Le ben poche certezze riguardanti il Satyricon possono essere così riassunte:

1)  il cosiddetto Satyricon è un lungo frammento narrativo di un’opera in prosa, con alcuni inserti in versi, di indiscutibile qualità artistica;

2)  il frammento in nostro possesso corrisponde ad un intero libro dell’opera, il 15°, e ad alcune parti dei libri 14° e 16°; l’estensione complessiva dell’opera doveva perciò essere notevole (paragonabile, secondo alcuni, a quella di “Guerra e pace” di Tolstoj!);

3)  i libri 14° e 16° erano già noti nel IX sec. nei cosiddetti “estratti brevi”, contenenti appunto parti precedenti e seguenti la “Cena di Trimalcione”; alla fine del XIII sec. invece risalgono gli “estratti lunghi”, contenenti parti molto più ampie del prima e del dopo Cena e parti della Cena stessa. Nel 1420 Poggio Bracciolini trova in Inghilterra un codice contenente la Cena, che egli definisce il 15° libro. Nel sec. XVII a Traù, in Dalmazia, vicino a Spalato, viene trovato il cosiddetto codex Traguriensis, e la prima edizione del nuovo Petronio (cioè della “Cena di Trimalcione”) esce a Padova. Si accendono le polemiche sull’autenticità e intanto ad Amsterdam esce la prima edizione completa del Satyricon contenente il testo degli estratti brevi e di quelli lunghi e la Cena. Tutto questo a testimonianza di una tradizione faticosa e difficile, dovuta molto probabilmente alla scabrosità dell’argomento;

4)  l’autore, stando ai codici, è un tal Petronius Arbiter, autore ignoto alla cultura ufficiale (o da essa ignorato) fino al III sec. d.C.

Tutto il resto è incerto.

 

Questi i principali problemi intorno ai quali ruota la “questione petroniana”:

1)  Chi è il Petronius Arbiter autore dell’opera? E’ o non è da identificare con l’omonimo cortigiano di Nerone descritto da Tacito in Annales XVI 18 e 19?

2)  Qual è il titolo esatto dell’opera e che cosa significa?

3)  Da quanti libri era composta l’opera nella sua totalità?

4)  Qual è la data di composizione dell’opera (cronologia esterna)? Ed in quale epoca è ambientata (cronologia interna)?

5)  Qual era, almeno a grandi linee, la trama nella quale si inseriva il lungo brano in nostro possesso?

6)  In quale genere letterario si inserisce il Satyricon?

7)  Qual era la destinazione dell’opera? In altri termini, per quale tipo di pubblico essa fu concepita e pubblicata?

8)  Esiste un messaggio all’interno del Satyricon, e se sì, quale? Ovvero: qual è il significato dell’opera?

 

Queste le ipotesi della critica, punto per punto:

 

1)  L’autore dell’opera:

  La critica è divisa su due posizioni contrapposte:

     a.  il Petronius Arbiter autore del Satyricon non è il cortigiano di Nerone; infatti:

    -  nessuna testimonianza antica ammette esplicitamente l’identificazione fra i due personaggi (come d’altra parte nessuna la esclude); inoltre chi parla del Petronio vissuto alla corte di Nerone, come Tacito, non fa il minimo cenno ad una sua attività di letterato;

    -  come si è detto, l’autore viene menzionato solo a partire dal III sec. d.C.; l’opera viene citata, sia pur raramente, a partire dal II sec. d.C.: in precedenza nessuno mostra di conoscere né l’autore né l’opera. Se dunque Petronio fosse il cortigiano di Nerone, coinvolto nella “congiura dei Pisoni” e morto suicida nel 66, vi sarebbe sul suo conto, e sul conto della sua opera, un inspiegabile silenzio di più di un secolo;

    -  la lingua del Satyricon, almeno per quel che riguarda la “cena di Trimalcione”, sembra essere in anticipo di almeno un secolo rispetto a quella dell’età neroniana, a noi nota attaverso molti altri autori;

    -  di conseguenza l’autore del Satyricon sarebbe un geniale sconosciuto vissuto non prima del II sec. d.C.

    b.  il Petronius Arbiter autore del Satyricon è il cortigiano di Nerone; infatti:

    -  non solo il nome è identico (il cortigiano di Nerone si chiamava Titus o Gaius Petronius Niger), ma anche il cognomen attribuito all’autore del Satyricon, ovvero quello di Arbiter, coincide sorprendentemente con la funzione di elegantiae arbiter (= “giudice della raffinatezza”, “arbitro dello chic”) assegnata da Tacito al suo personaggio all’interno della corte neroniana;

    -   il fatto che Tacito non alluda ad un’attività letteraria del suo Petronio potrebbe essere spiegato sia con la scarsa pertinenza di questa precisazione ai fini della narrazione storica, sia con la volontà di evitare compromettenti allusioni ad un’opera notoriamente scandalosa (citarla equivarrebbe ad ammettere di averla letta!);

    -   il silenzio delle fonti su Petronio romanziere e sulla sua opera per circa un secolo non è difficile da spiegare, se si pensa appunto all’imbarazzo della cultura ufficiale nei confronti di un’opera così anomala e irriverente, interamente imperniata su un “triangolo” omosessuale e sull’impotenza del protagonista;

    -   l’impasto linguistico di cui si serve Petronio nella “cena di Trimalcione” non corrisponde alla norma espressiva, men che mai scritta, di alcuna epoca in particolare, ma rispecchia il parlato di un ceto sociale ben preciso, quello dei liberti arricchiti con velleità di emancipazione culturale: è dunque uno slang, oltre tutto volutamente caricaturale, a partire dal quale sarebbe scorretto formulare qualsiasi deduzione cronologica;

    -  il ritratto tacitiano del raffinato esteta decadente vissuto alla corte di Nerone, e soprattutto il racconto del suo spettacolare suicidio parodico, sono troppo in sintonia con l’esasperata sensibilità estetica e con il gusto della provocazione paradossale propri dell’autore del Satyricon, per pensare che si tratti di un altro Petronio: se così fosse, saremmo di fronte ad un autentico alter ego del cortigiano di Nerone. Tanto vale pensare che si tratti della stessa persona, come il buon senso induce istintivamente a credere.

 

2)  Il titolo dell’opera e il suo significato:

Il titolo è attestato nelle seguenti varianti:

a.  Satyricon (genitivo plurale alla greca, Satyrin, sottinteso biblìa, ovvero “libri dei Satiri”; cfr. Virgilio, Georgicon libri);

b.  Satyrica (neutro plurale alla greca, Satyrikà, sottinteso biblìa, con lo stesso significato);

c.  Satirica o Saturica (suffisso neutro plurale -i alla greca, ma unito al prefisso latino satir- / satur- con il significato di “libri di satire”);

d.  Saturarum libri (titolo pienamente latino, con lo stesso significato);

e.  Saturae (titolo pienamente latino: “satire”).

 Ciò che importa notare è che:

-    nei casi a, b l’etimologia viene ricondotta ai Satiri in quanto creature mitiche tradizionalmente collegate con la sfera sessuale, e dunque con allusione al contenuto osceno dell’opera;

-    nei casi c, d, e l’etimologia viene invece ricondotta alla latinissima (e prima ancora etrusca) satura, il ben noto genere letterario caratterizzato da mescolanza di stili e dalla presenza di parti in prosa e parti in poesia, con allusione quindi alla forma dell’opera.

   

  Da notare, però, che con la satira in versi di Ennio, Lucilio, Orazio e Persio (e più tardi di Giovenale) il Satyricon non ha proprio nulla a che vedere: si tratterebbe quindi, in tal caso, della satira menippea, coltivata in Roma da Varrone Reatino e da Seneca.

 

  Fra tutti questi titoli, pare che quello da respingere quasi certamente sia proprio quello più in uso, Satyricon, che deriva da un evidente fraintendimento: infatti chi lo usa non lo avverte più come un genitivo plurale, ma come un neutro singolare (“Opera riguardante i Satiri”), il che certamente non è; in quanto genitivo plurale, esso non si può reggere da sé e richiederebbe l’integrazione libri.

 

  Per quel che ne sappiamo, comunque, i Satiri non c’entrano nulla con l’opera, se non, al limite, in senso metaforico; è probabile dunque che l’etimologia più attendibile sia proprio quella che si rifà alla satira, e che la grafìa corretta sia satir- e non satyr-.

 

3)   Il numero dei libri:

  Una prima risposta, scontata ma sicura, è: non meno di 16.

  Sul totale non si può avere alcuna certezza, ma un’ipotesi affascinante, che vedrebbe nel Satyricon una sorta di riecheggiamento parodico dell’Odissea, potrebbe indurre ad orientarsi sul numero canonico di 24.

 

4)  La data di composizione (cronologia esterna) e l’epoca di ambientazione (cronologia interna):

  Nessuna certezza si può avere sulla data di composizione. Se si identifica l’autore con il cortigiano di Nerone, si può affermare per lo meno che essa fu composta anteriormente al 66 d.C., data della morte di Petronio.

  Del tutto assurda, invece, l’ipotesi avanzata da taluni, secondo la quale l’opera sarebbe stata composta “di getto” dall’autore poco prima del suicidio (!), e sarebbe da identificare con i famosi codicilli che contenevano un elenco dettagliato di tutte le nefandezze di Nerone, gli stessi che, stando a Tacito, egli volle fossero consegnati al princeps a mo’ di testamento. E’ semplicemente ridicolo supporre che un’opera di questa mole e di questo pregio sia stata redatta in simili circostanze.

  Per quanto riguarda l’ambientazione o cronologia interna, i critici sono concordi nel ritenere che ogni allusione storica, sociale, politica, giuridica, economica contenuta nel Satyricon, faccia riferimento all’epoca giulio-claudia, e comunque ad un periodo non successivo a quello neroniano.

 

5)  La trama dell’opera:

E' Encolpio, il giovane "intellettuale", che svolge la trama del romanzo raccontandola in prima persona. Intorno a lui sono il rude Ascilto e il bel Gitone, suo intimo amichetto. I tre, dopo essersi conosciuti in alcune disavventure probabilmente a Marsiglia (dove Encolpio si è reso colpevole di un sacrilegio nei confronti di Priapo, dio della sessualità e della fecondità), vengono a trovarsi, nei loro vagabondaggi, in una città di cultura greca dell’Italia meridionale, forse Cuma o Pozzuoli.

La parte del romanzo che ci è pervenuta comincia con una discussione sulle cause della decadenza dell’eloquenza, intavolatasi tra Encolpio, che attribuisce la colpa di tale decadenza alle declamazioni di oratori improvvisati, e il rétore Agamennone, che invece se la prende con la cattiva educazione culturale dei giovani.

Durante tale disputa l'amico Ascilto, evidentemente annoiato da queste pesanti disquisizioni da intellettuali e forse preso da qualche prurito sessuale, pensa bene di andarsene per i fatti suoi e, dopo certe peripezie, giunge ad un lupanare. Anche il ninfetto Gitone decide di eclissarsi (una complice intesa fra i due?...), ed Encolpio, accortosi di essere stato lasciato solo, abbandona la dotta conversazione e si mette alla ricerca degli amici. Ritrova Ascilto presso il lupanare e Gitone in albergo. E qui si svolge una furiosa scenata di gelosia tra i due amanti, poichè Gitone, che ben conosce le scaltrezze amorose, confida ad Encolpio di essere stato vittima delle insistenti molestie sessuali di Ascilto. Scenata di gelosia da cui i due escono con il fermo proposito di mettere fine alla loro relazione, e che poi si conclude con la riconciliazione di rito: a tarallucci e vino ...

 

Seguono nel romanzo molte altre vicende (il cui testo non ci è pervenuto), finché ritroviamo i due, Encolpio ed Ascilto, in un mercato dove, per raggranellare qualche spicciolo, sono andati per vendere un mantello rubato, e rifarsi così della perdita di una tunica in cui avevano nascosto il loro denaro. Fortunatamente si imbattono proprio in un contadino che aveva trovato la loro tunica, e gli propongono di barattare la tunica (con dentro il denaro) col mantello (vuoto). Ne nasce una trattativa così accalorata che devono intervenire le guardie per sedarla; ma i due riescono a riavere la loro ormai più che preziosa tunica e se ne tornano in albergo.

Altra avventura. Va a trovare Encolpio e Gitone una donna di nome Quartilla, da loro sorpresa nell'atto di compiere uno dei suoi riti orgiastici nel tempio di Priapo, e che in tale occasione aveva contratto la febbre terzana; essa porta con sé un’ancella e una bambina di sette anni, costringendo i nostri due giovani, per poter guarire dalla propria malattia, a compiere un rito di riparazione, durante il quale Gitone è addirittura costretto a sposare la piccola bimba.

I due ragazzi, sfiniti e disgustati, stanno cercando di liberarsi da quella strega, quand’ecco che arriva uno schiavo del retore Agamennone a ricordare loro l'invito a cena presso un certo Trimalcione, quell'arricchito cafone e bonario di cui abbiamo detto.

Qui inizia la descrizione della famosissima e pantagruelica "Cena di Trimalcione": nella sala del banchetto tutto è approntato con lo scopo preciso di impressionare gl'invitati, con abbondanti portate e libagioni, bizzarre scenografe e numeri di varietà, con mimi, musica ed esibizioni varie; il tutto accompagnato da argomenti di pseudoerudizione, intavolati con spirito e fanfaronaggine dallo stesso padrone, che per meglio far colpo sui propri ospiti mette in scena addirittura una pacchiana prova generale del suo funerale.

Fuggiti per disperazione da questa grottesca cena approfittando di un parapiglia, i tre amici protagonisti si ritrovano nella locanda: Encolpio e Ascilto riprendono a litigare ancora per Gitone, che alla fine fa la sua scelta e preferisce il secondo. Encolpio rimane nella disperazione e, covando truci propositi di vendetta e far sbollire la rabbia, si reca, da buon intellettuale, a visitare una pinacoteca. Qui incontra Eumolpo, uomo vizioso ma innamorato della poesia, che come al suo solito cattura il giovane e lo costringe a conversare sulla decadenza delle arti e la corruzione dei costumi (proprio lui che, quando era militare in Asia Minore, una notte dovette farsi in quattro per soddisfare gli appetiti sessuali di un insaziabile giovincello...). E nella sosta davanti a un quadro che lo ispirava particolarmente, il nostro maturo ex soldato non si lasciò sfuggire la ghiotta occasione di declamare i suoi versi, suscitando l'immancabile reazione a sassate degli altri visitatori.

 

Stretta amicizia col nuovo personaggio, Encolpio, che nel frattempo ha riallacciato il legame amoroso con Gitone, decide di fare con lui un viaggio per mare, in compagnia dell'imperterrito declamatore di versi (Ascilto, dal canto suo, scompare a questo momento dalla narrazione, o almeno da quello che ci resta). Sulla nave, però, scoppia la solita violenta baruffa, perché i due giovani  - inutilmente mascheratisi da schiavi -  si ritrovano davanti proprio a due loro creditori, nientemeno che i padroni della nave (i due dissoluti e ricchi coniugi Lica e Trifena), coi quali avevano avevano ancora da regolare un vecchio conto. Tornata la calma, segue un banchetto riparatore, durante il quale l'assillante poeta Eumolpo narra la novella della matrona di Efeso: una gagliarda vedova, simbolo della fedeltà e del perbenismo, che però finisce col concedersi ad un soldato proprio sulla tomba del marito...

 

Ora la narrazione subisce una svolta imprevista e drammatica. Una tempesta spinge la nave sulle coste di Crotone: e i nostri protagonisti si ritrovano naufraghi, laceri e senza un soldo. In un cadavere gettato dalle onde sulla riva, Encolpio riconosce Lica, il padrone della naufragata nave suo creditore; e fingendo ipocrita commozione, intona per lui, unico personaggio del romanzo toccato dalla maestà della morte, un triste lamento sulla sorte degli uomini.

A Crotone, per tirare avanti, i due ragazzi-amanti organizzano, manco a dirlo, la loro ennesima truffa con la complicità di Eumolpo. Costui, infatti, venendo a sapere che in quella città vi sono molti cacciatori di eredità (attività molto diffusa nel mondo romano dell'epoca), per farsi accogliere benevolmente da tutti e adeguatamente sfamato, si presenta alla cittadinanza come un uomo dotato di grandi ricchezze e senza eredi, mentre Encolpio e Gitone si fanno passare per suoi servi. In questo strano frangente, Encolpio s’innamora di una ricca e bella donna. L’atto concreto dell'amore, però, gli è negato dalla persecuzione del dio Priapo, che si vendica delle vecchie offese togliendogli la virilità: per recuperare la quale il giovane fa anche ricorso a pratiche di magia.

Intanto, mentre i creduloni che avevano abboccato alla truffa scoprono l'inganno, Eumolpo, per sbarazzarsi dei cacciatori di eredità, dichiara solennemente in testamento che lascerà tutti i suoi beni a chi avrà il coraggio di sbranare il suo cadavere e cibarsi delle sue carni... Stranezze dei tempi.

 

Qui s’interrompe quel che ci resta del romanzo di Petronio.

6)  Il genere letterario in cui si inserisce il Satyricon:

  Queste le principali ipotesi avanzate dalla critica e le obiezioni che ad esse sono state mosse:

a.  il Satyricon sarebbe una parodia del “romanzo” greco d’amore e d’avventura, un genere di gran moda nel periodo ellenistico, caratterizzato da una estrema ripetitività di trame e di situazioni e da una idealizzazione dell’amore che non ha precedenti nella letteratura greca, soprattutto per quanto riguarda il rispetto della castità e della reciproca fedeltà, sentiti come valori fondamentali per la vita di coppia (soprattutto per la donna). Petronio avrebbe costruito un romanzo antifrastico rispetto a questo genere, con l’intento di ridicolizzarlo e di smascherarne la povertà inventiva (la stessa operazione tentata da Lucano nei confronti dell’epos e, in epoca più recente, da Cervantes nei confronti del romanzo cavalleresco con il “Don Chisciotte”).

    Obiezioni: il Satyricon non ricalca tutti i tòpoi del romanzo greco (sia pure in chiave parodica); due esempi: la coppia Encolpio-Gìtone appare quasi sempre insieme, mentre nel romanzo greco è di regola separata dal destino e si ricongiunge soltanto alla fine; la struttura narrativa del romanzo greco è del tipo lineare, “a superamento di ostacoli”, mentre quella del Satyricon è labirintica, “a trappole”, in quanto ogni apparente superamento di ostacolo si rivela come una nuova trappola.

    Inoltre il Satyricon, se Petronio è da identificare con il cortigiano di Nerone, è anteriore rispetto a quasi tutti i romanzi greci a noi noti: la maggior parte di essi, infatti, appartiene al II sec. d.C. (seppure siano stati scoperti frammenti di un paio di romanzi di epoca precedente).

    L’ipotesi sarebbe dunque da respingere quanto meno per ragioni cronologiche.

 

b.  Il Satyricon sarebbe da inserire, come le Metamorfosi di Apuleio, nel genere della fabula Milesia, una forma narrativa anch’essa molto in voga nel periodo ellenistico, alla quale aveva conferito dignità letteraria Aristìde di Mileto (II a.C.), e che era stata introdotta in Roma da Cornelio Sisenna (II-I a.C.). Si trattava di “short stories” di contenuto per lo più osceno, agli antipodi del romanzo greco per quanto riguarda la concezione dell’amore e del sesso: qualcosa di molto simile alle novelle del “Decameron” di Boccaccio.

    Dunque si tratterebbe di una ripresa consapevole e “seria” di un genere escluso dalla cultura ufficiale in quanto troppo scandaloso, una sorta di anticipazione di quella che sarà la successiva letteratura “picaresca” (cfr. il “Lazarillo de Tormes”, di autore anonimo).

    Obiezioni: il Satyricon ha un’estensione incommensurabile rispetto alla fabula Milesia; inoltre, mentre nelle Metamorfosi e nel “Decameron” è evidente la funzione di “cornice” assegnata alla narrazione principale (una cornice che, comunque, ha un’importanza molto maggiore in Apuleio che in Boccaccio), nulla di simile sembra trasparire dal frammento del Satyricon in nostro possesso: da esso si ricava anzi che la vicenda centrale, quella alla quale l’autore riservava l’attenzione di gran lunga maggiore, è proprio quella del protagonista-narratore Encolpio. La Milesia è un genere che Petronio conosce ed apprezza, ma che cita solo occasionalmente e sporadicamente (cfr. le due Milesiae inserite nel frammento): da nessun punto di vista si può affermare che il racconto complessivo risulti da una serie di Milesiae legate fra di loro da una sorta di fil rouge. Occorre tuttavia osservare che di recente sono stati scoperti frammenti di interi romanzi osceni (cfr. quello di Lolliano di Efeso), che probabilmente coesistevano con quelli “casti” d’amore e d’avventura. Quindi l’ipotesi conserva, nonostante tutto, una sua plausibilità.

 

c.  Il Satyricon sarebbe una satira menippea, come l’Apokolokyntosis di Seneca: infatti la forma prosimetrica, l’alternanza dei registri stilistici, la varietà dei tipi umani, la struttura narrativa “a blocchi” sono tratti che rimandano inequivocabilmente a tale genere letterario.

    Obiezioni: se è certamente vero che Petronio si riallaccia formalmente al genere della “menippea”, è però altrettanto vero che, sul piano dei contenuti e della struttura narrativa globale (non foss’altro per l’estensione dell’opera), se ne discosta decisamente; manca inoltre un elemento fondamentale della “menippea”, e cioè un’intenzione satirica unificante; non esiste, in altre parole, un unico bersaglio satirico.

 

d.  Il Satyricon potrebbe configurarsi come un ardito esperimento letterario che preluderebbe in qualche modo all’Ulyxes di Joyce: si tratterebbe infatti, secondo alcuni critici, di un rifacimento ironico dell’Odissea, con tanto di persecuzione da parte della divinità offesa, naufragi, incontri con grandi seduttrici (cfr. Circe, alla quale Encolpio si presenta con lo pseudonimo di Polièno, che è uno degli epiteti fissi di Odisseo), etc. L’eroe, però, è tanto amèchanos quanto invece Odisseo è ingegnoso e padrone della situazione: la sua impotenza fisica starebbe quindi a simboleggiare una situazione globale di impotenza a fronteggiare il proprio destino.

    Obiezioni: la prospettiva, per quanto affascinante, appare riduttiva; il Satyricon non è solo, e comunque non è principalmente, una parodia dell’Odissea: come spiegare ad esempio, in quest’ottica, la cena di Trimalcione?

    In conclusione: allo stato attuale delle nostre conoscenze, il Satyricon non è riconducibile ad alcun genere letterario in particolare; potrebbe tuttavia configurarsi come una geniale e consapevole rielaborazione di diversi generi.

 

7) Qual era la destinazione del Satyricon? Per quale pubblico fu scritto?

Va scartata subito l’ipotesi che esso sia stato scritto per il grosso pubblico: si tratta di un’opera troppo colta ed allusiva per essere compresa e goduta dalle “persone comuni”.

Le ipotesi si riducono dunque a due, e per di più opposte:

a.  il Satyricon è stato scritto per la corte neroniana. Ammesso che l’autore sia il cortigiano di Nerone, troppo spesso ci si lascia condizionare dalla sua morte e si dà per scontato che egli sia sempre stato, in segreto, un oppositore di Nerone. Questo potrebbe non essere vero, e comunque non va dimenticato un dato di fatto: Petronio era l’elegantiae arbiter alla corte del princeps, con il quale lo accomuna una evidente tendenza a concepire la vita in chiave estetizzante;

 b.  il Satyricon fu scritto per l’élite degli intellettuali dell’opposizione, che vi avrebbero decifrato allusioni satiriche all’ambiente della corte neroniana (per esempio nella cena di Trimalcione). Bisogna però ammettere che riesce davvero arduo immaginare gli esponenti dell’opposizione stoica alle prese con una materia così scabrosa.

 

8)  Esiste nel Satyricon un messaggio? Qual è il significato dell’opera?

     Sono state proposte dalla critica le seguenti ipotesi:

a.  si tratterebbe di una satira della società contemporanea; in particolare, c’è chi ha visto in Trimalcione la controfigura di Nerone.

    Se così fosse, si tratterebbe di una satira mutila della sua componente principale: un ideale positivo da contrapporre alla negatività sociale; non sembra infatti che traspaia dal Satyricon il benché minimo intento di edificazione morale.

b.  il romanzo potrebbe avere, come le Metamorfosi di Apuleio e la “Divina Commedia” di Dante, una duplice chiave di lettura: fruibile anche come semplice e spensierato racconto d’avventure e di sesso da parte di chi non intenda scendere al di sotto della superficie del testo, potrebbe avere un significato allegorico più profondo, comprensibile solo a lettori forniti di determinati strumenti interpretativi. Se anche così fosse, però, lo stato lacunoso del testo ci impedisce di formulare qualsiasi ipotesi attendibile circa questo presunto significato allegorico.

c.  il significato dell’opera si ridurrebbe tutto ad una gigantesca parodia della vita e della letteratura (di qui le allusioni cólte): una parodia terribilmente ambigua, enigmatica, dalla quale non si ricaverebbe altro messaggio se non quello dell’assoluta insensatezza di tutto ciò per cui l’uomo vive.

d.  si tratterebbe di un puro divertissement letterario: un lusus raffinato, espressione della straordinaria fantasia di un autore di genio. Esso non intenderebbe trasmettere alcun messaggio e non avrebbe altro significato che quello della propria straordinaria godibilità.

 

Elementi di rilievo:

1)  La continua commistione di elementi vitali e di elementi mortiferi (esempi: il finto funerale di Trimalcione durante la cena; il sesso nella tomba ne “La matrona di Efeso”; la prescrizione di mangiare il cadavere di Eumolpo; la stessa impotenza di Encolpio, elemento di morte nel contesto della più elementare affermazione di vitalità maschile): si noti come questa caratteristica si ritrovi anche nella scena del “suicidio gaudente” di Petronio descritta da Tacito;

2)  il contrasto fra docti e indocti, che dal punto di vista pratico vede vincenti i secondi, in quanto in grado di interpretare il linguaggio delle cose che costituiscono “trappole” per gli uomini di cultura;

3)  la polemica col mondo della cultura tradizionale ed in particolare l’affermazione della decadenza dell’eloquenza (cfr. il Dialogus de oratoribus pseudo-tacitiano): il retore Agamennone giudica l’insegnamento impartito nelle scuole di retorica assolutamente inadeguato a preparare i giovani alla vita; quando questi si trovano a contatto con la realtà, hanno l’impressione di essere sbalestrati in un altro pianeta;

4)  l’affermazione della decadenza dell’arte, in particolare della decadenza delle arti figurative a causa della sete di denaro;

5)  la presenza di un breve poemetto sulla presa di Troia, una Troiae halòsis, componimento di moda all’epoca di Nerone: lo stesso Nerone ne aveva scritto uno;

6)  la presenza di un esempio di poema sulla guerra civile, un Bellum civile di impianto tradizionale e in velata polemica con il Bellum civile di Lucano;

7)  l’affermazione sociale dei liberti ignoranti ma ricchi: già sotto Claudio i liberti avevano acquistato molto potere;

8)  la presenza di novelle: tre nella cena di Trimalchione (“Il vetro infrangibile”, “Il lupo mannaro”, “La streghe e il manichino di paglia”); due fabulae Milesiae (“La matrona di Efeso” e “Il fanciullo di Pergamo”).


Approfondimento sui contenuti del Satyricon

Fonte: http://www.latinovivo.com/schedeletteratura/petronio.htm