Ernesto Guevara

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                                                                         L'internazionalismo rivoluzionario.
                                                                         La morte del che.
Dagli Stati Uniti il "Che" parte in un viaggio che durerà tre mesi: Africa, Cina, Parigi, Praga, Irlanda. Sessanta giorni li trascorre ininterrottamente in Africa e Medio Oriente: Congo, Guinea, Ghana, Algeria, Egitto, Angola. Per Guevara "l'Africa è uno dei più importanti campi di battaglia contro tutte le forme di sfruttamento esistenti nel mondo, contro l'imperialismo, il colonialismo e il neocolonialismo". In quelle settimane matura la decisione di partecipare in prima persona al conflitto che si sta svolgendo in Congo. Nel viaggio a Pechino cerca di smussare la diffidenza cinese nei confronti di Cuba e riscontra l'interesse della Cina per quanto sta accadendo in Africa. I primi incontri con i rivoluzionari congolesi sono deludenti. Guevara rimane ben impressionato solo da Laurent Kabila, un giovane di venticinque anni che ha il grado di comandante. Con lui si trova politicamente in sintonia nel considerare il Congo un "problema mondiale": una vittoria delle forze progressiste avrebbe avuto ripercussioni sull'intero continente africano. In Congo ormai da tre mesi, non riuscirà a incontrarlo e l'episodio contribuirà al suo progressivo scoraggiamento. Il 25 febbraio il "Che" svolge il suo discorso al Secondo seminario economico di solidarietà afroasiatica che gli vale la definitiva scomunica di Mosca e i rimbrotti di Castro quando fa ritorno a L'Avana. Con l'accordo di Castro, Guevara mette a punto la sua partenza per il Congo, nel quale dovrà guidare un gruppo di guerriglieri cubani che da qualche tempo si stanno addestrando per questa missione. Quanto accade nei mesi successivi è annotato scrupolosamente nei diari di Guevara, ma la loro versione integrale non è mai stata pubblicata. Dalle pagine che sono state rese note si apprende come il dirigente della rivoluzione cubana rimanga sempre più deluso dalla situazione congolese e dai movimenti di quel paese che lottano per l'indipendenza. La missione si rivela un'amara sconfitta politica e militare, nonostante i contatti e gli aiuti che vengono da Cuba. Le difficoltà logistiche e militari prendono il sopravvento, la rivalità tra Cina e Urss finisce per paralizzare i movimenti guerriglieri fino a rendere del tutto marginale la presenza di Guevara sul campo di battaglia. Il "Che" si rende conto (lo scrive nei suoi diari) dell'inutilità di permanere a oltranza in quel paese. A fine novembre abbandona il Congo. Il 25 di quello stesso mese Joseph Mobutu, capo delle forze armate, si insedia al potere stroncando ogni ipotesi rivoluzionaria. Il suo regime crolla solo nella primavera del 1997. Prima di partire per l'Africa il "Che" scrive alcune lettere che hanno il sapore dell'addio: una è per Castro, una è per i genitori, una è per i figli. Ad Aleida lascia un nastro registrato in cui recita alcune poesie d'amore di Pablo Neruda. Il 15 aprile, mentre è già in viaggio per l'Africa, la rivista delle forze armate "Verde olivo" pubblica un saggio di Guevara dal titolo "Il socialismo e l'uomo a Cuba", nel quale sono fissate le idee di politica interna e di politica estera del ministro dell'industria che sta per abbandonare tutti i suoi incarichi dirigenti a L'Avana. L'assenza del "Che" a Cuba scatena una ridda di voci e di preoccupazioni. Il 20 aprile Castro si limita a commentare che Guevara sta bene e si trova "dove è più utile alla rivoluzione". In molti pensano che possa essere stato arrestato e rinchiuso in un carcere a causa delle sue posizioni politiche, che probabilmente divergono da quelle di Castro e del gruppo dirigente cubano. Anche la madre Celia è preoccupatissima per la sorte del figlio, mentre le sue condizioni di salute si aggravano: gli scrive chiedendo di incontrarlo. Muore senza che venga esaudito il suo ultimo desiderio (il padre, Guevara Lynch, morirà a L'Avana molti anni dopo, nel 1987). Solo nell'ottobre del 1965 Fidel rende pubblica la lettera con cui Guevara gli ha comunicato la decisione di lasciare l'isola. Dopo la sconfitta in Congo, il "Che" si rende conto che non può tornare a occupare i suoi ruoli di responsabilità a L'Avana. La notizia di lasciare per sempre l'isola è stata resa ufficiale e lui medita una nuova destinazione di lotta in un paese dell'America Latina. Del suo destino si occupa la rete dei servizi cubani alle dipendenze di "Barba Roja" Piñeiro, che lo assiste in un rifugio provvisorio in Tanzania dove viene raggiunto nel gennaio 1966 dalla moglie Aleida. In quei mesi Guevara inizia a scrivere un libro sulla sua esperienza in Congo e riprende il progetto di stendere in forma compiuta i suoi appunti filosofici e economici. Da L'Avana arriva la decisione che il "Che" deve recarsi a Praga, considerato un rifugio molto più sicuro della Tanzania. In quelle settimane Fidel Castro insiste per riaverlo a Cuba, anche se la politica della rivoluzione ha nuovamente smussato le incomprensioni con l'Unione Sovietica mentre la presenza dell'ex ministro dell'industria avrebbe potuto riaccenderle. Guevara accetta, a condizione che il suo ritorno rimanga del tutto segreto. La richiesta viene esaudita. Nel maggio 1965 e nel gennaio 1966 (in quel periodo si svolge la Prima conferenza tricontinentale dei movimenti di liberazione di Asia, Africa e America Latina) Castro rilancia le sue critiche nei confronti della "coesistenza pacifica" praticata da Usa e Urss. Con un pizzico di polemica, il 1966viene dichiarato a Cuba "anno della solidarietà": la rivoluzione si impegna a sostenere tutte le cause dei popoli oppressi. Fidel sfrutta sapientemente anche le divergenze tra Mosca e Pechino per lanciare l'idea di un terzo polo del movimento comunista internazionale: L'Avana, secondo le sue intenzioni, può diventare il punto di riferimento dei popoli del Terzo Mondo. Queste mosse di Castro sono tattiche, o sui suoi proclami pesa il riavvicinamento con il "Che"? Guevara, che è rientrato a Cuba in incognito, cerca di mettere a punto una spedizione rivoluzionaria in America Latina. La scelta si concentra sulla Bolivia, dove i militari hanno deposto il presidente Victor Paz Estenssoro. Per quella soluzione opera direttamente Castro, che la ritiene la più opportuna per dare il via a un "foco" guerrigliero che potrebbe estendersi fino ad Argentina, Venezuela e Colombia: per questo incontra ripetutamente Mario Monje, segretario del Partito comunista boliviano, che si dimostra però scettico sulla possibilità che Guevara vada con i suoi guerriglieri in Bolivia. L'idea che si fa strada nel "Che" è quella di "creare due, tre, molti Vietnam". Il suo quartier generale per i preparativi del trasferimento in Bolivia diventa la zona di Pinar del Rio, la punta occidentale dell'isola. Con lui ci sono alcuni uomini che lo hanno accompagnato sulla Sierra Maestra negli anni della guerriglia cubana e seguito perfino in Congo: Harry Villegas (da tutti chiamato "Pombo"), Carlos Coello, José Maria Tamajo, Octavio de la Concepción, Israel Reyes Zayas. Si aggiungono al gruppo i boliviani Coco e Inti Peredo (che hanno abbandonato in dissenso il partito comunista del paese d'origine), Vesquez Viana. Tamara Bunke sta già operando in incognito dai primi mesi del 1966 a La Paz, dove è riuscita a ottenere un lavoro e la cittadinanza grazie a un matrimonio di convenienza. La raggiunge molto presto Tamajo, che ha il compito di preparare le condizioni logistiche per l'insediamento dei guerriglieri. Nel Partito comunista boliviano la prospettiva dell'arrivo dei combattenti cubani acutizza le divisioni tra filocinesi e filosovietici: sono i primi i più convinti della necessità di appoggiare la guerriglia, anche se il "Che" rifiuta di schierarsi con gli uni o con gli altri. Dei contatti con i comunisti boliviani si occupa in una seconda fase Regis Debray, giovane intellettuale francese entrato nelle grazie di Castro e soprattutto del "Che". La zona prescelta da Guevara in Bolivia è in un primo momento l'Alto Beni, dove - secondo le informazioni che ha ricevuto - potrebbe contare sull'aiuto dei contadini e su una vegetazione che avrebbe favorito i movimenti clandestini dei suoi uomini. Poi, su consiglio di Monje, sceglie la zona di Nacahuasu. I rapporti tra l'ex ministro dell'industria di Cuba e i comunisti boliviani si deteriorano già nel settembre del 1966, mentre sono allo studio i preparativi della missione: non c'è convinzione rispetto all'avvio dell'insurrezione e il partito vuole controllare ogni mossa di quello che può accadere sul campo di battaglia. Guevara reagisce cercando di ottenere l'appoggio sia di Mosca che di Pechino (tenta di convincere Monje a recarsi in Unione Sovietica; invia una lettera personale a Chu En Lai, il prestigioso ministro degli esteri cinese che ha conosciuto nel suo viaggio a Pechino). Il "Che" giunge a La Paz il 3 novembre 1966, dopo un viaggio lunghissimo: Parigi, Mosca, Praga, Madrid, San Paolo. Sul suo passaporto reca il nome di un cittadino uruguaiano: Adolfo Mena González che avrebbe il compito ufficiale di stendere un rapporto sulla situazione socio-economica della Bolivia su richiesta dell'Organizzazione degli Stati americani. Prima di partire è andato a salutare i figli (Aleidita, Camilo, Celia e Ernesto avuti da Aleida March e Hildita avuta da Hilda Gadea) fingendosi Ramón, un amico di loro padre (il trucco lo ha invecchiato e gli ha prodotto una incipiente calvizie). Nelle settimane precedenti - presentato da Castro ad altri dirigenti in occasione di un ristretto ricevimento - è riuscito a non farsi riconoscere neppure dagli amici più stretti. Le ultime ore a L'Avana le ha passate con sua moglie Aleida e con Castro. Quando Guevara incontra Monje in Bolivia, il 31 dicembre 1966, il dissidio si rivela non ricomponibile: il segretario dei comunisti boliviani chiede la direzione politica dell'attività guerrigliera, proponendo una miscela tra iniziative legali e illegali. In pratica vuole il controllo politico delle azioni del gruppo al comando del "Che": una richiesta inaccettabile. Questa frattura costituisce un primo handicap per la guerriglia: ne accentua l'isolamento e le impedisce di lavorare alla più ampia unità del fronte della sinistra boliviana. Il gruppo di guerriglieri resta composto da sedici cubani, trenta boliviani, due argentini e tre peruviani. Castro scrive a Guevara: "Si è completata l'équipe cubana con successo; il morale della gente è buono e ci sono solo piccoli problemi. I boliviani vanno bene, anche se sono pochi. L'attitudine di Monje può da un lato ritardare lo sviluppo dell'azione, ma contribuire dall'altro a liberarmi da eccessivi compromessi politici". Tutte le fasi di ciò che accade in Bolivia - dal 7 novembre 1966 al 7 ottobre 1967 - sono raccolte scrupolosamente nel "Diario" di Guevara. Il primo scontro con l'esercito si svolge il 23 marzo 1967, a nord di Camiri, nella zona di Nancahuazu: il conflitto a fuoco è casuale, una pattuglia di militari viene chiamata sul luogo a causa di alcuni movimenti sospetti. I piani del "Che" non prevedono che le autorità boliviane vengano a conoscenza così presto delle sue mosse: avrebbe voluto preparare le condizioni dello scontro per altri nove mesi. Come mai si verifica quell'incidente? Errori logistici di sicuro, ma è anche probabile che nel gruppo vicino ai guerriglieri ci sia qualche delatore. Ormai il governo di La Paz è a conoscenza che un gruppo gerrigliero è presente sul suo territorio: non sa che è agli ordini di Guevara. La prima misura che si adotta nella capitale boliviana è quella di mettere fuori legge il Partito comunista (il provvedimento è datato 11 aprile). Guevara, amaramente, annota nel suo diario che "la base contadina non si sviluppa" e che "le malattie hanno minato la salute di alcuni compagni". Il gruppo guerrigliero - a cui si sono uniti nel frattempo Regis Debray, il pittore argentino Roberto Bustos, il fotografo cileno George Roth - cerca di raggiungere una zona più sicura. Ma a Muyupampa, il 20 aprile, vengono arrestati Debray e Bustos. Quest'ultimo - dopo alcune settimane di carcere - rivela i piani della guerriglia e disegna gli identikit dei suoi protagonisti. Anche Debray, sotto tortura, finisce per parlare ("Debray ha parlato più del necessario", scrive il "Che" nel riepilogo del suo "Diario" nel mese di aprile). Altri scontri con l'esercito si verificano a maggio. Guevara prende nota che non ci sono contatti con La Paz e che il reclutamento dei contadini non fa un passo in avanti. Nella capitale il governo decide di decretare lo stato d'assedio e di arrestare molti esponenti della sinistra. I consiglieri statunitensi - prontamente giunti in Bolivia - iniziano l'addestramento di reparti speciali anti-guerriglia. Il successo più importante per gli uomini di Guevara si verifica il 7 luglio, quando occupano la città di Samijpata, che taglia in due la Bolivia lungo la strada che unisce Cochabamba a Santa Cruz. La controffensiva dell'esercito non si fa attendere e la zona viene riconquistata. Da quel momento in poi isolamento e scoramento vincono sulle possibilità di organizzare l'insurrezione. Il gruppo si è intanto diviso in due. Quello di cui fa parte Tania Bunke viene individuato e sterminato il 31 agosto a Vado del Yeso. Guevara ne ha notizia dalla radio boliviana, ma spera in una montatura e nel possibile ricongiungimento. Nel "Diario" vengono intanto appuntati i sintomi della disgregazione del manipolo guerrigliero che inizia a vagare sulle montagne boliviane senza un piano preciso. Le comunicazioni con L'Avana sono difficili. Il "Che" riceve dei messaggi in codice ascoltando le trasmissioni di "Radio Avana" con la sua radio da campo. Castro, quando ha potuto comunicare con lui, lo ha sempre rassicurato sulla rete di rapporti politici che si sta tessendo a Cuba per non lasciarlo isolato. Resta il fatto che il quartier generale cubano non fa granché per tirare fuori Guevara dal labirinto boliviano: non si organizza una spedizione ad hoc, mentre dalla Bolivia giungono notizie sempre più preoccupanti sulla sorte di quel manipolo di guerriglieri. Non manca certo la solidarietà politica, è però assente quella militare e logistica. Il 10 agosto 1967 - a riprova che Cuba sostiene il tentativo di Guevara - Castro conclude a L'Avana, presso il cinema Chaplin, la prima conferenza dell'Organizzazione di solidarietà latinoamericana: il suo discorso è di pieno appoggio alle guerriglie del continente e di critica rispetto alle prudenze dell'Unione Sovietica. Il "Che" ha indirizzato a quella conferenza un messaggio - attraverso le pagine della rivista "Tricontinental" nel suo numero di aprile - in cui ripropone la sua idea di creare "due, tre, molti Vietnam". Quella conferenza non piace ai movimenti rivoluzionari che si riconoscono nelle posizioni dell'Unione Sovietica. Ed è probabile che il Kgb, il servizio segreto sovietico, abbia concorso dopo quest'episodio ad accrescere l'isolamento del "Che" in Bolivia (Tania Bunke aveva il compito di sorvegliare le sue mosse e di tenere informato il Cremlino?).
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