CRITICA LETTERARIA: GIUSEPPE PARINI

 

Luigi De Bellis

 
 
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Giudizi e testimonianze attraverso i secoli

Il Parini rinnovatore della poesia italiana

Satira e contemplazione nella poesia del Parini

Poetica e temi del Parini dalle "Odi" al "Giorno"

La poesia del Parini e i problemi della società del suo tempo

Impegno morale e ricerca formale nel Parini





 


IMPEGNO MORALE E RICERCA FORMALE NEL PARINI

DI  LANFRANCO  CARETTI



La difficile composizione del Giorno, rimasto incompiuto, e la complessa vicenda delle correzioni a cui il Parini sottopose costantemente la sua opera, testimoniano l'affievolirsi dell'iniziale slancio polemico e satirico e, contemporaneamente, il prevalere di una sempre più assorbente attenzione alla perfezione formale, alla limpidezza e all'eleganza della descrizione, all'armonia e all'equilibrio dell'espressione. Il Giorno non presenta, quindi, una forte poesia civile né un'acuta delineazione di carattere, ma, piuttosto, una perfetta raffigurazione del mondo settecentesco, nei termini di una preziosa perizia letteraria. Non diverso è il caso delle Odi, anch'esse equilibrate fra un moralismo moderato e sapiente e un'attenzione vigile per la parola elegante e ornata: ma il Parini raggiunge i risultati poetici più intensi nelle odi più personali e intime, dove, nella luce di un'alta e commossa malinconia, compiutamente si attua l'armonia di vita morale e di ricerca formale.

Il Giorno vide la luce parzialmente negli anni 1763 (Mattino) e 1765 (Mezzogiorno). Dalla dedica, premessa al Mattino, appariva che il poeta aveva in animo, in un primo tempo, di completare presto l'opera sua con una terza parte, la Sera. Ma poi questa terza parte si venne sdoppiando in altre due (Vespro e Notte), alle quali il Parini non cessò mai di lavorare, cosí come non smise di correggere e mutare anche le prime due parti già pubblicate, senza tuttavia decidersi mai a stampare per intero il suo poemetto, nonostante le numerose sollecitazioni ricevute e le sue stesse promesse. II Vespro e la Notte videro perciò la luce soltanto dopo la morte del poeta, per iniziativa dell'amico Francesco Reina. Questa laboriosa gestazione dell'opera, protrattasi per anni e anni e rimasta senza una risoluzione definitiva, ci rivela almeno due cose: il progressivo esaurirsi nel Parini dell'iniziale stimolo polemico, della giovanile accensione moralistica (cosí fervidamente esplosa nel Dialogo sopra la nobiltà), e la sua costante insoddisfazione stilistica, il suo desiderio di una sempre più assoluta perfezione poetica. Non solo, infatti, il confronto tra le prime due parti pubblicate e gli autografi delle ultime due, ma anche un esame delle correzioni e varianti che risultano inserite dal Parini nei manoscritti del Mattino e del Mezzogiorno, ci confermano lo spostamento dell'interesse pariniano dalla polemica antinobiliare, che pur aveva costituito il primo impulso dell'opera, alla descrizione artistica, nitida e controllata, in perfetto equilibrio ed armonia di toni e di sviluppi, di quel mondo settecentesco. Non è casuale, del resto, che tutte le correzioni del Giorno denuncino l'intento, da parte del poeta, di smorzare o almeno di attenuare in parte quanto vi era di più decisamente acceso nella prima stesura, di ricondurre il discorso poetico ad una linea rappresentativa più fluida e coerente. Questo non significa che il Parini non avvertisse più, col passare del tempo, l'antica antinomia tra la vuotezza morale della società aristocratica (ormai sorpresa dal suo occhio vigile di moralista e non facilmente obliabile) e l'eleganza delle sue apparenze, ma piuttosto che l'atteggiamento del poeta si era fatto più distaccato e lucido rispetto alla materia che trattava, che l'artista aveva ormai preso il sopravvento sul polemista e che la sua aspirazione non era tanto rivolta alla efficacia pedagogica dell'opera quanto alla evidenza, alla precisione e alla perfetta riuscita della sua forma artistica. Non gioverà quindi cercare nel Giorno (in questa elegantissima favola, in questa sapiente sceneggiatura della commedia che il giovane signore del tempo recitava mirabilmente ogni giorno con raro sincronismo di atteggiamenti) né un documento di poesia civile né la creazione fortemente incisiva, se non addirittura drammatica, di un carattere. Per questa via il Giorno minaccerebbe di frantumarsi tra le nostre mani in una miriade di scaglie luminose, tanto attraenti quanto disutili o stucchevoli, e potrebbe anche ingenerare l'impressione, che alcuni hanno voluto criticamente suffragare, di un meccanismo arido e intellettualistico, di un puro giuoco e di una marionettistica vicenda. È necessario in sostanza non chiedere al Giorno ciò che esso non può darci, perché incompatibile con la natura per nulla rivoluzionaria ma appena riformistica del suo autore, limitandoci invece a interpretarlo per quello che effettivamente esso è o almeno per quello che esso è sempre più divenuto con gli anni nelle mani consapevoli del suo autore: cioè un'opera essenzialmente letteraria, tutta compenetrata di quell'ideale umanistico dell'arte che costituí il maggiore ideale del Parini. In questo modo molte riserve, già avanzate sul suo conto, verranno a cadere e il poemetto pariniano ci apparirà come uno specchio, quasi perfetto, del mondo settecentesco, ritratto con estrema perizia e con gusto sottile, con, inimitabile virtú di mimesi, da una posizione che si è venuta via via disacerbando, permettendo al poeta, proprio per il distacco raggiunto e l'attenzione vigile alla rappresentazione artistica, la diversa e tuttavia duttile e sciolta alternativa della caricatura morale, se non anche della sanzione mordente, con gli indugi compiaciuti, le minuzie descrittive, i dorati arabeschi.
Come per il Giorno (la cui revisione interna s'intreccia appunto con la stesura delle grandiliriche pariniane), anche per le Odi si può dire che l'arte del Parini si sviluppi secondo una linea ascendente di sempre maggiore maturità e perfezione, con una inclinazione evidente verso un temperamento dei toni, verso un linguaggio sempre più sereno e pacato, nello sforzo di realizzare un sicuro equilibrio tra occasione sentimentale e forma espressiva. Anche in seno alle Odi, dunque, il moralista e l'umanista, l'uomo e il letterato, hanno cercato di realizzare un comune accordo, di bilanciare, senza sopraffarsi a vicenda, le reciproche istanze: l'intento didattico, cioè, e l'amore della parola. L'incontro di queste due esigenze, non contrastanti tra loro ma complementari (riflessi ugualmente schietti e naturali della personalità pariniana), non poteva realizzarsi felicemente, sulla pagina, se non attraverso il rifiuto delle molli cadenze arcadiche e l'assorbimento delle definizioni morali in un discorso poetico vigorosamente espressivo, i cui ritmi non obbedissero più soltanto esternamente ad una troppo facile e spiritualmente esangue cantabilità, ma si sforzassero piuttosto di raggiungere una musica più alta e sostenuta, oppure si snodassero in modi teneramente affabili, sobri e commossi. Anche nelle prime odi tuttavia, come nelle prime parti del Giorno, queste due esigenze non si rivelano sempre armoniosamente fuse. Accade spesso, al contrario, che le sentenze vi si allineino un po' troppo seccamente, con un accento forzatamente perentorio, senza riuscire a disciogliere certa loro durezza e senza filtrare interamente i loro residui polemici. E questo è visibile, più o meno, non solo nelle odi più giovanili ma in quasi tutte quelle dichiaratamente sociali e civili (dalla Salubrità dell'aria all'Impostura, dalla Educazione all'Innesto del vaiuolo, dal Bisogno alla Caduta ecc.), anche se è vero che il poeta ha cercato di non venire mai meno, neppure in questi casi, al suo ideale di misura e di saggezza, costringendosi a contenere l'espressione in forme pacate ed esatte, mitigando la sua eloquenza in toni affettuosi e temperati. E anche quando la polemica sembrerebbe prendergli la mano e minacciare di esagitarne il linguaggio, il freno dell'arte contribuisce a conservare alle parole una rara precisione, un lucido rilievo, al di là dei risentimenti e dello sdegno morale. Ma è certo, comunque, che il Parini ha dato la migliore prova delle sue singolari virtú liriche, soprattutto nelle odi intime o personali: in quelle ispirate dalla bellezza femminile (Il pericolo, Il dono, Il messaggio) e in quella dedicata Alla Musa, che è stata giustamente considerata come il suo testamento morale e poetico. Particolarmente nel Messaggio, quell'equilibrio tra ispirazione, tono e linguaggio, costantemente perseguito dal Parini come la vera fedele misura di se stesso, è più che altrove felicemente raggiunto. Qui infatti, dietro l'eleganza e il nitore delle immagini, brilla un fuoco sapientemente frenato, mentre il gioco galante, reso con una perizia estrema d'arcade consumato, si anima di una vibrazione interiore che nasce dall'amore intenso della bellezza, illeggiadrito da un'ombra di virile malinconia.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it