Dante agens e Dante auctor, cioè assistiamo ad una sorta di sdoppiamento del narratore: è chiaro che Dante racconta tutta la vicenda che ha vissuto quando è ormai uscito fuori dal regno ultraterreno, con ciò assumendo una focalizzazione interna al narratore (auctor) che ha piena coscienza di quanto è avvenuto.
Ci sono però dei brani in cui Dante 'fa finta' di non sapere quello che sta per succedere, cioè assume una focalizzazione interna al personaggio (agens), al fine di coinvolgere ancora più a pieno il lettore.
Spesso nella narrazione intervengono personaggi di diversa importanza che si mettono a raccontare le proprie vicende personali (basta pensare ad Ulisse - If XXVI - a Piccarda Donati - Pg III), divenendo quindi dei narratori di II grado.
b) i personaggi
All'interno dell'opera è facile ricostruire il sistema dei personaggi, che vede Dante come protagonista, attorniato da una serie di aiutanti che si avvicendano nel tre regni dell'oltretomba: Virgilio, che compare nel primo canto dell'Inferno e che lo lascerà solo nel XXX del Purgatorio, una volta giunti nel Paradiso terrestre; Beatrice e San Bernardo proprio nell'ultima parte del Paradiso.
Non semplice individuare gli antagonisti. Semplicemente possono essere tutti i personaggi che gli impediscono o cercano di impedirgli di salire verso Dio: dalle fiere di If I ai demoni di Malebolge, per arrivare addirittura a Casella di Pg II che quasi trattiene Dante ad ascoltare il proprio canto. In maniera meno palese è il male, il demonio, il peccato, la terrestrità che di volta in volta trattengono Dante dall'ascendere speditamente verso Dio.
In molti casi Dante interagisce direttamente con i personaggi che incontra, a volte in maniera violenta, in altre assumendo un atteggiamento di disprezzo oppure di grande ammirazione, ... In pochi casi i personaggi vengono presentati dal Dante auctor di scorcio, quasi per ellissi.
c) la trama
Nella già citata Epistola a Cangrande della Scala Dante suggerisce quattro modi o sensi per leggere la sua opera.
7. Per chiarire quanto stiamo per dire, occorre sapere che non è uno solo il senso di quest'opera: anzi, essa può essere definita polisensa, ossia dotata di più significati. Infatti, il primo significato è quello ricavato da una lettura alla lettera; un altro è prodotto da una lettura che va al significato profondo. Il primo si definisce significato letterale, il secondo, di tipo allegorico, morale oppure anagogico. E tale modo di procedere, perché risulti più chiaro, può essere analizzato da questi versi: "Durante l'esodo di Israele dall'Egitto, la casa di Giacobbe si staccò da un popolo straniero, la Giudea divenne un santuario e Israele il suo dominio". Se osserviamo solamente il significato letterale, questi versi appaiono riferiti all'esodo del popolo di Israele dall'Egitto, al tempo di Mosè; ma se osserviamo il significato allegorico, il significato si sposta sulla nostra redenzione ad opera di Cristo. Se guardiamo al senso morale, cogliamo la conversione dell'anima dal lutto miserabile del peccato alla Grazia; il senso anagogico indica, infine, la liberazione dell'anima santa dalla servitù di questa corruzione terrena, verso la libertà della gloria eterna. E benché questi significati mistici siano chiamati con denominazioni diverse, in generale tutti possono essere chiamati allegorici, perché sono traslati dal senso letterale o narrativo. Infatti allegoria viene ricavata dal greco alleon che, in latino, si pronuncia alienum, vale a dire diverso.
Semplificando il discorso dantesco l'intera opera va letta sia come un resoconto di un viaggio fisco nell'aldilà, iniziato in una data precisa (il giorno venerdì 8 aprile 1300 alle ore 7.30 circa del mattino), in un luogo preciso, con delle dinamiche fisiche precise, ma anche come il cammino che un qualsiasi uomo di una qualsiasi epoca compie per allontanarsi dal male e avvicinarsi al bene.
Continua Dante nel capitolo successivo della Epistola:
8. (...) E perciò bisogna fare attenzione, in riferimento al soggetto di quest'opera, dapprima che venga colto in senso letterale e successivamente che quel medesimo soggetto sia colto in senso allegorico. Preso solo nel suo senso letterale, dunque, il soggetto dell'intera Commedia riguarda semplicemente la condizione delle anime dopo la morte; infatti, l'opera tutta procede muovendosi attorno a questo tema. Se, in verità, si scava nel senso allegorico, il soggetto diventa nell'uomo che, meritando o non meritando, alla luce del libero arbitrio, è gratificato dal premio o dannato al giusto castigo.
Perdere uno dei due aspetti, anche solo per un attimo, impedisce a noi oggi di coglierne la bellezza completa e l'«utilità pratica», trasformando la Commedia in uno spaccato interessante ma arido della vita dell'Italia dei Comuni, oppure in una predica catechistica dai toni altisonanti e oscuri di un politico frustrato di un secolo dominato dal cosiddetto oscurantismo cattolico.
A tal proposito ti segnalo un bel brano di Singleton, in cui l'ottica del "duplice viaggio" viene ampiamente spiegata.
d) lo spazio e il tempo
Proprio perché la Commedia non perde la dimensione di racconto, questi due aspetti non sono mai marginali, ma anzi cooperano operativamente alla caratterizzazione degli eventi e dei personaggi.
Inoltre, come è ovvio nella mentalità medioevale, abituata a proiettare il singolo evento in una dimensione ultraterrena ed eterna, le notazioni spazio-temporali contengono in chiave allegorica dei messaggi che vanno interpretati e che contribuiscono - a volte in maniera insostituibile - alla 'semantizzazione' di particolari che non sono quindi solo di cornice.
Un esempio valga per tutti.
Come si saprà, proprio nel primo canto dell'Inferno Dante si trova ai piedi di un colle che appare "vestito" della luce solare:
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. Allor fu la paura un poco queta che nel lago del cor m’era durata la notte ch’i’ passai con tanta pieta. |
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Già solo il semplice fatto di intravedere i raggi solari lo rassicura, dopo la paura che aveva attanagliato il suo cuore nella valle oscura. A livello di esperienza personale (soprattutto per chi è un po' 'meteopatico') riusciamo più o meno a capire la reazione di Dante: un po' di sole può risollevare l'umore di una persona, ma ci risulta comunque un po' strano un atteggiamento di questo genere ...
Subito dopo Dante intraprende la salita di tale colle, ma subito viene bloccato dalla vista della prima delle tre fiere che incontrerà sulla sua strada, cioè una lince.
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta; e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto. Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone. |
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Basterà la considerazione di trovarsi nel momento dell'alba (v. 37) e nella stagione della primavera (vv. 38-39) a farlo riprendere d'animo e quindi sperare di riuscire a superare l'ostacolo bestiale che ha davanti (vv. 41-43).
In senso letterale il brano risulta incomprensibile: cosa vuol dire che la visione dell'alba e la considerazione di trovarsi in primavera mi fanno sperare di superare la presenza minacciosa di un animale feroce? Solo trovando la 'chiave', potrò scoprire il senso nascosto dietro l'allegoria e così capire il messaggio del primo canto.
Il colle che Dante si trova a salire è allegoria per la felicità umana, che ogni uomo può salire con le sue forze; la lince è allegoria della lussuria, male che normalmente l'uomo incontra nella sua vita. Ma non è uno dei mali peggiori, poiché può bastare intravedere la luce della Grazia di Dio per superarla. Diversa sarà la forza del leone e della lupa, rispettivamente allegorie del peccato di superbia e di cupidigia: contro tali animali-peccati non basterà intravedere la Grazia, ma sarà necessario un cammino di conversione profonda e radicale che Dante si convince a percorrere grazie all'intervento di Virgilio, che infatti appare nella seconda metà del viaggio, spiegandone le intime ragioni.
Comprendiamo allora come tutti i particolari spazio-temporali non sono solo una cornice interessante e accattivante, ma sono notazioni essenziali alla piena comprensione del testo.
In linea generale possiamo affermare che, seguendo il sistema assiologico medioevale anche nella Commedia vale l'opposizione
alto | luminoso | bene |
versus | ||
basso | buio | male |
che implica, come appare ovvio, una gerarchia morale neppure troppo nascosta: il viaggio di Dante non presenta bivi ed ha una destinazione prestabilita, che lo porterà dal peccato alla visione beatifica di Dio, scopo ultimo dell'esistenza e della letteratura.
Quanto al tempo possiamo distinguere un tempo oggettivo, che è il tempo eterno della condizione delle anime, e un altro tempo soggettivo, che è quello del pellegrino che compie il viaggio.
Si devono aggiungere le analessi che vengono aperte frequentemente dai racconti delle anime incontrate da Dante, che hanno - soprattutto nel Purgatorio. la funzione di rievocare la bella atmosfera che si respirava a Firenze nella prima metà del XIII secolo.
Lo stile: pluristilismo e plurilinguismo
Il
viaggio di Dante nei regni ultraterreni è un'esperienza intellettuale,
poetica, culturale e umana di portata eccezionale: era ormai da secoli che la
poesia non affrontava una tematica così vasta e articolata, abbracciando in
un'ampia struttura narrativa un soggetto che si identifica semplicemente
con la realtà umana nel suo complesso. Attraverso i discorsi, le memorie e il
modo stesso di soffrire la pena infernale, o di godere della beatitudine
celeste, compare continuamente nella Commedia il mondo terreno, la sede
degli uomini e delle loro innumerevoli contraddizioni.
La varietà degli aspetti e dei temi che Dante, nella sua ansia di comprendere
l'universo, accoglie, descrive e racconta, lo porta alla completa rottura degli
schemi letterari e retorici della tradizione. Il tema si allarga a dismisura e
per trattarlo occorrono tutti gli stili, dal più alto al più basso; è
questo sicuramente il tratto più innovativo dell'operazione compiuta da Dante.
Nella successione delle cantiche è facile individuare una mutazione
stilistica, un progressivo innalzamento del tono poetico dall'Inferno al
Paradiso; ma neppure nell'ultima cantica si può parlare di unicità di stile,
di un completo monostilismo. Dante riprende le riflessioni della retorica
medievale che volevano una perfetta corrispondenza fra il genere dell'opera e
lo stile adottato dall'autore; quindi, in base a tale criterio, per scrivere
un'opera di genere 'basso' si doveva usare uno stile e una lingua 'bassi', per scrivere
un'opera 'alta', si doveva usare uno stile e una lingua 'alti', ... Dante in
linea di massima si attiene a tale principio, utilizzando lingua e stile bassi
per l'Inferno (basta pensare alle rime «aspre e chiocce» del basso
Inferno), lingua e stile medi per il Purgatorio, alti per il Paradiso.
Basta confrontare i termini che Dante utilizza per indicare lo stesso concetto
che variano in dipendenza delle tre cantiche: ad esempio il concetto di
'persona anziana' viene espresso in tre modi differenti nelle tre cantiche:
If III, 76 – 84 (apparizione di Caronte)
76 |
Ed elli a me: “Le
cose ti fier conte |
Pg I, 22 – 36 (apparizione di Catone)
22 |
I' mi volsi a man
destra, e puosi mente |
Pd XXXI, 52 – 63 (apparizione di S. Bernardo)
52 |
La forma general di paradiso |
Tale precisione di Dante non esclude però la libertà di violare tale criterio, come quando, ad esempio, in un contesto 'basso' troviamo una lingua e uno stile elevati (ad esempio l'episodio di Paolo e Francesca in If V).
Sotto questo aspetto la Commedia si presenta effettivamente come la risultante ultima di tutte le esperienze precedenti, non solo quelle liriche, ma anche delle capacità espressive messe a punto nell'opera in prosa.
La
varietà e la mescolanza degli stili nella Commedia è fondata su uno
strumento linguistico che è tra i più flessibili, che mai opera letteraria
abbia mai presentato. La lingua di Dante diventa un campo sterminato
dell'invenzione espressiva; la Commedia, dal punto di vista linguistico,
appare una smentita ed un superamento delle teorie esposte nel De vulgari
eloquentia; essa si presenta come un'opera fuori da tutti gli schemi. Dante
quando scrisse il poema, doveva essere ormai convinto che il volgare, il suo
volgare, era una lingua pienamente emancipata, che poteva essere libera da
qualsiasi condizionamento della tradizione. Il linguaggio della Commedia
non solo non corrisponde per nulla all'idea di volgare illustre, ma se ne
distacca punto per punto, la sua base è il fiorentino nella sua completezza,
non esclusivamente quello letterario ma anche quello parlato da tutti.
Dante, nel suo lessico, inserisce inoltre una quantità enorme di latinismi,
usando ampiamente anche provenzalismi e francesismi.
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