Silenzio è l'epifania improvvisa di un passato solare che nasce sullo sfondo buio del presente, un presente di pena e desolazione (siamo nel pieno della guerra, Veglia è di sei mesi prima). La città natale dove il sole rapisce e smemora era percorsa dal «limio
delle cicale» che «durava» e dura «nel cuore» di chi si è allontanato.
Forse questo suono che la memoria rievoca sorge dal silenzio (silenzio
materiale? silenzio interiore?), come la luce dal buio. Mala lirica, che
si apre affermativamente e quasi ottimisticamente («conosco una città»)
nel segno del passato ritrovato, progressivamente, sovrapponendosi la
memoria dolorosa del distacco dalla città solare, si viene accostando al
presente: la città, nel ricordo, svanisce alla vista dell'emigrante («ho
visto / la mia città sparire»), lasciando come ultimo segno di sé dei lumi
sospesi nella foschia. E forse il movimento designa anche il processo
presente dello svanire del ricordo (e quindi di nuovo, come allora, della
città solare) e il «sospesi» con cui si chiude il componimento può
caricarsi di significati nuovamente inquietanti (la condizione sospesa
dell'uomo che affronta la morte giorno dopo giorno?).
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