La peste nera

Epidemia di peste bubbonica che, originatasi nelle steppe dell'Asia centrale e da lì propagatasi in Cina e in India, dilagò in Europa dal 1347 con effetti devastanti.

Diffusione della peste nera

I cronisti asiatici dell'epoca indicarono, come causa dell'epidemia, disastri naturali: furono certamente mercanti occidentali che portarono il morbo della malattia, infettando le rotte abitualmente battute nel Medio Oriente e nel Mediterraneo. Nel 1347 colpì Costantinopoli; subito dopo a Messina si ebbe la prima manifestazione dell'epidemia in Europa, che nell'estate del 1348 dilagò in Italia e in Francia, e da lì toccò le coste meridionali dell'Inghilterra, e il resto d'Europa, dove imperversò per oltre tre anni.

La violenza dell'epidemia lasciò sgomenti gli osservatori contemporanei, testimoni spesso della totale scomparsa della popolazione di un luogo. Mai, prima o dopo d'allora, una calamità fece tante vittime umane: dello stupore angosciato dei superstiti resta testimonianza in molti scritti, a cominciare dal Decameron di Giovanni Boccaccio, secondo il quale Firenze era tutta un sepolcro. Molti, come Francesco Petrarca, fuggirono questi orrori rifugiandosi in luoghi isolati e salubri. Le stime di mortalità del 90%, comuni tra i contemporanei, sono state tuttavia ridimensionate dalla ricerca moderna, e attribuite alla carenza di indagini affidabili; si è potuto in ogni caso verificare che nelle zone più colpite perì oltre il 50% della popolazione. Dopo la tragica estate del 1348 la popolazione fiorentina si era presumibilmente ridotta da 90.000 a meno di 45.000 abitanti, mentre a Siena su 42.000 cittadini ne erano sopravvissuti non più di 15.000.

Le reazioni alla peste nera

La gente dell'epoca era impreparata a reagire alla malattia; poiché si ignoravano le ragioni scientifiche del contagio, si speculava molto sulle cause dello scoppio dell'epidemia, individuate da alcuni in un inquinamento atmosferico agente attraverso un invisibile quanto letale miasma proveniente dal sottosuolo, liberato da terremoti di cui si aveva avuto notizia. Le scarse cognizioni igieniche – la presenza di scolmatori e immondezzai a cielo aperto era normale nelle città europee del Trecento – favorivano la diffusione del contagio, soprattutto nelle aree urbane, dove i governi adottarono sistemi per far fronte alla malattia, pur ignorando le cause reali. Oltre a incoraggiare l'adozione di misure d'igiene personale particolarmente accurate, posero restrizioni ai movimenti di persone e merci, prescrivendo poi l'isolamento dei malati o il loro trasferimento nei lazzaretti, l'immediato seppellimento delle vittime in fosse comuni appositamente preparate fuori dalle mura, e la distruzione col fuoco dei loro vestiti. Poiché si pensava che l'aria infetta fosse contagiosa, si diffusero rimedi empirici come il bruciare erbe aromatiche o indossare mazzolini di fiori profumati (similmente nel corso di epidemie successive si credette che il fumo del tabacco fosse un rimedio efficace). Tra gli effetti dell'epidemia, importanti furono quelli che investirono i modelli tradizionali di comportamento.

In tutta Europa la Chiesa e i moralisti in genere erano convinti che la peste nera fosse una punizione divina per i peccati compiuti dall'umanità, e per questo predicavano la rinascita morale della società, condannando gli eccessi nel mangiare e nel bere, i comportamenti sessuali immorali, l'eccessivo lusso nell'abbigliamento; in questo contesto non meraviglia la popolarità acquisita dal movimento della Congregazione dei flagellanti. Si sviluppò tuttavia anche una corrente di pensiero opposta, propria di quanti ritenevano che se la malattia colpiva indiscriminatamente buoni e cattivi, tanto valeva vivere nel modo più intenso e sfrenato possibile.

Per quanti cercavano spiegazioni facili alla propagazione della malattia, colpevoli erano gli emarginati della società: in alcune zone vagabondi e mendicanti furono accusati di contaminare la popolazione residente; in altre gli "untori" vennero individuati negli ebrei, fatti così oggetto della furia popolare.

Conseguenze della peste nera

È probabile che appena prima dello scoppio dell'epidemia, la popolazione medievale europea avesse raggiunto il più elevato livello demografico; gli effetti della peste dovettero dunque essere immediatamente evidenti: fu improvvisamente eliminata l'eccedenza di forza lavoro agricola, alcuni villaggi si spopolarono e gradualmente sparirono, molte città persero la loro importanza, mentre crebbe il numero dei terreni rimasti incolti. Anche le razzie di soldatesche sbandate o di ventura favorirono una vasta ondata migratoria dalle campagne verso le città. Se a Firenze, passata l'epidemia, la popolazione era stimata fra i 25.000 e i 30.000 abitanti, già nel 1351 era salita a 45.000 unità per toccare le 70.000 persone trent'anni dopo. Nelle decadi che seguirono i salari aumentarono e le rendite dei proprietari terrieri scesero, segno della difficoltà di trovare mano d'opera e tenutari; in certo senso i vivi beneficiarono dunque della moltitudine di morti sofferta.

La presenza della peste in Europa rimase endemica nei tre secoli successivi, per poi scomparire gradualmente, da ultimo in Inghilterra, dopo la "grande peste" del 1664-1666, per cause che rimangono senza spiegazione.