CRITICA LETTERARIA: BOCCACCIO

 

Luigi De Bellis

 
 
  HOME PAGE

Giudizi e testimonianze attraverso i secoli

La novità dell' "Elegia di Madonna Fiammetta"

La "commedia umana" di Giovanni Boccaccio

Significato della cornice nel "Decameron"

L'epopea mercantile nel "Decameron"

Lo "stile medio" del "Decameron"

Il realismo del "Decameron"

Realtà storica e immaginazione nel "Decameron"






 


Significato della cornice nel "Decameron"
di G. GETTO



La cornice non ha soltanto una funzione decorativa, ma rappresenta il momento contemplativo dell'arte del Boccaccio di fronte al momento dell'azione che si esplica nelle novelle; e nei confronti della materia fervida e corposa delle novelle, offre al lettore una distaccata e signorile prospettiva.

L'esame interno della cornice, specie se riportato in assidua vicenda alla analisi delle novelle, riesce estremamente chiarificatore della condizione espressiva del Decameron. Caratteristica della cornice è l'atmosfera diffusamente contemplativa, distaccata e immobile: non tanto in un'azione quanto piuttosto in una contemplazione consiste, invero, la vita della cornice. La memoria di essa, intanto, si può dire che si risolva quasi esclusivamente in un'impressione paesistica. 1 due punti focali del paesaggio della cornice sono rappresentati dalla descrizione del giardino nell'introduzione della giornata terza e dalla descrizione della valle delle donne nella conclusione della giornata sesta. Sono forse i luoghi piú vivi dell'intero Decameron, quelli costruiti con una più evidente ricerca di armoniosa prospettiva, di composizione musicale, di colorita ambientazione. Nel libro non ci sono altre pagine in cui si avverta una cosí compiaciuta e insistente descrizione di paesaggio; una cosí felice e folta quantità di aggettivi e di nomi evocanti gioiose realtà: Si pensi per contrasto alle novelle, sempre tanto sobriamente schive di abbandoni descrittivo-paesistici.

Lo stesso carattere contemplativo assumono i gesti dei personaggi della cornice, che sono appunto gesti più che azioni. E perfino i volti di essi sfumano in una vaga aura idillica. Il Boccaccio, del resto, non si ferma a descrivere la realtà fisica nemmeno dei protagonisti delle novelle, i quali liricamente esistono, più che per i precisi tratti dei loro profili, genericamente indicati, solo per l'azione da essi intrapresa e svolta. «Una bellissima donna», «un giovane bello e fresco della persona», in queste e simili espressioni (in cui l'aggettivo « bello » assorbe e consuma tutto l'impegno stilistico) si esaurisce l'interesse figurativo del Boccaccio per l'aspetto esterno dei suoi personaggi (semmai solo la fenomenologia del brutto, in quanto provocatrice di riso, sollecita la sua fantasia: le novelle di Giotto, di frate Cipolla, del proposto di Fiesole ne offrono le significative prove). Cosí le sette donzelle e i tre giovani non si. può dire che vivano con quell'immagine fisica inconfondibile che solo la poesia, quando vuole, sa dare. Come i volti e i corpi, cosí i movimenti si adeguano a questa misura di pacata e sfumata contemplazione. Nulla essi hanno degli incomposti gesti di alcune novelle, come la corsa e il batter di denti di Rinaldo d'Esti (che se ne va «trottando» e «pareva diventato una cicogna») o il fremito della scena, degna veramente del teatro elísabettiano, dell'uccisione del principe della Morea nella novella di Alatiel; nulla nemmeno di quei gesti di un'evidenza incisiva come quelli, ritagliati sulla pagina, di Andreuccio che balza dal secchio sulla sponda del pozzo, o del prete ladro, nella stessa novella, che si cala nella tomba dell'arcivescovo di Napoli, o di Guido Cavalcanti che con atletico stile salta al di là di una delle arche di Santa Reparata, o di Calandrino che, colpito dal ciottolo fuggito di a Bruno, leva alto il pié soffiando e tacendo. Nella corni e i gesti si smorzano e si adagiano in un ritmo lieve di danza, in un immobile spettacolo di grazia e di armonia: «La reina adunque con lento passo, accompagnata e seguita dalle sue donne e dai tre giovani, alla guida del canto di forse venti usignoli e di altri uccelli, per una vietta non troppo usata, ma piena di verdi erbette e di fiori, li quali per lo sopravvegnente sole tutti s'incominciavano ad aprire, prese il cammino verso l'occidente, e cianciando e motteggiando e ridendo colla sua brigata, senza essere andata oltre a dumilia passi, assai avanti che mezza terza fosse, ad un bellissimo e ricco palagio, il quale alquanto rilevato dal piano sopra un poggetto era posto, gli ebbe condotti... ». L'azione qui si scioglie in una cadenza musicale, e la scena di movimento sfuma nella visione di un aristocratico balletto, trasferendosi su un ideale palcoscenico. E non per nulla danza e canti e prolungate soste tra il verde hanno tanta parte nella cornice. Perché - viene qui spontaneo aggiungere - la campagna della cornice è profondamente diversa dalla campagna delle novelle. Il Boccaccio insiste in modo significativo, nelle sue novelle, sul mondo cittadino. La città è il luogo dell'umana iniziativa e della socialità civile: perciò è il naturale ambiente delle novelle. La campagna nel mondo attivo delle novelle compare raramente, e quasi solo come ambiente di vita contadina e di lavoro campestre, come sede di un'esistenza barbara e comunque inferiore e degradata (e sotto questo aspetto, si veda l'avvio della novella di Cimone): in coerenza del resto con la polemica condotta da tutto il Medioevo, dal tempo feudale a quello comunale, contro l'uomo del contado, colpito, sul piano letterario, da quelle manifestazioni che si compendiano sotto il nome della cosiddetta satira contro il villano. All'opposto, nel mondo contemplativo della cornice la campagna domina e rappresenta uno sfondo di serena vacanza e di ozio festoso: è quella campagna idillica e adorna che dominerà, come morbido e fittizio scenario, per tanti secoli nella nostra letteratura pastorale, rifugio per languidi amori e spensierati riposi.

In una situazione diversa, di nuovo, si presenta la cornice per quanto riguarda la tematica sentimentale, e in particolar modo la figurazione dell'amore. Fin dall'introduzione fa la sua comparsa il motivo dell'amore: e tutta l'esistenza della lieta brigata, in quella celebrazione di vita mondana che la caratterizza, è punteggiata da una allusione continua, attraverso parole ed atteggiamenti e canti, a questo delizioso e piccante ingrediente della dosata mistura di affetti e di atti che quella vita compongono. Ma a questa alleggerita condizione si riduce precisamente l'amore della cornice: esso rimane sempre in un'atmosfera sospirosa di ideale vagheggiamento, e se le occasioni in cui vengono a trovarsi giovani e donzelle possono far pensare ad un continuo possibile precipitare di quel platonico contegno, esso in realtà non precipita mai e si mantiene su di una linea distaccata di impeccabile correttezza. Proprio quel che non accade nelle novelle, dove ogni vagheggiamento è soppresso, dove (come è stato ben notato) non esiste il sentimento dell'amore come trepida attesa, e non vi esiste (aggiungiamo) perché quel che interessa non è una realtà sentimentale, ma una realtà attiva, e in luogo dell'amore-sentimento vi si celebra l'amore-azione, l'amore-conquista.

L'ideale etico-estetico che si celebra nella cornice, entro la prospettiva di una decorosa società e nel ritmo di un'adorna letteratura, non subisce dunque incrinature. Lungo il libro si mantiene costante questo ideale di armonia e di equilibrio, come quello che rappresenta un momento fondamentale del processo formativo dell'alta prosa del Decameron. Cotesto ideale accoglie senza esclusioni l'intera vita, e pur non si concede totalmente ad essa, ma vi pone un limite delicatissimo, dal quale è lecito osservare, ma oltre il quale non è concesso passare. Nel Decameron un'immensa esperienza di vita è presente, ma è presente come può esserla non a chi fra la vita si mescola, ma a chi la contempla da un alto e signorile belvedere. La pulsante vita germogliata dalla curiosa memoria dello scrittore viene cosí come filtrata dal cristallo nitido e uguale della cornice, e si trasfigura in poesia della umana iniziativa per il trionfo del proprio utile o della propria intelligenza o della propria virtù, in lirico dramma dell'umano agire nel gioco con i limiti e le sollecitazioni che la sorte e gli altri uomini, entro la trama complessa dei rapporti sociali, propongono: un'iniziativa e un'azione in cui si manifesta la suprema arte, dal Boccaccio v fata, del saper vivere.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it