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La giovinezza. (1928/1954) La rivoluzione cubana. (1955/1959) Il ministro, l'uomo di Stato. (1960/1964) Il ritorno all'azione, la morte. (1965/1967) > La politica cubana L'internazionalismo rivoluzionario. La morte del Che. |
Il 7 ottobre, nell'ultima pagina del "Diario", Guevara scrive: "Si compiono
undici mesi dall'inaugurazione della guerriglia. Giornata senza complicazioni,
bucolica... ci rendiamo conto che siamo a circa una lega da Higuera". E' un
appunto che si rivela del tutto inconsapevole di quello che sta per accadere.
Una vecchia contadina ha scoperto accidentalmente i guerriglieri, che cercano di
comprare il suo silenzio con cinquanta pesos. "Ma ci sono poche speranze che
mantenga il silenzio", si legge nel "Diario". Il giorno dopo, presso la Quebrada
del Yuro, i diciassette uomini superstiti dell'iniziale gruppo di guerriglieri
che ha iniziato l'avventura boliviana con il "Che" vengono sorpresi da cinque
battaglioni di ranger. Sei muoiono nello scontro, otto riescono a fuggire, tre
sono fatti prigionieri. Tra loro, ferito, c'è lo stesso Guevara, che rivela la
sua identità e viene trasportato nel villaggio di La Higuera, distante otto
chilometri. I prigionieri vengono rinchiusi in una scuola.
Il "Che" è ripetutamente interrogato. Si rifiuta di rispondere alle domande.
I militari sono al comando di Andrés Selich e di Miguel Ayaroa. Il 9 ottobre
giunge sul luogo il cubano Felix Ismael Rodríguez Mendigutia, che è entrato a
far parte della Cia e tenta inutilmente di far parlare il prigioniero. In
mattinata, da La Paz giunge l'ordine di ammazzare Guevara: a prendere la
decisione hanno provveduto il presidente boliviano Barrientos e i funzionari dei
servizi segreti americani che sono in perenne collegamento con Washington. A
sparare i colpi mortali ci pensa il militare Mario Teran (gli assassini di
Guevara moriranno tutti in circostanze misteriose negli anni successivi). Si
chiudono in questo modo trentanove anni vissuti intensamente.
Il cadavere - trasportato fin lì con un elicottero - viene esposto
all'ospedale Signore di Malta su un tavolaccio a fotografi, tv e giornalisti. Il
"Che" ha gli occhi aperti, la divisa sbottonata. Il suo corpo viene sepolto di
nascosto in un angolo della località di Vallegrande, a duecentoquaranta
chilometri a est di Santa Cruz (nel 1996 il governo boliviano ha autorizzato le
ricerche in prossimità di un aeroporto per ritrovarne i resti). Le mani vengono
tagliate e fatte arrivare a Cuba, affinché L'Avana prenda atto che Guevara è
davvero morto. Il 15 ottobre, in un discorso televisivo, Castro conferma a tutto
il mondo la morte del "Che". Il 18 ottobre, nella Piazza della rivoluzione, si
svolge la "veglia funebre" in memoria di quello che viene ribattezzato "il
guerrigliero eroico". Vi partecipa una folla immensa e commossa.
Cosa accadde ai superstiti? La versione più attendibile è quella di Harry
Villegas, alias Pombo, che è stato accanto a Guevara dal 1957 al 1967. Del
gruppo guerrigliero si salvano tre cubani: lui, Dariel Alarcon (Benigno),
Leonardo Tamayo (Urbano). Ci riescono perché proprio il "Che" li aveva convinti
per motivi strategici a separarsi dal suo gruppo. La notizia dell'arresto del
loro leader l'apprendono dalla radio. E' un dettaglio a confermare l'accaduto
("Parlavano delle calzature, di due paia di calzini: il "Che" ne usava sempre
due paia, perché aveva la pelle molto sensibile e così la proteggeva"). Amarezza
e sorpresa lasciano subito il posto al lucido tentativo di sottrarsi
all'esercito boliviano e agli agenti della Cia. Scontri a fuoco con i militari,
clandestinità, altri compagni ammazzati costellano la rottura
dell'accerchiamento.
Solo nel gennaio del 1968 i superstiti (aiutati da ciò che resta della rete
guerrigliera e da qualche componente del Partito comunista boliviano) riescono a
giungere a La Paz da Cochabamba a bordo di un camion di fortuna. Da lì parte la
loro marcia forzata verso il confine con il Cile, dove giungono il 15 febbraio.
Falliti i contatti con Perù e Ecuador per un rapido rimpatrio, i tre devono
iniziare un vero e proprio giro del mondo per tornare a Cuba. Prima l'Isola di
Pasqua, poi Tahiti, Numea (isoletta del Pacifico), Sri Lanka, Addis Abeba,
Parigi, Mosca e finalmente L'Avana, dove il 6 marzo trovano Fidel Castro ad
aspettarli all'aeroporto.
Anche le pagine del "Diario" di Guevara arrivano a Cuba in modo rocambolesco,
grazie soprattutto a Salvador Allende, leader socialista cileno (è lui ad
accogliere i tre cubani superstiti in Cile e ad avviarli verso Tahiti). Una
prima versione viene pubblicata sulla rivista cilena "Punto Final" alla fine di
gennaio 1968. I microfilm del "Diario" giungono a L'Avana nel mese di marzo. Il
primo luglio esce nelle librerie cubane la prima edizione stampata del "Diario"
con un'introduzione di Castro (mancano solo poche pagine che saranno reintegrate
molti anni dopo). Quel libro diventa un bestseller in tutto il mondo.
Il 28 gennaio 1968 c'è un episodio che è una specie di ondalunga del dissidio
che ha contrapposto per qualche tempo Cuba all'Unione Sovietica. Il comitato
centrale del Partito comunista cubano espelle Aníbal Escalante e altri nove
dirigenti dell'ex Partito socialista popolare (il vecchio partito comunista
pre-rivoluzione) con l'accusa di aver organizzato una "microfrazione" legata
alle direttive di Mosca. Nella polemica viene coinvolto anche lo staff
dell'ambasciata sovietica a L'Avana. La rottura tra Cuba e Urss è totale e i
"barbudos" sembrano ricercare l'originalità dei primi anni della rivoluzione che
hanno via via perduto. Ma ad agosto, mentre i carri armati di Mosca hanno invaso
Praga, giunge inaspettata un'ulteriore correzione di rotta. Castro, in un
solenne discorso, difende quella scelta dell'Unione Sovietica piegandola alle
esigenze di Cuba: "Noi accettiamo l'amara necessità che ha reso inevitabile
l'impiego della forza in Cecoslovacchia, ma abbiamo il diritto di esigere che si
prenda una posizione coerente in tutte le altre questioni che riguardano il
movimento rivoluzionario nel mondo". Fidel teme di restare solo sulla scacchiere
internazionale e in balia degli Stati Uniti? La morte di Guevara chiude il ciclo
delle speranze di estendere la rivoluzione in America Latina e di costituire un
terzo polo (rivoluzionario e non allineato alle grandi potenze) nello scenario
mondiale. Quel discorso di Castro segna un passaggio di fase.
Nonostante negli ultimi anni si sia riacceso un interesse per la ricerca
storiografica intorno a Guevara e sia ripartito un dibattito intorno a un
personaggio che somiglia a un puzzle (i suoi scritti sono disponibili in nuove
edizioni), non è possibile ritenere esaurite le fonti che possono aiutare un
giudizio e un'interpretazione definitivi. Nei cassetti dei servizi segreti di
Mosca, Washington e L'Avana sono ancora rinchiusi troppi documenti che
riguardano il "Che" e i suoi disperati
tentativi rivoluzionari in Congo e
Bolivia. Non è stata ricostruita nei dettagli la sua esperienza di ministro e di
uomo di Stato a Cuba.
Sui suoi rapporti con Castro sono state avanzate delle ipotesi non suffragate da
documenti e testimonianze (o pieno accordo o totale conflitto sull'evoluzione
della rivoluzione cubana). Non sono stati pubblicati integralmente neppure tutti
i suoi scritti: sul diario del Congo, sugli appunti filosofici e economici grava
ancora il veto del Consiglio di Stato cubano, mentre su qualche scritto
giovanile vegliano la moglie Aleida e i suoi figli che vivono a L'Avana. Il boom
editoriale che circonda il personaggio non ha esaurito affatto l'indagine e il
confronto sulle interpretazioni possibili e su alcuni passaggi della sua
biografia umana e intellettuale. E poi la rivoluzione cubana e Fidel Castro non
hanno abdicato: stanno cercando in questi anni Novanta nuove vie per convivere
con un mondo del tutto cambiato rispetto al 1959 e ai tre decenni successivi. Il
"Che" fa parte della storia, ma su di lui, Cuba e Castro si fa fatica a far
prevalere il distacco storico. Sta qui - nella ricerca che continua - una delle
attualità di questo argentino inafferrabile che il caso ha portato a Cuba e poi
a girare per i diversi continenti come messaggero e diplomatico del Terzo Mondo,
nel tentativo di rendere più giusto un pianeta diseguale in anni irripetibili
per ansie e propositi di liberazione.
L'America Latina e l'Africa contemporanee, nelle loro drammatiche
contraddizioni, non sono molto distanti da quelle del decennio Sessanta. Se c'è
una lezione da trarre dalla vita di Guevara, forse consiste nella sua capacità
di mettersi in discussione continuamente, senza adagiarsi in presunte certezze e
nel richiamo finanche ossessivo alla situazione di degrado del Terzo Mondo. La
sua voglia di conoscere e di fare non si è mai fermata. La sua coerenza morale e
etica ha spesso sfiorato la testardaggine, ma è stata una bussola inossidabile
di riferimento.
I giovanissimi che in tutto il mondo indossano le magliette con il suo volto
stampato non sanno granché dei suoi trentanove anni di vita. Intuiscono
semplicemente la forza di un simbolo ribelle in cui riconoscersi. Di simboli,
miti e totem è cosparsa anche l'era di Internet, fax e satelliti. Non sempre si
tratta di cattivi maestri.
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