NOVITA' E LIMITI
DELL'ARTE DEL GOLDONI
di
FRANCESCO DE SANCTIS
Per il De Sanctis, nel settecento, si costituisce in Italia, dopo la decadenza dei due secoli precedenti, una "nuova letteratura" guidata da un sicuro impegno morale e da un senso nuovo dell'uomo e delle cose. All'inizio di questo rinnovamento è il Goldoni: grande e schietto autore comico, egli ha una concezione concreta e positiva della realtà, che osserva e rappresenta con vivezza, ponendo al centro delle sue opere i vari caratteri colti con forza e con naturalezza nel loro agire entro la società e la vita. La sua è una comicità di situazione, cioè è legata alle circostanze, alle vicende abilmente e vivacemente rappresentate e intrecciate, non nasce dalla battuta o dalla riflessione; e, secondo il critico, non manca di una certa grossolanità, che si rivela anche nella troppo scarsa elaborazione formale. La concezione romantica della poesia come profondità di sentimento detta cosí al De Sanctis la celebre sentenza
sull'arte del Goldoni, che non giungerebbe alla poesia proprio per eccessiva superficialità comica e per mancanza di autentica commozione.
L'idea fissa di Goldoni era che la commedia potea per se sola interessare il pubblico, e che non le era necessario a ciò lo spettacoloso, il gigantesco, il maraviglioso in maschera e senza maschera. La sua riforma era in fondo la restaurazione della parola, la restituzione della letteratura nel suo posto e nella sua importanza, la nuova letteratura. E vide chiaramente che a ristaurare la parola bisognava non lavorare intorno alla parola, ma intorno al suo contenuto, rifare il mondo organico o interiore dell'espressione. Questo vide nella commedia, e mirò a instaurarvi non gli elementi formali e meccanici, ma l'intero organismo, sopra questo concetto: che la vita non è il gioco del caso o di un potere occulto, ma è quale ce la facciamo noi, l'opera della nostra mente e della nostra volontà. Concetto del Machiavelli, dal quale usciva la Mandragola. Perciò il protagonista è l'uomo, con le sue
virtù e le sue debollezze, che crea o regola gli avvenimenti o cede in balía di quelli. Manca a Goldoni non la chiarezza, ma l'audacia della riforma, obbligato spesso a concessioni e a mezzi termini per contentare il pubblico, la compagnia e gli avversari. E, come era il suo carattere, vinse talora più con la pazienza o la destrezza che con la risoluta tenacità dei propositi. Di queste concessioni trovi i vestigi nelle sue migliori commedie, dove non rifiuta certi mezzi volgari e grossolani per ottenere gli applausi della platea. E mi spiego come insino all'ultimo continuò nel romanzesco, nel sentimentale e nell'arlecchinesco: le necessità del mestiere contrastavano alle aspirazioni dell'artista. D'altra parte, intento all'interno organismo della commedia, neglesse troppo l'espressione e, per volerla naturale, la fece volgare, si che le sue concessioni si staccano vigorose da una forma più simile a pietra grezza che a marmo. Ciò che in lui rimane è in quel mondo interno della commedia, tolto dal vero e perfettamente sviluppato nelle situazioni e nel dialogo. Il centro del suo mondo comico è il carattere. E questo non è concepito da lui come un aggregato di qualità astratte, ma è colto nella pienezza della vita reale, con tutti gli accessori. Base è la società veneziana nella sua mezzanità, più vicina al popolo che alle classi elevate: ciò che dà più presa al comico per quei moti improvvisi, ineducati, indisciplinati, che son propri della classe popolana, alla quale si accostava molto la borghesia veneta, non giunta ancora a quel raffinamento e delicatezza di forme, che sono come l'aria della civiltà. I caratteri, come il maldicente, il bugiardo, l'avaro, l'adulatore, il cavalier servente, inviluppati in quest'atmosfera, escono fuori vivi, coloriti, originali, nuovi: vi contraggono la forma della loro esistenza. Ci è nel loro impasto del grossolano e dell'improvviso; anzi qui è la fonte del comico. Cadendo in nature di uomini non disciplinate dall'educazione, paion fuori in modo subitaneo e senza freno o ritegno o riguardo, in tutta la loro forza primigenia, e producono con quella loro improvvisa grossolanità la più schietta allegria, tipo il Burbero benefico. Non essendo concezioni subbiettive e astratte, ma studiate dal vero e
colte nel movimento della vita, il comico non si sviluppa per via di motti, riflessioni e descrizioni (ciò che dicesi propriamente "spirito" e appartiene a una società più colta e raffinata), ma erompe nella brusca vivacità delle situazioni e dei contrasti. Il Goldoni è felicissimo a trovare situazioni tali che il carattere vi possa sviluppare tutte le sue forze. La situazione è per lo più unica, semplice, naturalissima, sobriamente variata, messa in rilievo da qualche contrasto, di rado complicata o inviluppata, graduata con un crescendo di movimenti drammatici, e ti porta rapidamente alla fine tra la più viva allegria. Indi viene la superiorità del suo dialogo, che è azione parlata, di rado interrotta o raffreddata per soverchio uso di riflessioni e di sentenze. La situazione non è mai perduta di vista: non digressioni, non deviazioni, rari intermezzi o episodi, nessuna parte troppo accarezzata o rilevata; onde è che l'interesse è nell'insieme, e di rado se ne stacca un personaggio, una scena, un motto. Tutto è collegato saldamente con tutto: la situazione è il carattere stesso in posizione, nelle sue determinazioni: l'azione è la stessa situazione nel suo sviluppo; il dialogo è la stessa azione ne' suoi movimenti. Questo mondo poetico ha il difetto delle sue qualità: nella sua grossolanità è superficiale, e nella sua naturalezza è volgare. In quel suo correre diritto e rapido, il poeta non medita, non si raccoglie, non approfondisce; sta tutto al di fuori, gioioso e spensierato, indifferente al suo contenuto, e intento a caricarlo quasi per suo passatempo e con l'aria più ingenua, senza ombra di malizia e di mordacità: onde la forma del suo comico è caricatura allegra e smaliziata, che di rado giunge all'ironia. Nel suo s'è ingentilito, è la più grande delle anime ilari del Goldoni. Ci tiene in un continuo solletico di riso. Sa essere arguto anche nella miseria: rallegra tutto. È pronto, perspicace, ha spesso il tono di chi piglia in giro garbatamente, solo per divertirsi, per naturale lepidezza. Nessuno ha un'acuzie cosi spontanea e che si esprima con tanta agilità, e con tanta grazia e con tanta impalpabilità di forme, nessuno sa usar
così finemente l'eufemismo e l'attenuazione, tenersi così bene nel confine tra l'arguzia e la buffoneria, celar come lui la buffoneria della intenzione coll'arguzia della forma. Qualche volta esce in una buffonata: eppure non c'è nessuna stonatura nella mescolanza di queste due specie di riso. Dinanzi a questa come ad altre maschere sentiamo che la loro regola di vita è diversa dalla nostra: sono dominate da un bisogno di riso volubile, da un bisogno di abbandonarsi incoerentemente ora a questo ora a quel motivo di giocondità. La norma del loro mondo non è la psicologia, ma lo scherzo: è la norma stessa della fantasia del Goldoni in qualcuna delle sue ore migliori: la legge di quella fantasia di poeta si trasforma nella legge della loro vita. Vivono fuori del nostro mondo, nella piena libertà dell'anima da ogni costrizione esterna o interna, in un'allegra anarchia spirituale: sono la più perfetta incarnazione dell'ilarità del Goldoni. Fra tanti vantaggi che il riformatore del nostro teatro ha ricavato dalla commedia dell'arte, è forse il più grande questo, che è
così opposto al suo indirizzo innovatore: l'avere avuto dalle umili maschere l'ispirazione per creare un tipo che nella sua giocondità inesauribile si mantenesse sciolto dai legami della realtà e, eternamente vivo nei regni della fantasia, si ridesse della psicologia, come già se ne rideva l'Arlecchino che improvvisava. Il Goldoni lasciò a questo, e talora ad altri servi, l'incoerenza psichica tradizionale, ma gli diede una consistenza fantastica, una volubilità e una finezza di riso nuove.
Nel teatro del Goldoni le maschere, più che rappresentare un'anima,
diffondono un tono, un colorito: la festività. Questo è per lo più il loro ufficio. Nella vita ci sono soltanto anime singole, ogni anima è un tutto in sé finito; nell'arte può essere diversamente: di molti personaggi si può fare un'anima sola, e quell'anima unica, divisa in molti corpi, dà una vivacità ed una studio del naturale e del vero, trascura troppo il rilievo, e, se ha il brio del linguaggio parlato, ne ha pure la negligenza: per fuggire la
retorica, casca nel volgare. Gli manca quèlla divina malinconia, che è l'idealità del poeta comico e lo tiene al di sopra del suo mondo, come fosse la sua creatura, che accarezza con- lo sguardo e non la lascia che non le abbia data l'ultima
finítezza. |