Temi nuovi, problemi di sempre
La narrativa più recente di Calvino pone problemi interpretativi non
facilmente solubili, che riguardano innanzi tutto i limiti esatti del
pessimismo e dello scetticismo cui lo scrittore approda nell'ambito della
sua ricerca etico-conoscitiva, dopo aver abbandonato già da tempo
l'obiettivo di assegnare all'intellettuale il compito di interagire
direttamente con la realtà politico-sociale. Calvino muove, com'è noto,
dalle prese di posizione contenute soprattutto nella Sfida al labirinto,
da cui abbiamo preso le mosse. Il ruolo dell'intellettuale nei limiti
delle sue competenze e forze è quello - semplifichiamo - di individuare
dei modelli teorici, etici e conoscitivi, in grado di fondare l'agire
pratico o almeno di comprendere la realtà nel suo disordine e quindi di
dare un senso all'esistere.
Dopo la Giornata di uno scrutatore, all'incirca in coincidenza col suo
trasferimento a Parigi, Calvino si apre ad una stagione narrativa nuova
per motivi, forme espressive e influssi culturali. Il dato immediatamente
percepibile è la presenza sempre più fitta di elementi di molteplici
discipline scientifiche (dalla fisica alla biologia, dall'epistemologia
all'antropologia, dallo strutturalismo alla semiotica). A questo proposito
il nostro discorso deve di necessità farsi molto sommario: non è certo
questa la sede per un'investigazione e neppure per un catalogo delle
prospettive euristiche cui Calvino, lettore onnivoro, attinge. È opportuno
però puntualizzare un fatto: tutte le discipline cui Calvino mostra di
essersi accostato lasciano tracce anche vistose nella sua opera narrativa,
ma incidono sul suo orientamento ideologico e culturale forse non così in
profondità come si potrebbe pensare. Calvino amplia le prospettive ma per
molti versi si mostra anche fedele ai problemi di sempre e in particolare
a quelli etico-conoscitivi enunciati negli scritti sopra citati. Ha
scritto Roscioni: «Non credo che Calvino si sia mai molto interessato alla
scienza in sé. Il suo problema era come utilizzare i metodi e i linguaggi
della scienza, come tradurli in letteratura».
La fase fantascientifica
Se prendiamo le Cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967) riscontriamo via
via palesi suggestioni di fisica, astrofisica, biologia, genetica,
biochimica ecc. Ma Calvino in concreto facendo commentare a Qfwfq varie
ipotesi scientifiche (ad esempio sull'origine dell'universo, dello spazio
e del tempo) mostra di proiettarsi ancora di preferenza sul problema dei
rapporti umani e sociali. Lo stesso Qfwfq, improbabile e mutevole essere
vecchio quant'è vecchio il mondo, sempre in grado di dir la propria, per
esperienza diretta, sulle più astratte ipotesi e sui fenomeni più remoti e
lontani, appare un «nuovo Marcovaldo». I temi di fondo della raccolta così
«si rivelano essere quelli calviniani di sempre, vale a dire i rapporti
tra soggetto e oggetto colti nella dimensione non più storica ma
conoscitiva: solo [...], straniato [...], insicuro e frustrato, Qfwfq
constata la differenza tra la scoperta di un paradigma scientifico e
l'effetto che esso produce nella vita» (Benussi). Il rapporto è in parte
capovolto negli ultimi racconti di Ti con zero, dove non compaiono
protagonisti fantascientifici, ma persone comuni che di fronte ai problemi
concreti (come evadere da una prigione, come sfuggire all'inseguimento di
un killer) tentano di applicare dei paradigmi scientifici alla loro
soluzione. Il senso profondo però non cambia. La ragione, la scienza fino
a che punto possono incidere nella vita dell'uomo, nei suoi rapporti
(pratici) col mondo? È dalla ragione e dalla scienza che possiamo
attenderci quelle risposte significative che gettino una prospettiva nel
labirinto dell'esistenza?
Il ricorso alle suggestioni scientifiche costituisce insomma
un'investigazione a vasto raggio dei campi di conoscenza che l'uomo va
esplorando e dei metodi che va mettendo a punto per vedere se caso mai da
queste discipline venga la risposta al problema di fondo: dare un senso
all'esistere, nel palese contrasto tra spinte biologiche ed esigenze
razionali. E tutta questa stagione narrativa con i suoi temi e motivi ne
costituisce l'ultima grande metafora. In particolare, dalla Giornata di
uno scrutatore in poi «lo scrittore appare dominato da un'ossessione
mentale: il significato e il valore dell'azione, o più largamente del
movimento vitale. Come per una sorta di coazione a ripetere, si accumulano
le variazioni su un unico tema, l'ansia di possedere la realtà» (Spinazzola).
L'ansia è sistematicamente frustrata, la risposta ai quesiti è in sostanza
sempre negativa, ma la ricerca non si interrompe.
La fase combinatoria
Con Il castello dei destini incrociati si inaugura il periodo cosiddetto
combinatorio, in cui Calvino si mostra prevalentemente influenzato
nell'immaginazione e nella strutturazione dei suoi racconti dalla
semiotica e dallo strutturalismo. Dato un mazzo di tarocchi, Calvino
ipotizza le possibili combinazioni tra le carte-personaggi che diventano
un certo numero (elevato ma finito) di storie. Il problema di una
conoscenza ordinata, di un dominio razionale del reale sembra così trovare
momentaneamente un fondamento rassicurante nella nozione che tutte le
storie, come tutti i fenomeni, siano il prodotto di un numero limitato di
combinazioni di dati e fatti, che alla base del disordine fenomenico
stiano delle strutture profonde capaci, una volta individuate, di fornire
il modello del mondo e della realtà.
Modalità narrative (di tipo combinatorio) e problemi conoscitivi simili
sono alla base anche delle Città invisibili (1972) e di Se una notte
d'inverno un viaggiatore (1979). Nel primo libro, forse il prodotto più
felice di questa fase fortemente intellettualistica, c'è un racconto a
cornice in cui si confrontano Kublai Khan e Marco Polo (il modello
narrativo esplicito è il Milione e in genere la narrativa antica di
viaggi): Kublai tramite le relazioni dei suoi ambasciatori e di Marco
cerca di dominare il suo immenso impero, che non conosce direttamente, e
Marco, a differenza degli altri aridi relatori, gli racconta storie
affascinanti e misteriose di città reali e fantastiche, avvincendolo. Il
problema di fondo, come si vede, è il medesimo pur nella sua concreta
attualizzazione di un'investigazione delle città dell'impero, che è
metafora della società e del mondo. Quella che Calvino compie attraverso
la narrazione di Marco Polo è una catalogazione ordinata del disordine
reale: la narrazione si dipana entro confini delimitati (anche qui è
applicato un modello combinatorio: il numero delle città è finito e queste
sono divise in insiemi distinti) ma le città nei loro connotati concreti
sono un esempio della fluidità e dell'indeterminatezza del fenomenico, che
dal campo dell'esperienza concreta si apre senza soluzione di continuità a
quello dell'esperienza puramente mentale (il sogno, il desiderio).
Nel secondo libro ci si sposta dal campo del reale a quello della
letteratura, ma anche in questo caso la dinamica non muta: la vicenda
della cornice narra di una lettrice alla ricerca di quello che in
definitiva appare il libro dei libri, il libro che consenta la spiegazione
del mondo, libro che naturalmente si nega, lasciando lo spazio solo a una
serie di capitoli interrotti di tanti libri diversi, che costituiscono al
tempo stesso un catalogo di possibili temi e modelli narrativi di Calvino.
Palomar
Che in questo passaggio ci sia un progressivo abdicare alle speranze di
trovare una risposta definitiva al quesito di fondo è assai probabile: il
passaggio stesso dal campo dei problemi reali a quello dei problemi
letterari e dalle discipline scientifiche alla narratologia (di cui in Se
una notte è palese l'influsso) determina, secondo alcuni, una sorta di
ripiegamento e di progressiva rinuncia. In Palomar il protagonista delle
meditazioni si mostra alle prese con problemi conoscitivi nuovamente reali
e concreti ma sempre più limitati (determinare le ragioni del moto di una
singola onda, conoscere nei dettagli la composizione del prato del proprio
giardino, ecc.), che pure risultano insolubili e costantemente frustranti.
Ha scritto la Benussi: «Palomar attraversa in maniera patetica e talvolta
esilarante il sapere universale prima di naufragare: tanta fatica per
dimostrare la vanità del sapere così come lo usa o per dimostrare la
vanità del sapere tout court? Scetticismo e curiosità infinita per lo
scibile umano accumulato nei secoli sono le doti che uno scrittore deve
comunque possedere, e proprio questa ostinazione a stabilire relazioni tra
discorsi metodi e livelli è il testamento che avrebbe voluto lasciare: "La
conoscenza come molteplicità è il filo che lega le opere maggiori, tanto
di quello che viene chiamato modernismo quanto di quello che viene
chiamato postmodern, un filo che - al di là di tutte le etichette vorrei
continuasse a svolgersi nel prossimo millennio" (Calvino)».
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